H2O. Una comunità ha solo da guadagnare nel non dare nulla per scontato sugli elementi fondamentali che permettono di vivere in un territorio.
Cominciamo dall’acqua la cui disponibilità, potabilità, qualità igienico-sanitaria costituiscono il numero 6 dei 17 Obiettivi per la sostenibilità che l’Onu si è data con l’orizzonte dell’anno 2030. Una veloce riduzione dello sguardo all’ambito regionale fa partire una simulazione e, giocando un po’ con i numeri, si potrebbe arrivare a pensare che l’Umbria ne riceva dal cielo dagli 8 ai 10 miliardi di metri cubi l’anno. A una stima del genere si arriva moltiplicando la media di circa 1000 millimetri d’acqua per metro quadrato registrata, nell’arco di 12 mesi, dal sistema pluviometrico del Servizio idrologico regionale (87 stazioni di rilevamento) per la superficie dell’Umbria, 8.456 chilometri quadrati.
Nessuna ingenuità: l’acqua dell’Umbria viene convogliata dai bacini idrografici, organismi ben più complessi della semplice visione bidimensionale di una carta geografica. Tuttavia se i numeri hanno un senso quella stima potrebbe avvicinarsi molto alla realtà per costruirsi un’idea di quanta se ne riesce a “trattenere” nei bacini artificiali prima che finisca in mare.
Le dighe in Umbria |
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Sbarramento |
Località |
Volume in mc |
Corbara |
Orvieto |
190 |
“di Arezzo” |
Spoleto |
6 |
Acciano |
Nocera Umbra |
1,8 |
Montedoglio |
Sansepolcro (Ar) |
150 |
Valfabbrica |
Valfabbrica |
200 |
Piediluco |
Terni |
18 |
Fonte: Ingram |
Il Piano regolatore degli acquedotti (qui la scheda sintetica) rivela che tutto il territorio dell’Umbria è una sorta di groviera di pozzi privati: a pagina 6 del testo (paragrafo 2.3) emerge la cifra di 67.000, di cui oltre 51.000 destinati ad uso domestico, uno ogni 6,5 famiglie. Un elemento che potrebbe incidere sull’effettiva realtà dell’uso agricolo della risorsa idrica: circa 70 milioni di metri cubi. Cifra a cui si risale utilizzando i dati del sesto censimento generale dell’agricoltura riportati nel dossier “Utilizzo della risorsa idrica a fini irrigui in agricoltura”: 20.011 ettari irrigati (tab. 3.7) per i 3.354 metri cubi a ettaro significano 67.116.894. Poco più dell’1% di questa enorme massa d’acqua è utilizzata per uso idropotabile. Ancor meno quella che viene bevuta, per di più in bottiglia: l’Umbria è la regione italiana che meno si fida della qualità dell’acqua che esce dal rubinetto ed ha il più alto tasso di acquisti di acqua imbottigliata (in plastica, ça va sans dire). Per questo i gestori si sono lanciati nella creazione delle cosiddette “case dell’acqua”.
In grandezze numeriche le sorgenti appenniniche e i pozzi di pianura forniscono quasi 102 milioni di metri cubi di materia primordiale l’anno (dati Istat, 2015) destinata a venire immessa negli acquedotti. Di questi ne arrivano dalla Toscana 2,289 milioni di metri cubi a cui se ne aggiungono 0,625 dalle Marche (vedi sopra Istat – tavola 1.3). Un viaggio che sembra concludersi positivamente solo per metà dell’acqua trasportata, considerate le cifre sui volumi fatturati: 54,238 milioni di metri cubi. Qui scatta il primo di una lunga serie di interrogativi che è salutare porsi quando si affronta il tema: è così malridotta la rete di trasporto da perdere la metà del contenuto? Ad ascoltare persone competenti in materia non sarebbe così. Perché mai?
La rete delle condutture si estende per complessivi 11.446 chilometri (fonte: Auri) e la loro graduale sostituzione costituisce un impegno venticinquennale per le società di gestione che debbono scaglionare nel tempo i lavori, tenendo conto delle effettive condizioni delle tubature. Un meccanismo regolato dall’infinità di indicatori previsti dalla legge 214 del 2011 (vedi più avanti). Secondo quanto ci viene riferito (la fonte chiede di rimanere riservata) esistono vari fattori: 1) le centinaia di fontane pubbliche (di tutte le dimensioni) attive in tutto il territorio regionale; 2) le utenze pubbliche (di solito comunali) non sempre contabilizzate; 3) l’emungimento continuo delle falde che non viene bloccato quando i serbatoi per la potabilizzazione, immediatamente a valle delle sorgenti, sono colmi: l’effetto del “troppo-pieno” produce uno sversamento nei corsi d’acqua di quella preziosa “materia primordiale” che potrebbe essere lasciata più a lungo nei serbatoi naturali da cui viene estratta senza rispettare il principio di sostenibilità. Insomma non esisterebbe il modo di interrompere automaticamente il funzionamento delle pompe.
