I progetti sbagliati, i problemi dalle radici profondissime e l’incapacità di analizzarli sotto la coltre di slogan e propaganda che da tempo attanaglia il dibattito intorno a un’area che necessita di tutt’altro. Seconda parte di una controstoria. La prima si può leggere qui.
Una volta scavallato il Duemila, c’è una prima volta in cui in Consiglio comunale si sente associata la parola “sicurezza” al quartiere di Fontivegge. È il 18 gennaio 2001. A porre la questione è il consigliere di Alleanza nazionale Daniele Porena, che presenta una mozione con la quale chiede che il Comune stipuli una convenzione con istituti di vigilanza privata per il controllo della zona in modo da sgravare il lavoro delle forze dell’ordine, già molto impegnate. Qualche mese dopo, a giugno, sarà l’esponente di Forza Italia Pietro Sorcini ad avanzare la richiesta dell’istituzione del vigile di quartiere. Sorcini fa riferimento a un «preoccupante e progressivo incremento della microcriminalità». Però le soluzioni proposte da lui e dal collega Porena, sono ancora light, per così dire, e testimoniano di un clima generale in cui si è ben lungi dal chiamare l’esercito, come abbiamo visto che avverrà negli anni dieci del duemila.
Non è stato sempre così
In quegli anni all’alba del nuovo secolo Fontivegge arriva sui banchi del Consiglio per altre questioni, che a dire il vero l’attanagliano tutt’ora: traffico e smog. A titolo di esempio, Mario Peccetti (Forza Italia), in un’istanza del 13 febbraio 2002, parlerà di «aria irrespirabile», e il suo collega di partito, Massimo Monni, sarà protagonista di diversi botta e risposta con l’assessore all’Ambiente dell’epoca, Silvano Rometti, proprio a causa dei valori di inquinanti registrati dalla centralina di rilevamento della zona. Sulla questione interverrà addirittura una classe dell’istituto per geometri, la VB, che il 14 giugno presenterà una sua proposta per alleviare il peso del traffico veicolare nella zona. Il fatto che nel frattempo caos e inquinamento continuino a farla da padroni nella zona, ma non si parli d’altro che di microcriminalità, la dice lunga anche su come, nel volgere di pochi anni, il discorso pubblico sia stato egemonizzato da altro, anche al di là del reale peso dei problemi.
Cemento su cemento
In quegli anni del resto si discute del nuovo piano regolatore che verrà approvato nel 2002, e che sancirà l’assetto definitivo dell’area con la realizzazione, prevista ma non ancora completata, dello “steccone” di abitazioni che costeggia il lato sinistro di via Mario Angeloni. Cemento su cemento. In un’area già caratterizzata da un’alta densità edilizia costituita prevalentemente dall’offerta di piccole abitazioni in grandi edifici. Rivolta cioè, nelle migliori intenzioni, a giovani coppie o studenti, persone cioè “di passaggio”, peculiarità che rischia di rendere la zona meno curata rispetto a quanto avviene in quelle dove c’è presenza di residenti di lungo corso. Nei fatti poi, in quelle costruzioni a monte e a valle della ferrovia, spesso si andrà a installare una umanità dolente, dedita in parte a soddisfare i mercati del sesso a pagamento e delle sostanze, sempre fiorenti in una città indignata da un lato ma deviante dall’altro, anche in alcuni dei suoi ambienti più insospettabili.
