Il commissariamento dell’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea è salito alla ribalta della cronaca alla vigilia del 25 aprile: la decisione della Giunta regionale guidata da Donatella Tesei arriva con un tempismo che più simbolico non poteva apparire.
Ma attenzione! non si tratta di una scelta maturatasi dopo il 26 ottobre del 2019 perché di accorpamento delle agenzie di ricerca (e formazione) della Regione Umbria si parla (e si scrivono documenti) fin dal 2016 – 2017. Isuc, Cedrav (Centro per la documentazione e la ricerca antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica Umbra), Centro studi giuridici e politici (finanche la Scuola di pubblica amministrazione Villa Umbra) sarebbero dovuti diventare una cosa sola sotto la grande cupola dell’Aur, Agenzia Umbria Ricerche.
Un quadro che ha iniziato a concretizzarsi il 5 marzo 2020 nel disegno di legge della Giunta regionale contenente le “Disposizioni collegate alla legge di stabilità 2020-2022 della Regione Umbria”: l’articolo 5 è tutto dedicato all’Isuc e al commissario liquidatore. La stessa pratica è passata successivamente (10 marzo) al vaglio della Prima Commissione consiliare che l’ha approvata all’unanimità. Il 18 la legge è stata votata dall’Assemblea legislativa regionale.
A questo punto nessuno è legittimato a stracciarsi le vesti per una scelta perfettamente in linea con la linea di pensiero di una maggioranza formata da partiti considerano superfluo (e spesso “fastidioso”) qualsiasi presidio culturale finanziato da denaro pubblico. Una linea di pensiero coincidente con l’egemonia della “cultura contabile” che ha caratterizzato anche molta parte dell’azione governativa locale in Umbria da una quindicina d’anni a questa parte.
L’idea di costituire un Istituto per la storia dell’Umbria dal Risorgimento alla Liberazione scaturì dalle celebrazioni per il 30° anniversario dell’arrivo delle truppe alleate in Umbria, nel 1974: il 29 aprile la Legge regionale n° 31 ne approvò la costituzione, mentre lo statuto venne varato con un altro identico atto nel 1975.
La denominazione Isuc arrivò nel 1983; nel 1995 un’altra legge regionale (la numero 6) ne riconobbe la “piena autonomia statutaria” che ne ha anche legittimato l’entrata nella rete degli istituti storici associati all’Insmli, l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, trasformatosi successivante in Rete per la storia degli istituti per la storia della Resistenza intitolata a Ferruccio Parri. Elementi della storia riportati non solo per il gusto della ricostruzione (pur sintetica) di una vicenda che merita di essere conosciuta ma anche per delineare il quadro delle relazioni in cui si inserisce un centro di produzione culturale che nei suoi 45 anni di attività ha prodotto centinaia di incontri e ricerche coprendo tutto il territorio regionale, editato una corrispondente quantità di volumi, accolto e formato migliaia di ragazze e ragazzi delle scuole superiori dell’Umbria.
C’è prima di tutto da chiedersi come mai l’Isuc (al pari del Cedrav e del Centro studi politici e giuridici) sia stato lasciato andare alla deriva, i suoi ricercatori e le sue ricercatrici mantenute nella precarietà a vita, il suo ruolo “stritolato” nella tenaglia degli accordi di potere tra maggioranze regionali e baronie accademiche che mai hanno guardato con favore a qualsiasi soggetto “esterno” ai loro recinti. Va detto pure che la presidenza durata 20 anni di Mario Tosti, docente universitario e per un periodo anche preside della facoltà di lettere, ha temperato questo dualismo.
L’accorpamento dell’Isuc (con Cedrav e Cspg) in un’unica agenzia regionale oltre a manifestarsi come un “mostro” istituzionale costituirebbe uno snaturamento profondo delle identità e dei patrimoni di cultura di cui sono titolari. Senza trascurare gli effetti che si produrrebbero sull’unico centro di ricerca ubicato nella Valnerina terremotata: il Cedrav ha la sua sede a Cerreto di Spoleto.
Già si registrano prese di posizione in difesa di questi presidi culturali.
Il sindaco di Parrano, Valentino Filippetti, ha inviato una lettera ai suoi omologhi dell’Umbria in cui, tra l’altro, si legge: «Con il commissariamento si colpisce l’attività di ricerca. E in barba alla tanto sbandierata autonomia dei Comuni si chiudono esperienze importanti nate proprio per iniziativa dei Comuni come il Cedrav. A questo si aggiunge il costo esorbitante e assurdo dell’operazione. Ad esempio l’Isuc non prevedeva compensi per gli amministratori mentre il liquidatore costerà come un dirigente regionale quindi qualcosa di più di 50.000 euro l’anno».