L’approvvigionamento idropotabile in Umbria |
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Sorgente |
Portata |
max |
min |
media |
Rasiglia Alzabove (Foligno) |
26/02/2020 258 l/s |
31/5/2010 505,6 l/s |
11/10/2012 152,3 l/s |
271,9 l/s |
S. Giovenale (Nocera Umbra) |
28/11/2019 |
11/05/2018 1188,2 l/sec |
29/03/2008 |
377,6 l/sec |
Capodacqua (Nocera Umbra) |
26/02/2020 |
07/12/2002 |
09/12/2011 |
98,5 l/sec |
Lupa (Arrone) |
26/02/2020 |
25/02/2014 |
12/10/2012 |
119,0 l/sec |
Bagnara (Nocera Umbra) |
26/02/2020 |
25/04/1999 |
28/10/2007 |
105,7 l/sec |
Acquabianca (Foligno) |
26/02/2020 |
18/04/2018 |
18/10/2012 |
49,3 l/sec |
Fonti del Clitunno (Campello sul Clitunno) |
26/02/2020 |
11/03/2014 |
30/08/2017 |
1.323,5 l/sec |
Vene del Tempio (Campello sul Clitunno) |
26/02/2020 |
17/05/2011 |
29/01/2018 |
61,0 l/sec |
Scirca (Sigillo) |
26/02/2020 |
14/11/2013 |
18/11/2011 |
210,1 l/sec |
Vaccara (Gualdo Tadino) |
26/02/2020 |
11/12/2008 |
18/11/2011 |
115,8 l/sec |
Boschetto (Gualdo Tadino) |
26/02/2020 |
07/03/2017 |
18/10/2007 |
192,6 l/sec |
Rumore (Gualdo Tadino) |
26/02/2020 |
28/03/2014 |
12/11/2007 |
24,9 l/sec |
Fonte: Arpa Umbria |
Le “guerre” per le acque appenniniche
Le sorgenti appenniniche hanno costituito terreno di scontro politico fin dal secondo dopoguerra: l’esodo delle campagne e l’inurbamento hanno fatto crescere continuamente la domanda di acqua per dissetare le città, con Perugia a fare la parte del leone in un’opera di accaparramento della risorsa idrica che, fin dagli anni ‘50 del Novecento, finì per penalizzare Foligno e Spoleto dove l’acqua arrivava per caduta senza dover ricorrere a costose infrastrutture di sollevamento. La Gazzetta di Foligno ne sintetizza la vicenda: «Nel 1953 è scoppiata quella che ancora oggi viene ricordata come “la guerra dell’acqua”. […] Nel 1954 (sindaco Fittaioli) fu siglato un accordo che prevedeva la costruzione, da parte del Consorzio Acquedotti di Perugia, di un bacino di reintegro delle acque, da realizzare contemporaneamente alle opere di presa dalla sorgente [Bagnara e San Giovenale, ndr.], in modo da non lasciare il fiume [Topino] in secca. Con decreto del Presidente della Repubblica del 1955 è stato concesso, per la durata di 70 anni, al Consorzio Acquedotti Perugia di derivare dalle sorgenti di Bagnara e San Giovenale 210 litri/secondo a scopo potabile, con la condizione di realizzare la “diga di Acciano” destinata a svolgere azione di reintegro. Nel 1976 sono iniziati i lavori della diga, capace di invasare nel periodo invernale un quantitativo di acqua pari a 1.800.000 mc, per reintegrare, appunto, la portata del Topino nei periodi di magra». La diga è finita fuori servizio dopo il terremoto del 1997 per la necessità di verificare la tenuta della barriera principale. I lavori di sistemazione hanno abbassato al di sotto dei 15 metri il colmo dello sbarramento: in questo modo la responsabilità della gestione passa dallo Stato alla Regione. Un esempio emblematico di come vengono pensate e applicate le politiche per l’acqua. La ricerca continua di nuove fonti di approvvigionamento ha finito per incidere pesantemente sulle riserve idriche di vasti comprensori; questi, insieme allo spopolamento e l’emarginazione economica, venivano depauperati anche di un bene primario come l’acqua. La costruzione di nuovi invasi da utilizzare da serbatoi di riserva ha finito per stravolgere i delicati equilibri idro-geologici di territori sempre più larghi. Scontri tra partiti e amministrazioni locali trasformatisi, nel tempo, in vertenze promosse da comitati formatisi per la difesa dei beni comuni, soprattutto dopo l’inizio dell’assalto ai pozzi da parte degli imbottigliatori di acque minerali, entrati in crisi nel 2014.