Si apre il vuoto
La ferita di Fontivegge che non si rimargina si era aperta alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, quando la Perugina, fabbrica che per cinquant’anni aveva occupato l’area coincidente con l’attuale piazza del Bacio, venne trasferita nella sede di San Sisto. Quell’asportazione ha creato un vuoto che si è inteso colmare con la realizzazione di un centro direzionale che avrebbe dovuto fare da cerniera tra la città vecchia che aveva cominciato a fuoriuscire dalle mura e quella nuova che avrebbe voracizzato la campagna a sud. Più che una cerniera, è scaturita una cicatrice sghemba, un mondo al contrario in cui per raggiungere l’altra parte di città tagliata dalla ferrovia devi percorrere metri sottoterra, se sei pedone, oppure ti imbottigli in una lingua d’asfalto in cui si affastellano tonnellate di lamiere motorizzate. Doveva andare così? Non era detto. Quel cemento e quella cicatrice sono frutto della sbornia sviluppista di cui sono stati intrisi interi decenni della nostra storia. E però, già nel 1993, l’architetto Paolo Ceccarelli, nel suo articolo “Appunti sull’urbanistica perugina dal secondo dopoguerra ad oggi”, segnalava come «un grave errore» quell’idea di assetto urbanistico. «La ‘cerniera’ tra vecchio e nuovo – scriveva Ceccarelli – è una striscia compresa tra ferrovia e collina e di fatto costituisce – e soprattutto costituirà – più una strozzatura che un punto di aperto collegamento». Ancora: doveva andare così? Forse, ma ci sono state alternative scartate. Come il progetto dell’architetto giapponese Tsuto Kimura, originariamente vincitore del bando per riqualificare l’area, che prevedeva percorsi aerei carrabili e pedonali, al di sopra e non al di sotto della ferrovia, per collegare vecchio e nuovo. Kimura venne cestinato. E si preferì successivamente l’idea di Aldo Rossi, «più architettonica che urbanistica», cioè più estetica che funzionale, secondo la definizione che ne dà un documento di Palazzo dei Priori. Piazza del Bacio è nata così: immaginata come «nuovo centro» ma diventata ombelico di problemi. Tanto che a un certo punto, all’inizio degli anni Duemila, si è tentato di cambiarle anche nome. «Piazza nuova», si legge in alcuni comunicati risalenti alla seconda giunta Locchi. Invece, niente: è rimasta piazza del Bacio, una parabola che sa (quasi) di condanna.
Slogan e no
In effetti, quando ancora il discorso pubblico aveva un minimo di articolazione oggi sepolta sotto la sloganistica, la destra di opposizione ci provava a legare la questione sicurezza a quella urbanistica. «Noi della Casa delle libertà – si legge in una nota del novembre 2003 – abbiamo affermato che molto dipendeva dalle scelte urbanistiche che questa amministrazione avrebbe fatto nel Prg e venivamo criticati. Oggi ci si accorge anche di questo, ossia dell’assurdità nell’aver creato dei veri e propri ghetti nelle zone del Bellocchio e di Fontivegge, ricettacolo di sbandati. È stata questa amministrazione, insomma, a creare le condizioni per far arrivare la malavita a Perugia, fornendo le strutture e le situazioni adatte. Altri errori sono stati commessi in materia sociale; privilegiare in modo sconsiderato tossicodipendenti e quant’altri ha contribuito a creare una situazione a Perugia invivibile». Al di là dell’enfasi propagandistica, delle accuse piuttosto bizzarre di «privilegiare in modo sconsiderato i tossicodipendenti» e di «far arrivare la malavita», e al di là della non precisa messa a fuoco di questioni che avevano radici anche più antiche rispetto a chi governava in quel momento, c’è stato un momento in cui la destra non ha invocato solo “tolleranze zero” e chiamate dell’esercito, e tentava una lettura meno semplicistica del fenomeno rispetto a quanto sarebbe accaduto dopo. Un’attitudine smarrita via via che passavano gli anni, fino ad arrivare ai selfie del senatore Pillon con le camionette dell’esercito sullo sfondo. Anzi: c’è da rilevare che fino a un certo punto, tranne qualche folata, la destra della sicurezza a Fontivegge parla assai poco. Cosa che sembra strana a riguardarla con gli occhi dell’oggi e alla luce di quello che stiamo per raccontare.
La destra lontana da Fontivegge
Il primo consigliere a puntare i riflettori sulla sicurezza a Fontivegge in maniera organica siede sui banchi della maggioranza, e anche se non lo sa ancora, sarà in futuro pure il segretario regionale del Pd prima di uscire dal partito per abbracciare Carlo Calenda. Siamo nel gennaio 2005 quando Giacomo Leonelli presenta in Consiglio un ordine del giorno in cui, dopo aver rilevato che «Fontivegge soffre della carenza di strutture e iniziative» e che «tale situazione determina una desertificazione dell’intera area che può lasciare spazio anche a fenomeni di insicurezza e microcriminalità», invita la Giunta «a prevedere l’allocazione di importanti iniziative culturali e commerciali nell’area e a fare un monitoraggio delle strutture del patrimonio del Comune presenti al fine di valutare la possibilità di destinarne le eventuali alla partecipazione e all’aggregazione dei cittadini». L’ordine del giorno verrà approvato il 27 maggio, e si può dire che sia di fatto quella la data in cui la sicurezza a Fontivegge diventa un tema nell’agenda cittadina. Ed è interessante leggere il resoconto del dibattito in aula per capire come, a quella data, ci sia, al di là dei diversi toni, una generale presa di coscienza che Fontivegge è una ferita, anche al di là della sicurezza.
