La cocente sconfitta del centrosinistra alle elezioni regionali del 2019, arrivata dopo le numerose disfatte in importanti municipi dell’Umbria, non ha fatto altro che certificare una morte annunciata. Come era successo fin dalla sconfitta alle comunali di Perugia del 2014, si è continuato a far finta di niente, come se tutto fosse la conseguenza di un destino cinico, baro e inevitabile. L’inazione è il frutto del fatto che non si riesce a mettere in campo un’analisi profonda della situazione politica locale, e soprattutto dello stato della sinistra umbra. Non aprire confronti e discussioni pubbliche con quello che ancora si pensa essere un elettorato di sinistra rimane il fatto più grave, che non può certo essere superato con sterili e interessate discussioni di bottega di qualche sezione, circolo, cenacolo.
Un atteggiamento del genere è deleterio perché la cosa più importante è proprio capire le ragioni della sconfitta, e in subordine se esistono ancora un popolo di riferimento e una politica che possa rappresentarlo. Questi sarebbero i punti dirimenti, altrimenti tutto si riduce a mera gestione opportunistica del potere, senza contenuti, passione, anima, ridotta semplicemente al mantenimento dei privilegi degli eletti e di qualche sodale.
Mentre da una parte, a sinistra (questo è il campo che ci interessa), la politica prova a legittimarsi con richiami al popolo, con “le agorà” e le continue presentazioni di nuove associazioni, la vera questione della rottura del rapporto sentimentale con il popolo e con il mondo dei precari, dei giovani, del lavoro non viene affrontata come invece servirebbe. Il richiamo al popolo riempie dichiarazioni, appelli, programmi, ma nella realtà quel soggetto è escluso dalla discussione, perché una discussione vera e capillare sul territorio, sui temi portanti del lavoro, del welfare, del reddito, dei giovani non si intende metterla in campo, e il tutto viene limitato e circoscritto a pochi addetti ai lavori.
Chi oggi rappresenta nella nostra regione la parte più consistente di quest’area si è trovato in mano un partito a causa di vicende giudiziarie. Questa nuova classe dirigente segnata da un presunto giovanilismo, è in realtà cresciuta nelle faide e nelle lotte tra correnti che tanto hanno contribuito a togliere legittimità alla rappresentanza e a perdere quasi tutte le amministrazioni locali fino alla capitolazione finale, quella della Regione.
La questione del popolo – quello vero – non appare in realtà all’ordine del giorno, meglio non porla; parlarne sì, magari, ma guardarsi bene dall’aprire davvero a persone diverse e motivate che potrebbero minacciare le posizioni di comando già ben definite.
Un centrosinistra incapace di aprirsi o rinnovarsi davvero non potrà che riproporre vecchi strumenti di governo e tornare a garantire rendite e privilegi, tutto ciò è già ben visibile. Non potendo o non volendo fare i conti fino in fondo con le proprie sconfitte non si riesce a fare altro che gettare le basi per provare a riconquistare pezzi di potere, senza preoccuparsi di cambiare atteggiamento e modello. Il problema della politica a sinistra appare bloccato soprattutto nella mancanza del progetto, nella sua credibilità, e nelle persone che dovrebbero realizzarlo. Così tutto appare ridotto alla costruzione di coalizioni di natura moderata e centrista, imbarcando civici, partitini minori e opportunisti di ogni genere col risultato che tra destra e sinistra non c’è più quasi nessuna differenza.
Avere perso il popolo rimane il fatto più importante di cui nessuno in realtà si cura. Il riferimento di quest’area è sempre più la cosidetta Ztl: quel residuo di mondo borghese e piccolo borghese, che ha soppiantato nell’immaginario di sinistra lo zoccolo dei lavoratori, popolare e precario. Quello borghese peraltro è il mondo da cui proviene la gran parte della classe dirigente attuale del centrosinistra. Mentre quello della produzione rimane un mondo sconosciuto e oscuro, per questo pieno d’incognite e imprevisti per una dirigenza che non ha idea di cosa sia il lavoro, una busta paga, la cassa integrazione, il licenziamento.
Aggiustamenti, compromessi e vere e proprie rese dei conti sembrano essere le attività prevalenti di un gruppo dirigente e di una rappresentanza che paiono incapaci di recuperare il popolo del lavoro e dei sacrifici, concentrata prevalentemente nel costruire dinamiche di potere e alleanze improbabili e dannose. Servirebbe invece un’analisi profonda e capillare capace di coinvolgere il popolo deluso e ricostruire una militanza, un senso di appartenenza che riconsegna “alla base“ un ruolo ed una presenza attiva nel territorio e sul gruppo dirigente.