La storia del Rio Fergia e della comunità che l’ha difeso
Degna di entrare nei manuali di antropologia nel capitolo resilienza delle comunità l’azione svolta dalle frazioni di Boschetto, Gaifana e Colle Sant’Angelo (700 anime della parrocchia di san Nicolò a cavallo tra i territori di Gualdo Tadino e Nocera Umbra). Protagoniste di una vertenza in due fasi, una vicenda che richiama la storia di Davide e Golia. La prima puntata: partita nel 1990 e conclusasi tre anni dopo. Insorsero contro il progetto del comune di Nocera di attingere acqua dai pozzi in zona per alimentare gli acquedotti. Nel 1993 venne siglato un protocollo che chiudeva la questione. In quell’occasione il comune gualdese affiancò il comitato. La seconda puntata prende il via nel 2004 con l’Idrea (proprietaria del marchio Rocchetta) che presenta il suo piano di investimenti. Seguì una vera e propria mobilitazione permanente che richiamò anche l’attenzione del programma Samarcanda con una diretta tv proprio da Boschetto. Da quelle parti sostengono che si è trattato del primo sassolino che avrebbe portato al blocco della legge Galli (vedi sotto) che privatizzava l’acqua. Sono stati necessari 16 anni e una decina di sentenze delle corti più svariate per arrivare alla sentenza 18 del 2020 emessa dal Commissariato agli usi civici di Roma. Con quell’atto veniva disposto il reintegro dei terreni, su cui insistono le attività di (tentato) emungimento, (tra l’altro mai stati oggetto del cambio di destinazione d’uso) a favore del legittimo proprietario la “Comunanza Agraria Appennino Gualdese”. Ne consegue che le sorgenti e il bacino idrico, appartengono al dominio collettivo della Comunanza.
Davide (comitato Rio Fergia) e Golìa (istituzioni più Rocchetta)
È interessante studiare come una comunità, per quanto minuscola, forte solo della sua compattezza, guidata da un manipolo di capaci volenterosi, capeggiati da Sauro Vitali (1956), sia stata in grado di tenere testa – alla stregua di Davide e Golìa – ad un combinato-disposto di alleanze intrecciate tra una azienda di acque minerali, settori della Regione Umbria e del comune di Gualdo Tadino. La stessa comunità che è stata capace di generare un movimento civico saldatosi con il più vasto schieramento che promosse il referendum (vinto) del 2011. Una vertenza per la difesa dell’acqua bene comune – incarnata dal Rio Fergia – innestatasi nella più vasta spinta per il riconoscimento della natura costituzionale del diritto delle comunità alla titolarità dei beni comuni, compresi quelli che si trovano nel sottosuolo, acqua in primis. Un programma di sensibilizzazione e promozione dei beni comuni che ha portato in Appennino studiosi (e studenti) dell’Università di Trento dove si studia l’evoluzione dei domini collettivi e la rilevanza degli usi civici per la vita di chi abita in montagna. Un intreccio di iniziative che ha in Paolo Grossi, presidente emerito della Corte Costituzionale, un protagonista appassionato e amico di Boschetto, dove lo si è potuto incontrare in occasione dei convegni di studio tenuti proprio in questa località.
I padroni dell’acqua
Un quadro complessivo che non getta una luce rassicurante sull’insieme del sistema che governa l’approvvigionamento idrico di case, scuole, ospedali, uffici, aziende: il vertice è nella Direzione ambiente dell’assessorato regionale (di cui titolare è attualmente Roberto Morroni), che ha nell’Auri (Autorità unica rifiuti idrico) il soggetto di verifica sull’attività delle tre diverse gestioni in cui è suddiviso il territorio regionale. Non a caso, alla Regione Umbria, il nuovo Direttore generale ambiente proviene proprio dall’Auri. Così dal tema “volume” dell’acqua si passa a quello degli “interessi materiali” fatti di poteri nella gestione, posti di lavoro e fatturati. Il Rapporto 2015-2016 (144 pagine) su servizio idrico e rifiuti dell’Agenzia Umbria Ricerche (a cura di Meri Ripalvella), nelle 98 pagine dedicate all’acqua, spiega con dovizia di particolari tutti i meccanismi di formazione delle tariffe varati con la legge del 2011 seguita al referendum di quell’anno (vedi più avanti).