La prima volta di Locchi
La situazione è ormai tale che anche un sindaco accortissimo, che fino ad allora aveva accuratamente tenuto a distanza la questione, come Renato Locchi, è costretto a uscire in qualche modo allo scoperto per dire, siamo ad agosto, che «per il risanamento di quest’area, particolarmente critica è necessario far convergere i controlli delle varie istituzioni» L’allora sindaco pronuncia queste parole mentre incontra il nuovo comandante della Guardia di finanza e lo mette al corrente del fatto che i vigili urbani stanno controllando gli affitti in zona Fontivegge. La questione della sicurezza è ancora legata a un contesto insomma, non viene dipinta come un attacco ai cittadini perbene da parte dei delinquenti; si tenta di rinvenirne le ragioni profonde per arrivare a soluzioni davvero efficaci. Non sarà un approccio sistemico, ma neanche eccessivamente semplicistico. Ma l’impasto urbanistico sbagliato produce ormai i suoi effetti, difficili da delimitare. A dicembre 2005, nella conferenza stampa di fine anno, Locchi toccherà la questione: «Un’attenzione particolare abbiamo avuto per la zona di Fontivegge, sottoposta ad un lavoro complessivo di bonifica, non solo sul piano dell’ordine pubblico». Si tenta ancora di andare un minimo al di là di legge e ordine. Sono gli anni in cui il Comune riesce a farsi ammettere come parte civile nei processi contro gli sfruttatori della prostituzione, fenomeno che imperversa nella zona. Ma non basta. Un paio di mesi prima, un altro consigliere del partito di Berlusconi, Armando Fronduti, aveva definito Fontivegge «il punto più elevato di degrado oggi esistente nel Comune». La questione è conclamata. Nel gennaio 2006 gli assessori Chianella e Capaldini terranno una conferenza stampa per far sapere che si procederà di lì a poche settimane all’istituzione di un posto fisso dei vigili urbani davanti alla stazione. Antonello Chianella ha la delega alla sicurezza, Tiziana Capaldini quella alle politiche sociali. Si tenta di tenere legati i due ambiti insomma, e durante la conferenza stampa si sottolinea che nel posto fisso, vigili e operatori agiranno insieme per dare risposte ai cittadini. A maggio Chianella istituisce anche il vigile di quartiere, chiesto pochi anni prima dall’opposizione. Nel frattempo, in piazza del Bacio si tengono alcuni degli appuntamenti dell’estate perugina. E si controlla. La polizia municipale fa sapere che nel periodo 20 marzo-10 maggio sono stati effettuati «40 controlli nelle aree verdi, 155 controlli di cessioni di fabbricati, 1 controllo di polizia urbana, 1 controllo di edilizia, 1 controllo di ordinanze, 4 controlli per incidenti stradali, 75 notifiche di atti, 9 controlli di occupazione di suolo pubblico, 204 controlli su pratiche anagrafiche, 3 artigianali, 1 di condizioni economiche, 221 di altro genere, 1 segnalazione di ripristino segnaletica, 2 controlli su veicoli in stato di abbandono, 2 interventi di viabilità, 1 di viabilità nei pressi di scuole, 569 accertamenti di violazioni al codice della strada, 7 accertamenti di violazioni ai regolamenti comunali». Bastone e carota. Sociale e sicurezza. Ma Fontivegge pare aver imboccato un circolo vizioso.
A luglio 2007 è ancora Leonelli a presentare una mozione in cui si cerca ancora di tenere insieme le questioni del ripopolamento dell’area attraverso iniziative culturali e quella relativa alla sicurezza. A dicembre, a differenza di quanto era accaduto ventiquattro mesi prima, il sindaco Locchi non dirà nulla su Fontivegge nella consueta conferenza di fine anno. Eppure la situazione non è migliorata. Tanto che il 17 gennaio 2008 si terrà un consiglio comunale monotematico sulla sicurezza in cui verrà approvato un documento della maggioranza che sostiene Locchi che chiede, tra le altre cose «la video-sorveglianza per controllare i sottopassi che collegano il quartiere alla stazione di Fontivegge, specie di notte». I sottopassi che l’architetto giapponese voleva far transitare in aria.
