Il tema è stato al centro del dibattito in occasione del varo dell’ultima legge di bilancio. Più in generale lo è da quai trent’anni, arco temporale durante il quale i trattamenti sono andati via via riducendosi di pari passo con la precarizzazione del lavoro. Due elementi che gettano una luce sinistra sull’oggi e sul domani della vita delle persone. Lo stato dell’arte in Italia e, un po’ più approfonditamente, in Umbria
Prendendo in considerazione solo i trattamenti di vecchiaia e di anzianità, cioè le voci più consistenti della spesa pensionistica e oggetto del dibattito e delle continue riforme, in Italia vengono erogati 11,6 milioni di trattamenti per un importo medio annuo di 18.403 euro (gli importi di cui si parlerà d’ora in poi sono da intendersi sempre lordi). La metà dei trattamenti è inferiore ai 1.500 euro mensili. Al di fuori di vecchiaia e anzianità, c’è pure chi vive con la pensione sociale, che viene erogata a 801 mila persone e ha un importo lordo mensile inferiore ai 500 euro. È più corretto parlare del numero di pensioni che non di quello delle persone pensionate perché le pensioni totali erogate sono in Italia 22,3 milioni mentre i pensionati sono 14,2 milioni. Per il totale dei trattamenti, quindi anche quelli ai superstiti, le invalidità e altro, che sono 22,3 milioni, vengono impiegati quasi miliardi.
Venendo all’Umbria, il numero di pensioni di vecchiaia e anzianità è di 192.208, e il loro importo medio annuo scende qui a 17.591 euro. Le pensioni sociali sono 11.943. Nonostante l’importo medio sia inferiore a quello nazionale, le pensioni in Umbria incidono in misura maggiore sul Pil (Prodotto interno lordo) rispetto a quanto avviene a livello nazionale. Ciò succede per due ragioni fondamentali: il più alto numero di anziani rispetto al resto della popolazione, e il minore Pil pro capite regionale rispetto alla media nazionale. Qui i 4,9 miliardi che vengono distribuiti per il totale degli oltre 400 mila trattamenti pensionistici rappresentano il 21,5 per cento del Pil, mentre la media italiana si attesta al 16,8 per cento. Si tratta di dati che convergono con il numero complessivo di trattamenti erogati: 46,22 ogni cento residenti in Umbria, la percentuale più alta d’Italia, la cui media si ferma a 37,53 trattamenti ogni cento residenti.
Del trattamento medio nazionale e regionale per gli assegni di vecchiaia e anzianità abbiamo detto, ma le medie nascondono situazioni assai differenti. Intanto: il 9,8 per cento dei redditi da pensione umbri e il 10,4 per cento di quelli nazionali è inferiore ai 500 euro mensili. Inoltre, restringendo il campo alle pensioni di vecchiaia e anzianità, a livello nazionale, come detto, la metà dei trattamenti è inferiore ai 1.500 euro mensili, mentre il 25 per cento sta al di sotto dei 750 euro.
Vediamo cosa succede in Umbria nel dettaglio. Qui i trattamenti per vecchiaia e anzianità al di sotto dei 1.500 euro sono 114 mila, oltre il 59 per cento del totale, e il 39 per cento degli assegni non arriva a 750 euro. Le cosidette pensioni d’oro, quelle oltre i 3 mila euro mensili, sono 11.870, il 6 per cento del totale, mentre a livello nazionale rappresentano il 7,6 per cento.
Essendo state in Umbria 363 mila mila le persone con un impiego nel 2019 (anno cui si riferiscono i dati Istat di cui stiamo parlando), i trattamenti erogati per vecchiaia e anzianità rappresentano il 53 per cento del totale degli occupati. Ci sono cioè meno di due lavoratori ogni pensionato. Il più basso importo degli assegni pensionistici in regione è parallelo alle più basse retribuzioni medie rispetto a quelle nazionali. In particolare, se si fa riferimento alla fascia di popolazione più giovane, cioè alle persone con età inferiore ai 34 anni, la loro ora lavorativa media vale 11 euro lordi, mentre a livello nazionale ne vale 11,3.
C’è un ultimo e ulteriore dato che getta un’ombra, in prospettiva, sul sistema regionale, pensionistico e non solo. Il tasso di occupazione degli under 34 in regione è stato, nel 2020, del 65 per cento. Sedici anni prima, nel 2004, sfiorava il 75 per cento. Se si scende nella fascia 18-29 anni, gli occupati rappresentano il 38,4 per cento; sedici anni fa erano il 54 per cento.
Tutto questo significa in prima battuta che il monte-contributi versato va assottogliandosi, mentre la popolazione, che si invecchia sempre più, necessita di trattamenti pensionistici in misura maggiore In prospettiva inoltre, c’è una fascia di popolazione che, faticando sempre più a entrare nel mondo del lavoro ed essendo al momento condannata al precariato, ne uscirà sempre più tardi e con pensioni sempre più ridotte. Si tratta di persone ampiamente i difficoltà: dei 7 mila posti di lavoro falcidiati in Umbria nel 2020, ben seimila erano occupati da under 34.
Si tratta di criticità di sistema, che non è pensabile di sanare con ulteriori restringimenti di pensioni e salari, già più bassi della media nazionale. Necessiterebbero di prese di coscienza, idee, risorse e misure ben più circostanziate e salde rispetto a quanto offrono il dibattito e le politiche regionali, che assomigliano invece tanto a quello che Greta Thunberg definirebbe bla bla bla.