Il capogruppo del Partito democratico nell’Assemblea legislativa dell’Umbria, Tommaso Bori, ci ha inviato questo contributo che ospitiamo aprendo un nuovo spazio, “Idee a confronto”, pensato come una libera piazza in cui ricominciare a far circolare idee
Epidemie e pandemie sono parte integrante della storia dell’umanità: dalla peste di Atene che falcidiò Pericle a quella di Tebe raccontata nell’Edipo di Sofocle, dalla peste nera del ‘300 a quella di manzoniana memoria del ‘600. Per arrivare alla pandemia influenzale Spagnola che, con le sue ondate tra le due guerre mondiali, si diffuse dalle remote isole dell’oceano Pacifico fino agli abitanti del mar Glaciale Artico. Solo dall’inizio del nuovo millennio abbiamo combattuto e vinto la Sars nel 2003, l’Aviaria nel 2009 e l’Ebola 2014-2016. Ciò nonostante, la pandemia di Covid-19 può essere considerata un unicum, il primo caso che è riuscito a bloccare il mondo, in virtù di una serie di circostanze naturali e sociali che hanno permesso il dilagare del virus e su cui dovremmo interrogarci tutti.
In un mondo da decenni interconnesso, l’emergenza da Codiv-19 è divenuta un’esperienza globale arrivando a rappresentare anche un drammatico esperimento di interdipendenza sociale e biologica. Stiamo rischiando che, una volta vinta la battaglia, non si ristabilisca la normalità a cui eravamo abituati, o forse assuefatti, e che nulla sarà più come prima. Per questo motivo è importante alzare lo sguardo e, anche in piena crisi, avere la lucidità di elaborare un pensiero lungo che prefiguri i capisaldi di una rinascita post emergenziale, basata su ideali e valori con radici antiche, ma declinati in maniera nuova. Nel prossimo futuro ci attenderanno probabilmente delle scelte importanti, che rischiano di cambiare la storia dell’intero pianeta.
Superata questa difficile quanto estenuante fase di emergenza sanitaria, la politica sarà investita di nuove responsabilità che condizioneranno il nostro futuro. Una fra tutte: il non tentare semplicemente di riportare il mondo nella situazione pre Covid, ma, al contrario, provare a ridisegnarlo nei suoi tratti principali su basi nuove. In queste sfide, che si annunciano cruciali, la politica potrà tornare ad essere protagonista riaffermando gli ideali e le speranze che da sempre hanno caratterizzato le forze progressiste e riformiste in Italia, in Europa e nel mondo. La centralità del lavoro, la lotta per i diritti sociali e quelli civili, le nuove opportunità e le tutele per chi è rimasto indietro, non lasciando solo nessuno. Ma anche nuovi modelli di sviluppo compatibili con la transizione ecologica e la crisi climatica, ma soprattutto, un impegno concreto per il superamento delle disuguaglianze in ogni loro forma, sociali ed economiche, fortemente aggravate dalla pandemia e troppo spesso a danno delle donne. Tenuto conto dei costi umani, economici e psicologici consumati in questi mesi, occorre attrezzarsi fin da adesso per portare in questo prossimo “nuovo mondo” Covid free, ciò che di buono ha prodotto la società contemporanea nel suo insieme, abbandonando definitivamente le zavorre che hanno contribuito a mettere, e solo in pochi anni, un’ipoteca sul futuro del nostro pianeta: superare la finanziarizzazione dell’economia, lo sfruttamento dei lavoratori, il consumo incondizionato delle risorse naturali, la privatizzazione progressiva della sanità, l’accumulazione di Big Data e tutte quelle distorsioni di un sistema di mercato che hanno anteposto il profitto alla dignità delle persone.
La capacità di essere popolari e non populisti. Una nuova sfida tra neo-conservatori e neo-progressisti, che si misurerà nei fatti con vere e proprie scelte campo. Un anno fa, ad inizio pandemia, il premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus dichiarò che «la crisi del Coronavirus ci sta offrendo inestimabili opportunità per un nuovo inizio». Ritengo che a tutti i livelli si possa immaginare un nuovo inizio: una nuova stagione. Nelle istituzioni, nel mondo del lavoro e della produzione, nel campo delle relazioni sociali e personali, in quello della scuola e della cultura e, non ultimo, nella politica.