Da quella messe di informazioni abbiamo estratto la cifra di 134 milioni di euro nel 2016 [pagina 32] – l’anno precedente erano 136 [pagina 30]. Cifre che vanno cercate in corrispondenza alla sigla Vrg: Vincolo al ricavo del gestore, ovvero l’importo complessivo riconosciuto al gestore per i costi di gestione, investimento nel rinnovo delle infrastrutture [pagina 28] e gestione delle tre aziende che occupano complessivamente più di 700 persone.
Dal confronto tra i dati Istat sulla quantità d’acqua (101,978 milioni metri cubi) immessa nelle condutture dei comuni in Umbria (880mila abitanti circa) con quella effettivamente erogata (54,238 milioni di metri cubi) emerge la sensazione di trovarsi davanti a qualche anomalia. Non esiste settore industriale (pubblico o privato) che riesca a perdere per strada quasi la metà del prodotto prelevato inizialmente per la vendita. Le cifre dei volumi, in milioni di metri cubi, corrispondono alla percentuale del 53,2 d’acqua di quella immessa nelle condutture che arriva alle utenze nel 2015. Tre anni prima era il 61,5 (cfr Report Istat censimento acque, pag. 8). Un salasso per le sorgenti appenniniche stressate da prelievi crescenti che ne stanno riducendo il livello e finiscono per intaccare le riserve strategiche. Una vera e propria angheria nei confronti delle utenze che, comunque, pagano in bolletta i costi di pompaggio, adduzione, manutenzione comunque generati dal 100 per cento dell’acqua immessa. Una realtà a cui si deve guardare tenendo conto che le società di gestione del servizio distributivo hanno una disciplina giuridica di ordine privatistico, che soggetti privati sono stati ammessi nelle compagini azionarie e nei cda. Una formula mista in cui il pubblico detiene la maggioranza, ma il privato finisce per dettare le regole di funzionamento anche grazie alla frammentazione della componente pubblica come (vedi Sii in tutta la provincia di Terni). C’è da aspettarsi che il cambio di maggioranza alla Regione Umbria e in buona parte delle amministrazioni comunali genererà un ulteriore indebolimento della componente pubblica. Banco di prova sarà la Valle Umbra Servizi, per statuto sotto il totale controllo delle amministrazioni comunali.
La gestione dell’acqua in Umbria |
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Società |
Soci e quote percentuali |
Utenti |
Consumi |
Valore consumi |
Rete idrica (km) |
Umbra Acque |
Comuni di Citerna, Città di Castello (3,12%), Monte Santa Maria Tiberina, Montone, San Giustino, Umbertide, Costacciaro, Fossato di Vico, Gualdo Tadino, Gubbio, Pietralunga, Scheggia-Pascelupo, Sigillo, Assisi (3,51%), Bastia Umbra (2,6%), Bettona, Cannara, Castiglione del Lago, Città della Pieve, Corciano, Lisciano Niccone, Magione, Paciano, Panicale, Passignano, Perugia (33,33%), Piegaro, Torgiano, Tuoro, Valfabbrica, Collazzone, Deruta, Fratta Todina, Marsciano, Massa Martana, Monte Castello Vibio, San Venanzo (totale 60%) Acea (40%) |
504.155 |
28,2 |
68,7 |
6.071 |
Valle Umbra Servizi (Vus) |
Comuni di: Bevagna, Castel Ritaldi, Foligno (47,3%), Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, Montefalco, Nocera Umbra, Spello, Trevi, Valtopina; Spoleto (28,5%), Campello sul Clitunno, Cascia, Norcia, Cerreto di Spoleto, Monteleone Spoleto, Poggiodomo, Preci, S. Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano, Vallo di Nera |
163.508 |
9,63 |
26,1 |
2.802 |
Servizio idrico integrato (Sii) |
Comuni di Acquasparta, Alviano, Amelia (3%), Arrone, Attigliano, Avigliano Umbro, Ferentillo, Giove, Guardea, Lugnano in Teverina, Montecastrilli, Montecchio, Montefranco, Narni (5%), Penna in Teverina, Polino, San Gemini, Stroncone, Terni (18%), Allerona, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Fabro, Ficulle, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto, Orvieto (5,8%), Parrano, Porano, Calvi dell’Umbria, Otricoli (totale 51%). Umbriadue (gruppo Acea, 25%), Asm 18%, Aman 6% |
220.059 |
13,1 |
38,8 |
2.573 |
Totali |
887722 |
50,9 |
133,6 |
11446 |
Due delle compagini menzionate nella tabella (Vus e Sii) stanno attraversando una fase particolare i cui risvolti meritano di venir studiati con attenzione perché la terza, ovvero Umbra acque, sembra procedere senza grandi scossoni di assetto societario, di patrimonio, di bilancio. Neo di rilievo la perdita media delle condotte arrivata al 51% del prodotto trasportato e che solo nell’ultimo anno e mezzo è scesa a quota 48: percentuale comunque fuori da qualsiasi standard di accettabilità e che ha sicure ricadute sulle tariffe.
