Nei mesi scorsi i metalmeccanici hanno ottenuto il loro nuovo contratto. Subito dopo sono iniziati i lavori per la contrattazione articolata nelle aziende ed emerge una grande novità. In molti casi i nuovi accordi si basano sull’idea dei benefit aziendali. Questi “premi” sono stati elaborati sulla base di sondaggi e di rilevazioni di opinione (premi immediati, food&beverage, benefit finanziari e previdenziali, smart working).
Siamo in un altro mondo che vede completarsi la mutazione sociale e culturale della classe operaia. Si realizza la profilazione dei consumi individuali e poi si compone un cluster sociale e non più una classe, o almeno figure professionali negoziali. La classe operaia era un soggetto politico e sociale che aveva una visione egemonica del mondo perché deteneva il fare del mondo nuovo. La scomposizione dei cicli, la digitalizzazione, le filiere lunghe hanno disarticolato il sapere sociale di classe e la classe stessa e la sua capacità di rappresentarsi come soggetto collettivo. Oggi gli operai sono individui rassegnati ed incazzati, presi da quel meccanismo compulsivo di manipolazione del desiderio che si chiama consumo.
Siamo all’esito finale di una lunga transizione dove le ambizioni e le culture del lavoro manifatturiero sono del tutto sfuggite ad ogni griglia socio-politica di classe e si sono frantumate in un pulviscolo di singoli destini in cui i poveri sfuggono alla propria realtà pensando da ricchi. Per semplificare: se all’operaio togli il socialismo, come obiettivo gli rimane il premio di produzione indotto dal fatturato del suo padrone. Del resto Gramsci diceva che la missione dei comunisti è l’emancipazione morale ed intellettuale della classe operaia, perché la miseria e la subordinazione sono brutte e fanno delle brutte cose alla testa e ai corpi delle persone. Certamente ci dobbiamo interrogare se Gramsci sia ancora centrale o solo utile nella ricostruzione di un pensiero di sinistra sul mondo come è oggi.
Se pensiamo che il dualismo di oggi sia tra egemonia e potenza, il capitale nella sua multiforme e inesauribile capacità di mutazione antropologica si propone oggi con una forma di egemonia di una logica automatica più che di un pensiero. Ce lo ha spiegato bene Draghi in questi giorni: l’efficienza tecnica è di per se un valore sociale. L’antagonista a questa forma di governo delle coscienze deve essere una potenza di contrasto e non più una capacità di orientamento culturale e politica di ceti diffusi, che, punto a punto, momento a momento, riprogrammi pensiero e tecniche. Il nodo riguarda la modalità di questo contrasto che a mio parere deve realizzarsi a partire dal punto più alto dello sviluppo, per poter dominare le concatenazioni automatiche. Questa è quello che chiede la transizione prodotta dalla rivoluzione digitale.