I fondi già stanziati per i treni a idrogeno nella linea Terni-L’Aquila-Sulmona, insieme ad altre iniziative, possono dare il via alla realizzazione di una hydrogen valley tra Terni e Narni, un’area che vanta una lunga storia industriale legata a uno degli ingredienti principali per la produzione di energia pulita
La firma di Giovanni Legnini, Commissario governativo alla ricostruzione, nell’ordinanza che stanzia 50 milioni di euro per l’entrata in servizio di treni alimentati a idrogeno lungo la tratta Terni-Rieti-L’Aquila-Sulmona fa partire la grande avventura della decarbonizzazione lungo i 163 chilometri a binario unico che simboleggiano la spina dorsale di una bio-regione di montagna ad alta sensibilità sismica, suddivisa tra le amministrazioni di Umbria, Lazio e Abruzzo e sconvolta dal terremoto del 2016. Chi pensava che un treno con motore elettrico a celle a combustibile fosse fantascienza dovrà, probabilmente, ricredersi. Quella linea, attualmente servita da automotrici diesel, fa parte delle 13 che, secondo la mappa pubblicata dal Sole24Ore, saranno interessate in Italia dalla sperimentazione che ha avuto un possente impulso dal varo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pnrr. Questo, infatti, aggiunge altri 59 milioni nel budget: serviranno all’acquisto dei treni.
I motori elettrici delle automotrici diesel attuali, rimaste per decenni nell’uso popolare come littorine, trarranno energia da un processo chimico, ossidazione elettrochimica dell’idrogeno, che si sviluppa all’interno di celle a combustibile grazie all’interazione tra idrogeno (contenuto da un serbatoio) e l’ossigeno dell’aria.
Terni potrebbe diventare il capolinea strategico per i convogli che uniscono le tre regioni interessate: infatti l’idrogeno necessario a far funzionare le motrici potrebbe venire sintetizzato nelle quantità necessarie riconvertendo gli stabilimenti che da quasi un secolo funzionano per questo scopo. A Nera Montoro venne creato negli anni ‘20 il primo impianto (elettrolizzatore) dalla Sias (Società italiana ammoniaca sintetica) per la produzione di ammoniaca sintetica: questa richiedeva consistenti quantità di idrogeno. Un’esigenza che spinse alla creazione di un sistema integrato per realizzare i pesanti macchinari in acciaio necessari al processo chimico: metalmeccanica ed elettrochimica a braccetto fin dal 1919, anno in cui iniziò la produzione presso la Idros. Merito fu delle intuizioni di un chimico piemontese, Luigi Casale, che nel 1921 riuscì a brevettare il suo metodo, aprendo l’anno successivo a Lugano l’azienda che tutt’oggi porta il suo nome e che ha realizzato un centinaio di impianti in tutto il mondo. A Terni fu la Siri (Società italiana di ricerca industriale) fondata nel 1925 dallo stesso Casale a muovere tutto il sistema di produzione per l’ammoniaca sintetica. Metodi che col passare degli anni e col mutare delle sensibilità hanno rivelato la loro insostenibilità, determinata dalla grande quantità di energia da fonti non rinnovabili necessaria per ottenere l’idrogeno (cosiddetto grigio) indispensabile per arrivare al risultato.
I nuovi scenari che dovrebbero portare alla progressiva decarbonizzazione dei consumi energetici (con il programma Next Generation l’Unione Europea vuol diventarne protagonista) hanno dato un impulso, impensabile fino a pochi anni addietro, all’industria dei motori elettrici. Da qui deriva la centralità della ricerca e dell’innovazione sui metodi di alimentazione per questi propulsori. Ci sono principalmente due vie: batterie o celle a combustibile alimentate a idrogeno. Quindi la questione poi ricade sulla ricarica delle batterie da una parte o sulla produzione di idrogeno dall’altra.