La turbolenza più elevata è quella che interessa Sii spa per la trattativa di cui è oggetto: è diventata merce di scambio politico-finanziario a causa del dissesto di bilancio che sta paralizzando l’azione amministrativa del Comune di Terni a guida leghista (sindaco Latini dal maggio 2019). L’interlocuzione protrattasi almeno per un anno è stata aperta per cedere la Sii e tutto il suo patrimonio ad Acea (già azionista di riferimento con la controllata Umbriadue al 25% delle azioni): questa sborserebbe circa 11 milioni di euro per l’operazione, la cifra necessaria a ripianare il bilancio del comune capoluogo ed evitare lo scioglimento con il conseguente ritorno alle urne. All’operazione guardano con forte diffidenza pressoché tutti gli altri municipi che non sembrano propensi ad “auto-impiccarsi” concedendo il proprio assenso ad una vendita che non farebbe entrare denaro nelle loro casse visto che quei milioni dovrebbero venire incamerati da Terni e immediatamente destinati per il ripiano del bilancio comunale del capoluogo. Insomma “cornuti e mazziati”, niente soldi e anche addio alla quota di patrimonio immobiliare in testa alla Sii di cui comunque si possiedono azioni.
Altro scenario per la Vus totalmente pubblica: azioniste sono le amministrazioni comunali della Valle Umbra e della Valnerina. Si è distinta negli ultimi due decenni per aver respinto fermamente qualsiasi ipotesi di partecipazione privata. Con il passaggio al centrodestra della stragrande maggioranza dei municipi è scattato lo spoil system dei vertici aziendali. Misura contestata da tre sindaci (di centrosinistra) determinati a mantenere la natura pubblica al cento per cento della spa.
Acqua bene comune: pubblica o privata? La storia di un raggiro
Va ricordato che la privatizzazione dell’acqua pubblica ha i suoi fondamenti nella legge 36 del 1994, conosciuta col nome del suo primo firmatario, Giancarlo Galli, deputato della Dc e poi del Partito popolare. Da quel momento si spalancarono praterie per i tutti i vari soggetti che vedevano nella distribuzione idrica consistenti motivi di profitto. Sul versante opposto la legge Galli fece nascere un vero e proprio Movimento per l’acqua pubblica che ebbe nel referendum del 2011 (abbinato a quello sul nucleare) l’apice della propria forza con il 95 per cento dei voti a favore. In Umbria si registrò il 59,2 percentuale di affluenza alle urne: 95,5 sulla privatizzazione, il 96,1 sul diritto di trarre profitto dal servizio.
Un referendum in cui prevalse in modo schiacciante l’idea che l’acqua dovesse rimanere pubblica ma che fu bellamente aggirato con il decreto “Salva Italia” (diventato legge nel 2011) con la separazione dei ruoli di 1) «regolatore» ad un’authority nazionale (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Aeegsi), con le sue articolazioni regionali (in Umbria Auri) e 2) «gestore», a soggetti privati cui veniva riconosciuto il principio comunitario del full cost recovery, cioè il recupero di tutti i costi a cui aggiungere una percentuale accettabile di profitto. Tutto in funzione di quella vera e propria deriva che, a cominciare dagli anni ‘80 del secolo scorso, proclamava la ritirata o lo svuotamento dello Stato, «la crescente impotenza della politica e dei Governi nazionali di fronte alla propensione delle forze del mercato e alla riconfigurazione del potere a favore di istituzioni e attori privati», secondo le lucide parole di Emanuele Fantini.
Foto dalla media gallery della Regione Umbria
Pubblicato mercoledì 15 marzo 2020