Nella serata di sabato 4 aprile, nel giro di poche ore dalla pubblicazione della notizia da parte di Cronache umbre hanno squillato diversi telefoni. E alla fine il comune di Corciano ha messo nero su bianco che per avere accesso ai buoni spesa garantiti dal Governo per le persone in stato di necessità in seguito alla crisi generata dal coronavirus, «non è necessario il possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo come erroneamente riportato nel modello di domanda». Lo si legge nel sito istituzionale dell’ente, che ha fatto una rapida marcia indietro, come si può vedere da questa foto.
Fonti molto accreditate fanno sapere che alla base dell’errore pare ci sia stata la leggerezza di fare proprio il modello di domanda che era stato messo a punto dal comune di Perugia, che è capofila della zona sociale di cui fa parte Corciano, municipio-satellite del capoluogo. È lì che si nasconde il cavillo che esclude gli stranieri con semplice permesso di soggiorno dai benefici del provvedimento governativo, secondo la personalissima declinazione che ne ha fatto Perugia, unica città in Umbria a operare la discriminazione. Nel modello di domanda messo a punto da Palazzo dei Priori infatti, come si vede dalla foto sotto (e scaricabile qui), si richiede il permesso di soggiorno di lungo periodo, che come abbiamo già spiegato ieri, e come si può leggere nel sito della polizia di stato, viene accordato solo a chi risiede in Italia da almeno cinque anni.
Cosa significa tutto questo? Che i comuni di Corciano e Perugia avrebbero escluso dai benefici dei buoni spesa una platea di poco meno di settemila persone, cioè gli stranieri regolarmente residenti ma da meno di cinque anni. Un provvedimento discriminatorio due volte: la prima perché crea cittadini di serie A e di serie B; la seconda perché le famiglie composte da stranieri in stato di povertà, e quindi potenzialmente più a rischio, lo dice l’Istat, sono circa il 30 per cento, mentre per le famiglie di italiani l’incidenza della povertà relativa nel Centro Italia è di poco superiore al 5 per cento. E non solo. Pure il buon senso suggerisce che per i soggiornanti di lunga durata è più probabile aver trovato una sistemazione stabile – che mette meglio al riparo da crisi repentine – di cui gli altri sono ancora alla ricerca. Di più: le prestazioni garantite dai fondi che il Governo ha messo a disposizione dei Comuni (oltre 800 mila euro nel caso di Perugia) sono vòlte ad assicurare l’acquisto di beni di prima necessità, non chissà quali lussi o priviegi. Tagliarne fuori proprio coloro che ne sono potenzialmente più bisognosi appare ancora di più, quindi, un modo di ragionare al contrario.
Di tutto questo il comune di Corciano si è reso immediatamente conto, raddrizzando le cose. Mentre da Perugia, dove, lo ricordiamo, risiedono circa 20 mila stranieri, un quinto del totale in Umbria, tutto tace. Ciò nonostante la divulgazione di un provvedimento così discriminatorio in un momento così difficile abbia creato sconcerto in una larga parte di cittadini. E non di solo sconcerto si tratta. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ad esempio, sostiene che la decisione del sindaco Andrea Romizi violi le norme contenute nel Testo unico sull’immigrazione, e si è fatta promotrice di un appello volto a ottenere la cancellazione della discriminazione. Ma neanche questo non pare smuovere un Palazzo che appare granitico, dove il sindaco rimane stretto in un assordante silenzio, come le strade senza traffico né persone di questo momento sciagurato.