Così è partita una corsa che si presenta tutta in salita: secondo una stima di BloombergNEF (New Energy Finance), con le quotazioni dell’estate 2021 l’idrogeno grigio costa 1,5 dollari al chilo, contro i 2-2,5 dollari al chilo dell’idrogeno blu (ottenuto sempre da metano ma separando la CO2 prodotta), mentre per il verde (solo rinnovabili) si arriva a 3,5-5 dollari. Di certo il centro della scommessa è arrivare a un punto di equilibrio tra costi e benefici. Il quadro italiano registra il varo della Strategia Nazionale dell’Idrogeno a sostenere ricerca e sperimentazione in varie realtà; per la complessità delle lavorazioni di filiera si profilano “ecosistemi aperti” formati da soggetti attivi nei più disparati campi: in Italia, come mostra la tabella che segue, ci sono sette “hydrogen valley”.
L’idrogeno nella storia industriale di Terni
Il tema dell’idrogeno, anche a Terni, appartiene alla storia industriale della città. Dal 1969 è stata attivata (dalla società Terni) una conduttura di 27 chilometri (diametro 6 pollici) per trasferire l’idrogeno da Nera Montoro a Papigno: alla pressione di 24 Bar e capace di trasportare 3.000 Nm3/h; un “idrogenodotto” abbinato a un “argonodotto” del diametro di pollici. Per le stesse acciaierie passate da poco sotto il controllo di Arvedi, l’idrogeno costituisce uno “scarto produttivo” delle lavorazioni che ne continuano a rilasciare in atmosfera quantità notevoli perché non ne è stata sviluppata una modalità per la riutilizzazione dopo lo smantellamento delle lavorazioni di acciaio magnetico. Con il passaggio del secolo hanno ripreso vigore gli argomenti “visionari” con cui si sosteneva la necessità di identificare fonti rinnovabili di energia per quella che sarebbe diventata negli ultimi anni l’imperativo della decarbonizzazione.
Il fallimento decretato nel 1985 per la Siri aveva relegato in un cono d’ombra la questione quando, nel 2005, per iniziativa della Coop Centro Italia, Terni ospitò Jeremy Rifkin, autore del visionario volume “Economia all’idrogeno”. La voce di Rifkin rianimò il dibattito sulla necessità di pensare a tutte le possibili forme di energia rinnovabile. Lo scienziato statunitense ripropose tre anni dopo a Perugia la sua visione di un futuro possibile, quello in cui le principali fonti di energia rinnovabile (sole, vento, idrogeno) si sarebbero potute ottenere in modo diffuso su tutto il pianeta, senza ripetere gli errori dell’industrializzazione massiccia che possiede caratteristiche tali da assimilarle a un sistema militare. Un’elaborazione che ha trovato una nuova legittimazione con l’elaborazione del Pums, il Piano urbano di mobilità sostenibile, condiviso tra Terni e Narni e adottato nel 2020. Pianificazione innescata dal tandem formatosi tra le due amministrazioni comunali: nel capoluogo
è molto impegnata la vice-sindaca Salvati (ingegnere) come perno organizzativo e politico di varie iniziative in tema, tra cui spicca la conferenza Terni Energy Day dell’ottobre 2021. Del resto il Progetto Hydra (finanziato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) prevede lo stanziamento di quasi 7 milioni di euro per l’acquisto di bus a idrogeno, e una triangolazione virtuosa tra acciaierie, Comune e BusItalia potrebbe essere un primo passo concreto per la vagheggiata “hydrogen valley” che potrebbe riprofilarsi nel comprensorio ternano anche con il coinvolgimento della Snam. E come sempre accade questa prospettiva sconterebbe già una possibile ipoteca per la decisione della Regione Umbria di fare a Gualdo Cattaneo (negli impianti della centrale elettrica di Bastardo) il polo “uno” per la produzione di idrogeno. Per fortuna che si tratta di un elemento da cui siamo letteralmente avvolti, un fattore che riuscirà a dissolvere presto qualsiasi pretesto per contendersi un primato totalmente privo di senso.
La società ‘Tecnologie Innovative Pinfarina Srl sarebbe disponibile a partecipare per la realizzazione di un vasto campo solare finalizzato alla produzione di idrogeno mediante il.processo dell’ elettrolisi dell’acqua. La succitata società e titolare di brevetti industriali di macchinari solari. elettrotermodinamici.Disponibile ad un incontro.Grazie .Giuseppe Farinna