Cultura, un modello per la ripresa
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Cultura, alla ricerca di un modello per la ripresa

 

Diventa difficile parlare in questi momenti di una delle componenti che differenziano il grado di civiltà di una comunità come la cultura. Credo però che sarebbe del tutto sbagliato non riflettere ora su questo aspetto perché in troppo pochi si sta immaginando cosa ci aspetta, in Umbria almeno, la Toscana ad esempio ha già aggredito il problema del “dopo”. A questo si aggiunge il fatto che nella nostra contemporaneità si sono sommati diversi e differenti fattori che inducono a percepire il contenuto di questa parola come negativo, oppure distorto, identificando per cultura cose che appartengono al più trito provincialismo a al modello della sagra, se non allo strapaesano folklore.

Chi governa una comunità ha però il dovere di immaginare, elaborare e costruire come uscire da questa fase di emergenza e soprattutto di organizzare un modello per la ripresa delle funzioni civili della nostra società: tra queste la cultura non è certo all’ultimo posto, soprattutto in Umbria.

Nell’immediato si parla di circa quaranta milioni di euro di danni per lo spettacolo dal vivo, siamo a marzo e la cifra è destinata a moltiplicarsi nell’approssimarsi della stagione estiva, soprattutto con il probabile annullamento dei grandi Festival. Dai dati diffusi dalla Assomusica sono oltre tremila i concerti annullati in Italia, il sessanta per cento sono stati riprogrammati ma con le ultime disposizioni del Governo diventa inimmaginabile una nuova pianificazione entro l’estate.

Immaginare di concentrare nei mesi di luglio e agosto tutta la programmazione estiva avrebbe l’effetto contrario ad ogni logica di buon senso e in ultima analisi di mercato. Naturalmente questo non vale solo per l’Umbria ma per l’Europa e il mondo intero. Non c’è solo il fattore della inibizione degli assembramenti ma anche la mancanza di collegamenti, spostamenti di tecnici e artisti a consigliare che occorre prendere sul serio la situazione. Smarrire questa rete di operatori e di associazioni sarebbe un ulteriore danno incalcolabile perché si perderebbe un patrimonio di relazioni e conoscenze la cui ricostruzione senza trasmissione richiederebbe anni.

Una argomentazione seria, non una provocazione ma un ragionamento, sicuramente in base alla emergenza e non oltre, potremmo farlo pensando di concedere i contributi previsti per l’anno in corso pur in assenza dello svolgimento delle manifestazioni magari in base a un criterio di continuità mantenuta negli ultimi tre anni, finanziando solo le attività culturali escludendo a priori chi già riceve contributi dallo stato, da Leggi regionali apposite, le manifestazioni folkloristiche, le rievocazioni storiche. Se almeno da questa situazione si uscisse avendo una consapevolezza che esiste una differenza sostanziale non solo semantica tra singoli concerti eventi, festival culturali e manifestazioni di rilevanza locale, siano esse gastronomiche o rievocative, sarebbe un passo avanti.

Una situazione inimmaginabile che si riflette anche nel settore dei beni culturali, la cui promozione e valorizzazione è l’unico elemento a muovere flussi turistici verso la nostra Regione. In Umbria fa eccezione il turismo religioso e in parte quello enogastronomico, che hanno però logiche e capacità di comunicazione del tutto particolari.

La mostra su Taddeo di Bartolo della Galleria Nazionale dell’Umbria è perfettamente allestita ma non ha mai aperto al pubblico e nulla possiamo sapere di quelle previste e anche il misero calendario delle celebrazioni programmate in Umbria per il cinquecentenario di Raffaello non ha più possibilità di essere attuato nella sua pienezza.

In Umbria il modello seguito negli ultimi cinquanta anni, un modello che è stato esemplare quando fu concepito, non ha più la possibilità di essere mantenuto anche alla luce degli effetti del terremoto del 2016, a cui si aggiunge quello tremendo della pandemia attuale. Ripensare radicalmente la modalità di fruizione è un imperativo che nasce dalla oggettività e non certamente da considerazioni campanilistiche. La sola fruizione senza una adeguata promozione e soprattutto in assenza di una capacità di iniziativa con attività di comunicazione, diventa puro stillicidio in uno scenario di insostenibilità della gestione dei piccoli musei: in altre parole solo con i biglietti dei pochi visitatori non si mantengono aperti i musei, neanche quelli dello Stato. Siccome i Comuni non hanno e non avranno risorse adeguate a fronteggiare la situazione diventa centrale il ruolo della Regione e delle diramazioni territoriali del MiBACT nella loro missione di “valorizzare pienamente il “museo diffuso” che caratterizza il paesaggio culturale italiano”. Sarebbe però un danno maggiore indirizzare al solo tamponamento della situazione i fondi europei della nuova programmazione senza una seria e radicale riforma del sistema museale regionale, a partire dai musei di proprietà pubblica e, tanto per essere chiari, anche dei musei privati e ecclesiastici, che, passi la generalizzazione, dovrebbero entrare in una logica di sistema integrato e di adeguamento minimale a standard condivisi per non essere esclusi da un futuro che li coinvolga.

Se questo sforzo riformatore non venisse accompagnato dal supporto delle Fondazioni bancarie, che sembrano sempre più attratte da un modello autonomo e solitario, sarebbe un vero peccato, e non aiuterebbe l’Umbria a porre nuove basi per il suo futuro anche economico.

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