Il mio partito, il Partito democratico, dopo settimane travagliate ha trovato la forza di rialzarsi e di ripartire con il piede giusto. «Non avete bisogno di un nuovo segretario, ma di un nuovo Pd», ha dichiarato il neo segretario Enrico Letta, ed è ciò che tutti, o quasi, auspichiamo. In questo senso, di Letta ho apprezzato la lucidità e la schiettezza utilizzata nel mettere a fuoco i problemi più profondi che affliggono il nostro partito. Nicola Zingaretti ha provato con generosità negli ultimi due anni a ridare un’anima e un’identità al Partito democratico, ma non gli è stato consentito. Le sue dimissioni non vanno archiviate come una pratica burocratica, ma debbono essere una molla per il cambiamento. Occorre adesso avviare una profonda riflessione e affrontare i motivi per cui, dalla fondazione del Partito democratico ad oggi, nessun segretario è riuscito a portare a termine il proprio mandato. E molti di loro sono poi fuoriusciti dal Pd. Serve una fase nuova, una spinta dal basso per ripartire con la costruzione della fondamenta di una casa comune per tutto il campo largo del centro-sinistra. Aprire davvero una fase costituente che ridia smalto alle proposte, un’identità chiara al partito e dignità ad una comunità larga e diffusa, progressista, civica e ambientalista che ha fame e sete di futuro, animata da una legittima voglia di riscatto. Occorre aprire un cantiere della ricostruzione, in cui trovino cittadinanza gli ideali e i valori, e non più gli interessi particolari, personali o di corrente. In cui si parli dei problemi reali e delle soluzioni da adottare, in sintonia con le aspettative più profonde del Paese.
Serve un Partito democratico che accetti quello che la sua comunità ha già capito: di aver bisogno di nuova linfa e di nuove parole d’ordine e di allargare i propri orizzonti verso una società più aperta e inclusiva, in cui i nuovi e antichi diritti di appartenenza siano garantiti da un’azione politica strutturata nel territorio e, nondimeno, da un governo riformista, seppur d’emergenza nazionale, che abbia il coraggio di sfidare il futuro, partendo dalla questione giovanile e femminile. Giova, infatti, ricordare a noi stessi che il debito creato a seguito della pandemia sarà senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente dalle generazioni oggi meno rappresentate. In tempi non sospetti lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, da presidente della Bce, dichiarò che è dovere delle istituzioni «far sì che i giovani abbiano tutti gli strumenti per farlo. Per anni – sottolineava Draghi – una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi». Non possiamo permetterci di lasciare un paese in cui il segno più è soltanto davanti alla voce debiti.
Torna dunque il tema del pensiero lungo e dal coraggio del centro-sinistra di anticipare e costruire, oggi, il futuro. In Umbria, complice l’incapacità e l’incoerenza dimostrata dalla destra a trazione leghista, specie nella gestione dell’emergenza sanitaria, sta montando il dissenso nei loro confronti. Ma ora va trasformato in consenso nei nostri, per farlo serve fare presto e bene, inaugurando un cantiere che possa gettare le basi per riaffermare un nuovo protagonismo le forze politiche e sociali che credono ancora in un’alternativa dei valori e delle idee. Un nuovo inizio, per tornare a vincere, consapevoli degli errori del passato, ma anche dell’urgenza di ristabilire un clima di unità che premi le migliori energie e le proposte più convincenti l’Umbria. Abbiamo una storia da difendere e una speranza da riaccendere. Non sprechiamo quindi l’occasione, avviamo subito un dialogo aperto e stimoliamo la società umbra a riprendere la parola e promuovere riflessioni sul futuro che ci meritiamo. Ripartiamo da una visione per l’Umbria del futuro. Mi auguro che, anche attraverso Cronache Umbre, si inneschi questo processo virtuoso per una vera contaminazione di idee e progetti, come banco di prova delle future alleanze. Serve tornare a parlarsi e a dialogare proficuamente con quel pezzo di società umbra che si è sentito tradito da scelte sbagliate e che è insoddisfatto per la qualità dell’offerta politica che la sinistra ha espresso negli anni. Una discontinuità nelle prassi, senza un disconoscimento dei valori. Con umiltà e piena consapevolezza della posta in gioco, proviamoci insieme.
In copertina, foto tratta dal profilo Flickr del Partito democratico di Cagliari
Ultimo aggiornamento 2/4/2021