La patata bollente
Ma quella della sicurezza sarà una patata bollente che il sindaco ormai giunto all’ultimo anno del suo mandato lascerà nelle mani del suo successore e delfino, Wladimiro Boccali, il quale innesta sulla questione un cambio di marcia che però, a giudicare dalla sconfitta subita al termine del primo mandato ad opera di Romizi, non gli ha portato bene. È nella sindacatura dell’ex assessore alle Politiche sociali prima, e all’Urbanistica poi, che la questione sicurezza in città esplode, e Fontivegge ne è uno degli epicentri, con la coda lunghissima dell’omicidio Meredith a fare da amplificatore nazionale. È in questi mesi che l’approccio “sistemico” alla sicurezza, il considerare che urbanistica, territorio, socialità sono parti del problema fa spazio a una sorta di isteria strisciante che non risparmia nessuno: stampa, opposizione a cavallo sulla vicenda e maggioranza spaesata e incapace di affrontare decentemente la cosa. Boccali viene eletto sindaco il 24 maggio 2009. Fiuta che l’aria sta diventando pesante e tenta il cambio di passo rispetto al predecessore. A dieci mesi dalla sua elezione annuncia una indagine promossa dal Comune per approfondire il tema della vivibilità, e in particolare individuare rischi e problemi in alcune aree sensibili di Perugia (centro storico, Madonna Alta, Fontivegge, Bellocchio, Pallotta, Via dei Filosofi). A luglio 2011 assicura «massima attenzione su Fontivegge» e annuncia una riunione apposita del comitato per la sicurezza. Due giorni più tardi, è il 29 del mese, si comincia a dare conto con una regolarità che diventerà sempre più stringente, dell’operato dei vigili urbani nell’area. In agosto il sindaco varerà una ordinanza per il divieto di vendita di alcol nell’area dopo una certa ora e si complimenterà col questore per una operazione che sgomina una banda dedita a spaccio e sfruttamento della prostituzione. La nota di Palazzo dei Priori recita che Fontivegge è «una zona in cui il sindaco ha chiesto interventi pesanti con ordinanze e azioni incisive da parte della Polizia Municipale». A settembre il sindaco dichiara che «resta alta la richiesta di sicurezza». A luglio 2013 viene annunciata la costituzione di un gruppo di lavoro sotto la direzione del vicesindaco Arcudi «per una attenta e coordinata azione di recupero e riqualificazione in cui i temi della sicurezza, dei servizi, del decoro urbano, della vita culturale, della socialità, saranno affrontati in modo organico e coordinato». A settembre Boccali torna sul tema Fontivegge per annunciare «la partenza di una operazione di riqualificazione dell’area che metta insieme soggetti diversi, oltre al Comune, e che sappia intrecciare i temi del controllo del territorio e della repressione dei reati con la creazione di opportunità di socialità e aggregazione, decoro urbano, igiene, verifica dei locali e delle locazioni, vita culturale». L’ultimo atto da sindaco che Boccali compirà nell’area sarà il 5 febbraio 2014: un sopralluogo nella zona insieme al questore. In cinque anni, il clima intorno a Fontivegge è completamente cambiato. Se Locchi aggirava la questione, il suo successore, sindaco di sinistra, pronuncerà via via parole non così distanti da quelle che Romizi, primo sindaco di destra della città, ripeterà dopo di lui con cadenza quasi mensile. Ma la ferita di Fontivegge continua a rimanere aperta.
L’opposizione a testa bassa
Già, ma nel frattempo che faceva la destra di opposizione che di lì a poco sarebbe diventata di governo? Non è esagerato dire che la questione di Fontivegge, legata a quella più complessiva della sicurezza, sia stato uno dei cavalli più poderosi in sella ai quali la destra è balzata per entrare trionfalmente nella stanza dei bottoni. E ciò nonostante la lontananza iniziale dai problemi di Fontivegge, come abbiamo visto. È impressionante rilevare come nella legislatura 2005-2009 i riflettori sulla zona intorno alla stazione li aveva messi in maniera più organica la maggioranza che l’opposizione, con un sindaco (Locchi) costretto a subire le azioni proditorie di qualche suo consigliere che puntava il dito su problemi che lui avrebbe volentieri aggirato. Dal 2009 al 2014 invece, il successore di Locchi si troverà sempre più incalzato dall’opposizione. I toni si faranno sempre più veementi, le analisi meno articolate. E nell’atteggiamento di Boccali, che chiude la sua sindacatura facendo un sopralluogo a Fontivegge con la polizia, ci dev’essere stato un tentativo di risposta a tutto questo. Una risposta che però, alla luce di quanto accaduto, ha più agevolato l’ascesa dei suoi avversari politici di quanto l’abbia ostacolata.