Sarebbero queste le azioni minime su cui impegnarsi per provare non solo a costruire una possibilità di vittoria sul centrodestra, ma più ampiamente un progetto nuovo di lungo respiro e di speranza per una regione imprigionata nella trappola dello sviluppo intermedio, condizionata dalla recessione e dalla stagflazione ormai alle porte. La desertificazione industriale, la crisi manifatturiera, lo spopolamento e l’andamento demografico più in generale, disegnano abbastanza bene il futuro che ci aspetta, dove il dato sconvolgente delle poche nascite e il saldo negativo tra immigrazione ed emigrazione evidenziano con chiarezza i caratteri del sottosviluppo. Tutti temi non affrontati nella giusta dimensione, per cui poco potranno fare il Pnrr o i fondi strutturali dell’Ue, che comunque si dovrebbe provare a intercettare e magari utilizzare con qualche logica.
Riconquistare qualche municipio, potrà servire a legittimare i gruppi dirigenti, i civici, e qualche rappresentanza politica residua, ma non cambierà le cose. Centrosinistra e coalizioni affini non sposteranno nulla rispetto al governo improvvisato del centrodestra arrivato al potere impreparato, sulla spinta di un sentimento popolare che non ne poteva più dell’arroganza e del modo con cui il centrosinistra si ostinava a governare la Regione.
Le premesse rispetto al cambiamento atteso dall’elettorato non ci sono. Anzi la pandemia prima e presumibilmente la guerra oggi, concorreranno a evidenziare ancora di più i limiti di questa giunta e dei tanti amministratori locali affermatisi cavalcando prevalentemente rancore e paure. Il centrosinistra ha fiutato l’opportunità e proverà a organizzarsi per tentare di riconquistare il potere – non il popolo e le sue ragioni, ma il potere – e i privilegi ad esso connessi. Le recenti elezioni comunali con la conferma di Assisi e Città di Castello, e la riconquista di Spoleto, sono già portate ad esempio di questi modelli di coalizione, costruiti sulla centralità dei dirigenti, senz’anima e senza popolo né militanza, non attrattivi per i giovani, con progetti mediati e comunque inutili, segnati da una marcata convergenza su posizioni moderate e accomodanti, orientate verso il conosciuto, la conservazione. Il progetto in essere che trascura la partecipazione al voto (ovunque bassa) è tutto orientato al ritorno al prima, alla situazione preesistente, con la riproposizione di vecchie idee di sviluppo e di governo, e non quella invece necessaria di andare oltre di pensare altrimenti.
Quanto avvenuto nelle recenti elezioni locali e nella sconfitta alle regionali del 2019, se si provasse a vederlo da sinistra, evidenzia almeno tre nodi. Il primo è il tentativo di riconquista del potere fine a se stessa, senza un reale progetto alternativo (un nuovo modello economico) che sarebbe in realtà ciò che servirebbe a questa regione. Il secondoa è la conferma della convergenza confusa di aggregazioni di tipo moderato e conservatore con qualche spruzzata di ambientalismo. Il terzo, e a mio avviso più importante, è la deriva culturale che si va affermando nella regione, e che coalizioni così composte non sono in grado di comprendere né di contrastare come invece sarebbe necessario fare.
La questione culturale, purtroppo ampiamente sottovalutata, è in realtà un punto dirimente del confronto politico. Mentre l’emergenza pandemica, e ora la guerra, condizionano e sospendono un giudizio puntuale sull’operato politico della giunta di centrodestra, in particolare per quanto riguarda le questioni economico-sociali e sanitarie, lo stesso non può dirsi per ciò che riguarda la questione culturale, dove tanti sono ormai gli episodi che stanno certificando la sostituzione di un sistema quale poteva essere il socialismo appenninico con un altro modello dal carattere più conservatore e identitario; sia nella scelta dei dirigenti che nel tentativo di revisione storica, fino a vere e proprie battaglie di retroguardia dal sapore razzista e suprematista. I tanti municipi finiti in mano al centrodestra non fanno che distinguersi quotidianamente, per azioni, delibere, atti e finanziamenti dal carattere reazionario: dalle case popolari, agli eventi storici, al recupero di simboli fascisti, alle campagne contro associazioni culturali progressiste, alla negazione di attività e spettacoli dal sapore libertario, fino al boicottaggio di presidi culturali quali l’istituto umbro per la storia contemporanea.
Dopo due anni di governo, la grande sostituzione appare ben consolidata: quadri, dirigenti e figure apicali, sono stati quasi tutti sostituiti e la pubblica amministrazione e le sue partecipate hanno cambiato forma, contenuti, obiettivi. Anche in campo amministrativo ed economico, si sta rafforzando una penetrazione di aziende, cooperative e management provenienti dal nord leghista. I diritti civili vengono continuamente messi sotto stress dalle incursioni del senatore Pillon e dei suoi sodali, portatori di discutibili visioni sull’idea di famiglia, di dignità della persona umana, di libertà personali e di genere, sostenute dal sentimento cattolico e culturale più conservatore, settario e discriminatorio.
