Una stanza vuota
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Il Pd, il vuoto della politica, i bisogni della società

 

Apparentemente Francesco De Rebotti avrebbe espresso un’ovvietà. Il sindaco di Narni, che del Pd fa parte, ha detto che il Pd «non esiste più, non appassiona, non produce visione, idee, progetti, non discute in nessun luogo». Una verità tanto lampante da trasformarsi in banalità, appunto. Eppure per arrivare a una uscita pubblica del genere ci sono voluti anni, se si escludono gli strali dello stesso De Rebotti e del sindaco di Gualdo Tadino, Massimiliano Presciutti, all’indomani della vittoria della destra alle elezioni regionali, entrambi rimasti lettera morta. Non è da oggi che il Pd «non esiste più», che non riesce neanche a discutere al suo interno delle sberle elettorali che regolarmente prende in questa regione dal 2014 ed è chiuso in conciliaboli tanto inutili e stucchevoli quanto incomprensibili e anacronistici. Sono anni e anni che è così. Il fatto che si sia impiegato così tanto tempo testimonia del panorama disastrato nel quale ci muoviamo in questa regione e non solo, di una opinione pubblica dismessa che fa fatica persino a riconoscere l’ovvio, appunto. E dice di una crisi che non è solo politica ma sociale, o forse sarebbe più corretto dire che rimanda a una difficoltà di comunicazione tra società e politica. Qui sta il primo punto che le parole da titolone di De Rebotti rischiano di celare. E ce n’è un secondo, di punto: la questione non è confinata al Pd.

È la politica dei partiti tutta, in Umbria come altrove, che non esiste più. Dove e come decidono la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia? Non si sa. Che cosa ha prodotto l’arcipelago sempre meno rilevante dei partitini alla sinistra del Pd? Nulla. La questione può bruciare più al di qua che al di là del Pd per la tendenza storica all’orizzontalità di certe culture politiche rispetto al leaderismo che tende a caratterizzare le destre, le quali possono forse accomodarsi meglio in uno scenario del genere. Ma non è neanche questo il punto. La questione è che non elaborando più i partiti sono diventati da un lato luoghi di carrierismo e, quindi, di scontri personali del tutto svincolati da orizzonti pubblici in quanto legati al destino individuale di questo o quel leaderino; e dall’altro cinghie di trasmissione di poteri ben più organizzati e forti di quello politico. E qui sta l’interesse pubblico della cosa e il motivo per cui vale la pena di affrontarla in questa sede.

Nel panorama desertico della politica dei partiti e dell’incapacità delle poche forze sociali che resistono a tradursi in politica spiccano gli interessi tipici dei poteri forti che tendono a rappresentarsi come pubblici (e ci riescono) ma che sono smaccatamente di parte. La mistica dell’impresa portatrice di benessere che innerva le politiche pubbliche da decenni, in Umbria come altrove, ha portato a una crisi di sistema e a un precariato esistenziale che durano da più di un decennio e dai quali si continua a voler uscire con le stesse ricette che hanno prodotto la desertificazione di diritti e qualità della vita. Questo succede perché nel vuoto dell’elaborazione pubblica, sociale e politica, gli unici interessi che riescono a farsi sentire sono quelli del più forte, cioè dell’impresa, che detta i suoi ritmi, modi e tempi al resto della società, la quale non è e non può essere riconducibile all’impresa. La bruttura degli scatoloni di cemento vuoti che costellano i nostri paesaggi, la pressoché totale impossibilità di godere di spazi pubblici degni di nome, l’angoscia di dover vivere appesi a redditi di una manciata di centinaia di euro e lavorare sotto ricatto sono il frutto di questa forzata aziendalizzazione sociale avanzata nel vuoto della politica dei partiti, che i partiti stessi, a causa della loro vuotaggine, hanno fatto propria.

Cronache Umbre sta tentando fin da questi suoi primi mesi di vita di portare all’attenzione del pubblico cose reali, quelle di cui la politica dei partiti, chiusa nella sua bolla virtuale, ha smesso di occuparsi: la mancanza di copertura della banda larga, che non è una mera questione di velocità di collegamento a internet ma è diventata fonte di affermazione di diritti o della loro negazione; la gestione dei servizi pubblici; quella dei fondi europei, di come vengono erogati e utilizzati e di chi ne beneficia; quella della sanità, che è stata ridotta nel tempo a esercizio di ragioneria, secondo il dogma imposto dai sacerdoti dell’austerità. Nel futuro prossimo dell’Umbria ci sarà da discutere di come alleviare la condizione di sofferenza delle tante e dei tanti frustrati nelle loro possibilità di darsi un piano di vita decente a causa della mancanza di reddito, di come riorganizzare le città a partire dai bisogni, se bruciare i rifiuti negli inceneritori con tutti i rischi che ne conseguono o avviare una seria politica di economia circolare.

Per tutto questo servirebbero elaborazione, idee, acquisizione di buone pratiche, capacità di sperimentazione e di dire no a interessi privati che sono in grado di ledere quelli comuni. Tutte attività alle quali la politica dei partiti, ridotta nel migliore dei casi a meme su facebook, è completamente disabituata. A Perugia nei mesi del lockdown che hanno inasprito la già difficile condizione di migliaia di persone, a muoversi in prima battuta per alleviare le condizioni di bisogno sono stati gruppi spontanei di cittadini che hanno organizzato spese solidali e distribuzione di beni, con i partiti istituzionali a fare da spettatori, quando non a voltarsi dall’altra parte. Per questo forse parlare di politica per come la conosciamo non ha più neanche senso ed è diventato fenomeno inerziale, che ci inibisce la comprensione di cose nuove a causa degli occhiali vecchi che utilizziamo. Per questo la società che si muove dovrebbe fare lo sforzo di tradursi in qualcosa di più del semplice atto personale. Per questo, in tempi disastrati, vanno bene anche le ovvietà: il Pd non esiste più, non esiste più la politica tout court, è tempo di inforcare occhiali nuovi e imboccare strade inesplorate. Ma davvero, non solo a parole.

Foto di Bren-birb da www.pixabay.com

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