L’assessore regionale dell’Umbria all’Innovazione sta così avanti che non la costruisce, l’innovazione, ci vive già dentro.
Essendo stato richiesto di spiegare come mai la giunta di cui fa parte abbia negato il finanziamento alla legge sul commercio equo e solidale, ha risposto che quella norma «è nata in una stagione diversa per orientare i consumatori a scelte di acquisto più consapevoli e al consumo etico». Un’attività che secondo Michele Fioroni oggi è superata, dal momento che «le stesse aziende hanno negli anni compreso la necessità di una tracciabilità etica dei prodotti, anche per evitare pubblicità negativa». A stare alle parole dell’assessore la legge sembrerebbe un residuo ottocentesco, invece è stata approvata in Consiglio regionale non un secolo fa, ma nel 2007.
In meno di un quindicennio quindi, sarebbero scomparsi la miriade di bambine e bambini privati dell’infanzia per fabbricare vestiti e giocattoli con cui loro non potranno mai giocare e che non potranno mai indossare; si sono riscattate tutte le comunità costrette a privarsi della loro terra per poi lavorarla per quattro spiccioli e coltivarci prodotti destinati al mercato occidentale; hanno risolto i loro problemi i milioni e milioni di uomini e donne e bambini e bambine per cui il lavoro è esposizione a sostanze inquinanti, a pericoli di morte costanti e corrisposto con salari che non consentono di soddisfare neanche i bisogni primari.
Gli uomini e le donne che ritengono che ci sia una ampia fetta di umanità dolente che porta sulla pelle gli squilibri del commercio mondiale e si adoperano per progetti di sviluppo che garantiscano un compenso equo e la difesa dei diritti umani di chi lavora, sono persone confinate «in un alveo ideologico limitato a una cerchia molto ristretta di consumatori consapevoli».
Se quelle parole tra virgolette non fossero state messe nero su bianco in una nota dell’ufficio stampa dell’assemblea di Palazzo Cesaroni, si stenterebbe a credere che possano essere state pronunciate dall’assessore nella massima assise regionale. Perché in un colpo solo Fioroni, prima contraddice se stesso sostenendo che i «consumatori consapevoli» sono «una cerchia molto ristretta», smentendo così la premessa del suo discorso sull’estensione della tracciabilità etica dei prodotti che renderebbe ormai datato il commercio equo e solidale. E poi relega alla militanza ideologica, con lo sgraziato tentativo di denigrarla, una pratica che per migliaia di famiglie e lavoratori significa dignità.
Ma va così, se nel mondo ideale di Fioroni e della sua Giunta la «tracciabilità etica» dei prodotti si è così diffusa da aver risolto il problema alla radice, è ovvio che non c’è neanche bisogno di «iniziative di informazione ed educazione nelle scuole» per informare sugli «effetti ambientali e sociali derivanti dalla produzione e commercializzazione dei prodotti del commercio equo e solidale». Rimane solo una seccatura: quella prescrizione sta scritta nell’articolo 5 della legge regionale che Fioroni e la sua Giunta hanno deciso di disattendere. Dovrebbero quindi abrogarla, quella legge, se non altro per rispetto dell’istituzione che sono stati chiamati a governare e per non rendersi protagonisti di una illegalità. Ma chi sta così tanto avanti ha altre priorità, non gli si può chiedere di perdere il suo prezioso tempo con lacci e lacciuoli come il rispetto del decoro istituzionale.
Costerebbe 35 mila euro, il rispetto di quella legge, a tanto ammontava il finanziamento accordato: allo 0,000875 per cento (avete letto bene) del bilancio della Regione Umbria. Quei pochi soldi – che sono terzo di quanto incassa dalla Regione Fratelli d’Italia, il partito di cui Fioroni è espressione – nel corso degli anni hanno dato luogo a una festa regionale che in qualsiasi luogo in cui si è tenuta ha portato migliaia di persone; e hanno permesso di fare educazione alla dignità a migliaia di studenti. Già, la dignità.