Se volessimo essere più precisi, si potrebbe dire che c’è un enorme problema, che è quella dell’egemonia culturale. Quel concetto che attraverso la capacità di orientare la mentalità popolare, l’elaborazione simbolica, gli stili di vita, le mode, i linguaggi della massa popolar-nazionale, e dei dirigenti, determina le condizioni, consolida e stabilizza la supremazia. L’egemonia culturale fa parte del sistema reticolare dell’egemonia politica, ne è un fattore imprescindibile, un pilastro portante, soprattutto nell’era della comunicazione e della svolta digitale.
Un concetto, quello dell’egemonia culturale e del ruolo degli intellettuali, più volte analizzato, dibattuto e sottolineato da importanti figure della storia e della cultura del nostro paese, da Gramsci a Don Milani a Pasolini, solo per ricordarne alcuni. L’incapacità dell’opposizione, i limiti della politica, ma soprattutto l’opportunismo e il conformismo dominanti nella nostra regione non lasciano grandi speranze rispetto a una battaglia sul piano culturale.
Se si avessero la forza, la capacità e l’interesse di riconoscere il problema e di prendere atto della gravità della situazione si dovrebbe attenzionare il ruolo di una figura che si è in realtà sempre sottratta alle proprie responsabilità (con rarissime eccezioni): quella dell’intellettuale.
Le elezioni regionali del 2019, hanno evidenziato anche quest’aspetto; quando tutto era perduto e la politica stava sostanzialmente cedendo e regalando la regione al centrodestra, erano gli intellettuali che si sarebbero dovuti esporre, metterci la faccia, ma questo non è accaduto. Gli intellettuali “progressisti” locali, o presunti tali, ormai retrocessi a esperti, opinionisti, che per lo più si limitano a eseguire gli ordini assegnati, o contenere la critica ai governanti, sempre entro uno spazio di “comunque a fin di bene”, non se la sono sentita di dire qualcosa di sinistra. Troppo abituati a criticare il lavoro e i comportamenti di altri (imprese, politici, associazioni, sindacati), hanno perso di vista se stessi il proprio ruolo, quello di alimentare pensiero critico e punti di vista originali, di promuovere idee e proporre innovazione, ma soprattutto di metterci la faccia e segnare se ve ne fosse bisogno con l’impegno personale e il contrasto, differenze e situazioni.
I fatti purtroppo rimangono noti, e non lasciano margini ai dubbi, è la selezione che se ne fa e la gerarchia con cui si evidenziano che fa la differenza, in realtà non vi sono alibi; c’è sempre una scelta possibile asservirsi al sistema di potere o dissentire, essere esperti, responsabili o pazzi idealisti, sono scelte ben distinte che costringono ad esporsi a metterci la faccia a rischiare qualcosa, e questo è il problema.
Il consenso cosi forte registrato dalla attuale Giunta regionale nei media locali non ha precedenti, i giornalisti, data la situazione proprietaria delle testate, sembrano non poter essere molto d’aiuto. L’insegnamento della sinistra che coglieva nella lotta culturale e ideale l’affermazione delle classi subalterne, e di un nuovo sistema economico sociale più giusto, è evidentemente dimenticato.
In mancanza di capacità critica, di strumenti adeguati, di intellettuali, di giornali di parte, di una politica, capace di riconnettersi e rappresentare le problematiche popolari, gli umbri non avranno nessuna speranza di uscire da questa trappola conformista e conservatrice che a tutti i livelli e in ogni ambito non fa che preoccuparsi di difendere rendite e privilegi; stretti tra una sinistra sbandata, che non può che proporre vecchi schemi (e vecchi saggi) con qualche nuovo attore, e una destra improvvisata e dai caratteri conservatori, identitari, e suprematisti.
Ci sarebbe un terreno enorme, un popolo abbandonato e deluso in cerca di rappresentanza, uno spazio oggi persino più ampio di quello a suo tempo occupato dal M5S. Servirebbero un pensiero coraggioso meno mellifluo, un riformismo ben caratterizzato ed esplicitato nei contenuti, più radicale nel porre le questioni e nel sostenerle, che provassero a riconquistare il cuore dei giovani e dei delusi con una proposta politica partecipata con una nuova conoscenza, magari cominciando a pensare altrimenti, e a una via d’uscita che non può che essere “in alto e a sinistra”, ma soprattutto chiara, distinta e distante dalle ambiguità e dagli opportunismi.
La proposta politica in campo alternativa alle destre purtroppo non sembra andare oltre un civismo confuso, rancoroso e opportunista, che potrà contribuire a fare un po’ di massa critica, ma non avrà mai la forza di elaborare e soprattutto realizzare un progetto veramente alternativo per la nostra regione, intrappolata nello sviluppo intermedio e segnata dai caratteri del sottosviluppo e della recessione.