Sta di fatto che la destra va alla guerra. E il protagonista della battaglia di Fontivegge sarà Emanuele Prisco. A dare il “la” sarà però Leonardo Varasano, che il 27 settembre 2010 chiederà maggiori controlli per ostacolare la prostituzione in strada. Prima ancora, era stata Teresa Bellezza, della lista civica “Perugia di tutti” a segnalare come il tour del degrado iniziasse da Fontivegge. Ma da lì in poi la scena la prende il futuro deputato di Fratelli d’Italia. Un’escalation: il 30 settembre 2010 propone che via del Macello sia ribattezzata via Falcone e Borsellino «così da dare un forte segnale nel senso della legalità»; l’8 aprile dell’anno successivo chiede le telecamere al Bellocchio segnalando «risse, urla, accoltellamenti, spaccio a cielo aperto»; il 16 maggio è il Pdl unito a chiedere le telecamere, e il 19 agosto, in seguito allo scippo ai danni di una donna di 84 anni, è ancora Prisco a chiedere telecamere, stavolta nel sottopasso della stazione. Il 30 novembre le telecamere vengono installate e Prisco esprime tutta la sua gioia: «finalmente sono arrivate. Avanti quindi con un impegno corale per ripulire il quartiere dal degrado». «Ripulire». Come si vede le analisi sulle questioni urbanistiche lasciano spazio a contenuti ben più diretti e spicci e a forme assai più colloquiali. Il 21 maggio 2012 è sempre Prisco che interroga l’assessore Ciccone sulle vicende intorno a un african pub nella zona. Ma è solo una parentesi. Il 4 giugno Prisco torna al vecchio amore per le telecamere: in commissione “controllo e garanzia” viene approvata una sua relazione sulla necessità di più telecamere; il 19 giugno, all’indomani di una rissa notturna, invoca «tolleranza zero», aggiungendo: «O si usa il pugno di ferro o sarà difficile riprendere il controllo dell’area della stazione di Fontivegge». Il 4 marzo 2013, all’indomani di una rissa a bottigliate, è sempre Prisco che alza ancora i toni: «È tempo che la zona venga bonificata, casa per casa, locale per locale». Quando nel luglio 2013 Boccali annuncerà il gruppo di lavoro, lui, Prisco, è già proiettato sulle elezioni dell’anno successivo: «Quattro anni per fare la task force. Quanti altri per fare qualcosa?», chiederà retoricamente, aggiungendo subito dopo con il consueto linguaggio spiccio: «A 10 mesi dal voto, più che una task force contro il degrado sembra piuttosto un tentativo disperato di ricucire una frattura con una parte di città dimenticata da 20 anni di amministrazioni Locchi-Boccali prima e Boccali & C. oggi. Non credo, però, che i cittadini abbiano l’anello al naso».
Cosa succederà di lì a dieci mesi è cosa nota: Romizi diventerà sindaco, nominerà Prisco assessore all’Urbanistica. Il primo è ormai sindaco da più tempo di quanto non lo sia stato Boccali e quasi quanto lo è stato Locchi. Il secondo, ha fatto l’assessore per un tempo quasi analogo a quello in cui Boccali è stato sindaco. Entrambi, Romizi e Prisco, hanno abbondato in annunci, progetti, dichiarazioni, inaugurazioni (e fallimenti) intorno a Fontivegge. Fino allo scorso 6 settembre 2021, giorno dal quale è partita questa controstoria asincrona, il giorno in cui al termine di un tavolo per la sicurezza al quale hanno partecipato l’uno in qualità di sindaco, l’altro ormai in quella di parlamentare, hanno chiesto aiuto al prefetto per maggiori controlli per una zona che, destra o sinistra, rimane una ferita aperta. Al di là degli slogan e della propaganda sotto ai quali, come abbiamo visto, nel corso degli anni, è stato sommerso qualsiasi tentativo di articolazione di analisi. Con un dibattito sempre più imbarbarito e meno capace di focalizzare. A colpi di “tolleranze zero”, “pugni di ferro” e sopralluoghi muscolari, che hanno lasciato lo spazio, per qualche attimo, a progetti irrealizzabili, irrealizzati o falliti. Forse è tempo di cambiare passo. Tutti.