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Contro l’epidemia monitoriamo i dati della rete

 

La trasmissione del rosario di Papa Francesco su Tv2000 ha fatto registrare un picco di ascolti di oltre 4 milioni, superato ieri solo dall’imbattibile Don Matteo. Forse sarebbe bene che anche l’Umbria, che come tutto il centro sud sta attendendo l’uragano dell’epidemia covid, comprenda che o si usano i dati per contrastare il contagio oppure non rimane che la preghiera. Si tratta a questo punto di trasformare la paura in azione e porsi l’obiettivo di avere una bussola sicura per misurare e pianificare i tempi del picco del virus. Solo la legge delle tre D può permettere di mitigare l’epidemia: dati, dati, dati. È questa la lezione che ci viene da Cina e Corea del Sud, quella parte del mondo che è stata investita per prima e ne sta uscendo per prima. Chi lo comprende subito risparmia vittime. L’esperienza che abbiamo appreso dalla storia della rete è quella di guardare e imparare da chi sta davanti, per vedere cosa ci sia dietro l’angolo. L’onda del contagio che sta montando dalle zone più colpite del nord, e che si abbatterà sul centro-sud può essere anticipata, calcolata, tracciata. Non solo in quantità ma anche in qualità, ossia nelle singole componenti dei social, nei singoli utenti di ogni piattaforma, arrivando a registrare le varianze individuali. Proprio nei giorni scorsi si è conclusa la ricerca a Vo’ – il comune epicentro dell’epidemia italiana – degli epidemiologi della regione Toscana: il 70 per cento del contagio è stato indotto da asintomatici, prevalentemente giovani. Esattamente la figura non tracciata ne controllata dal sistema sanitario. Sono questi i contagiati reali, che moltiplicano l’infezione del Coronavirus. Ce lo spiega uno studio di Tomas Pueyo, un ricercatore dell’università di Stanford, che oggi è considerato forse lo strumento computazionale più completo per afferrare le dinamiche dell’epidemia, passate ma soprattutto future. L’unico modo, si spiega nel saggio, per prevenire l’impatto sul territorio della proliferazione del contagio è quello di analizzare, dettagliatamente, i dati in rete, incrociando i flussi dei social con le utenze dei servizi, per cogliere sia i comportamenti degli utenti che le localizzazione delle comunità.

In concreto, tanto per dirne una, si tratta di combinare i dati della mobilità o dell’assistenza, che sono di dominio pubblico, con quanto emerge dalle piattaforme di Amazon, Google e Facebook, che deve essere negoziato con gli Over The Top e poter così documentare l’incubazione dell’infezione, tracciando sintomi, sentimenti, e movimenti. In questo modo sarebbe stato possibile anticipare e bloccare iniziative inconsulte quali quelle che si sono avute in alcuni comuni del salernitano, dove si sono create situazioni di insicurezza, o anche sarebbe stato possibile, con un grafo che avesse connesso i dati della telefonia mobile con quelli dei social, intercettare i flussi di coloro che dal nord si sono precipitati nelle aree di origine al sud. Questa strategia, lo documenta lucidamente il saggio di Pueyo, non può azzerare il coronavirus, operazione a questo punto impossibile, ma deve permettere di diluirne gli effetti, ritardandone l’esplosione simultanea in tutto il paese, per permettere così una manovra di risposta da parte delle infrastrutture sanitarie.

L’Umbria gode ancora di una certa estraneità alla diffusione dell’infezione, anche se bisogna ancora comprendere come la sua struttura puntiforme, distribuita su larghi spazi ma basata su relazioni dirette possa influire sulle dinamiche della malattia. Decisiva è l’applicazione delle norme di isolamento, movimenti e contatti fra le persone . Questa strategia deve però a questo punto essere sorretta da una visione completa delle dinamiche del virus. Bisogna avere un radar che ci permetta di non colpire al buio, ma sapere dove ci sono le trasgressioni, gli imprevisti, le intolleranze. Non si tratta di voler fare i Pierini, di voler sfidare i giganti. Dobbiamo fare quello che serve, ed oggi è drammaticamente indispensabile avere i dati della rete nel momento in cui tutti sono in rete. Non ci sono problemi di privacy quando si deve monitorare una comunità nel suo complesso, tanto più in una emergenza davvero estrema e inedita. Chi decide deve sapere, almeno quello che sanno i proprietari di queste piattaforme. Come è possibile pensare che un qualsiasi web master di Google e di Facebook possa profilare l’intera popolazione campana, conoscendone gusti, ambizioni, stato di salute e mobilità, usando questi dati per interferire sulle sue scelte e i suoi consumi, e invece gli amministratori del territorio, i dirigenti della sanità, i responsabili della protezione civile, siano al buio?

La regione ha le competenze e i saperi per stare in campo. Il Polo universitario dispone di straordinarie professionalità di ingegneria del software, di architetture di rete e di memorie, di  progettazione di app: nessuno può spiegargli come si costruisce un cloud, come si raccolgono i dati, come si gestiscono le API – sono le chiavi per entrare nelle piattaforme dei social, e selezionare e analizzare i dati. Nei dipartimenti di sociologia e letterature ci sono esperienze e pratiche linguistiche che ci possono, rapidamente, aiutare ad elaborare vocabolari digitali per interrogare i database, anche con le sfumature e le declinazioni culturali e comportamentali locali. Il Governo con il suo centro nazionale, che è stato previsto nel decreto Cura Italia, deve garantire l’accessibilità ai grandi service provider e la trasparenza e tracciabilità di ogni dato. Queste sono le armi per vincere la guerra. Ora in 48 ore bisogna attaccare: mappare le zone grigie della regione, dove sono insediati soggetti considerati connettivi per il rischio, come appunto giovani che per attività, provenienza o sintomi leggeri possono essere sensibili o vulnerabili ad un’infezione per quanto leggera e asintomatica per loro. Senza questa bussola diventerà difficile recintare il contagio. I dati sono non meno dei letti di terapia intensiva: più dati meno bare, ci dicono dalla Cina. Possiamo farlo. Dobbiamo farlo.

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