Non solo riscaldamento climatico. Ora c’è anche una guerra che spande il suo orrore in Europa con tutte le implicazioni derivanti dalla dipendenza dal gas da parte della Russia. La questione energetica è tornata prepotentemente al centro delle riflessioni in ambito internazionale con significative ricadute nei territori. Accade anche in Umbria dove si moltiplicano le iniziative per arrivare all’approvvigionamento di elettricità auto-prodotta “a filiera corta” e da fonti rinnovabili: una prospettiva aperta dalla direttiva europea “Renewable energy” (Red) varata nel 2018, recepita dal decreto “Milleproroghe 2020” (legge 8, 28 febbraio). Per la normativa italiana è praticabile sia come “uso collettivo” di condominio (uno o più che agiscono collettivamente sulla base di un accodo privato) sia come “comunità di energia rinnovabile”. In questo secondo caso i confini territoriali della comunità vengono definiti dal condiviso collegamento a una centrale a media tensione (20 mila volt) che raggruppa fino a 40mila utenze familiari, aziendali, pubbliche associate. Soggetti che trarranno vantaggio, anche se non sono titolari di impianti per la produzione (soprattutto fotovoltaici) che non superino i 1000 kilowatt di potenza.
Autoconsumata, ceduta, condivisa: i nuovi nomi dell’energia
Una comunità di energia rinnovabile prevede tre forme di utilizzazione. La prima è che l’energia venga prodotta e autoconsumata direttamente dal produttore senza essere messa in rete: in questo caso non si paga nulla in bolletta, quindi senza nessun onere nei confronti del sistema nazionale di trasporto-erogazione al cui sistema si rimane sempre agganciati; ai costi attuali di mercato si risparmiano 30–40centesimi al Kwh. La seconda forma è quella che prevede che l’energia prodotta ed eventualmente non utilizzata venga ceduta alla rete, con il Gse (Gestore dei servizi energetici) che la remunera secondo il valore di mercato dell’energia. C’è infine la forma condivisa, ovvero quella consumata dai soci della comunità; in questo caso viene riconosciuto da parte del Gse alla comunità stessa un incentivo di 12 centesimi al Kwh più il valore di mercato dell’energia; l’incentivo ha una durata di 20 anni. Il costo finale risulta ridotto del 30-35 per cento rispetto al mercato. In questo caso non va trascurata la significativa trasformazione economica indotta dal permanere nel territorio di appartenenza della ricchezza monetaria costituita dal denaro speso per le forniture elettriche. Un incentivo autoprodotto dalla comunità locale che potrebbe determinare cambiamenti interessanti soprattutto nei territori marginali in fase di spopolamento: una possibilità incoraggiata dallo stesso Pnrr, che ha stanziato allo scopo 2,2 miliardi di euro per i comuni con meno di 5 mila abitanti dove possono moltiplicarsi le motivazioni ad associarsi.
Costi ridotti di un terzo e incentivi per gli impianti da fonte rinnovabile
I vantaggi erogati dal Gse sono chiari e valgono circa 12 centesimi complessivi a kilowatt/ora a cui si aggiungono crediti d’imposta fino al 50 per cento dell’investimento per l’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili: sole, vento, acqua, biomassa, geotermia. Il limite è di 96mila euro per intervento. Tutto il processo si svolge senza alcun distacco dalla rete di distribuzione: questa va considerata come un enorme “calderone nazionale” di energia dove finisce tutta l’energia utilizzabile in Italia da qualsiasi fonte arrivi. Peraltro anche quella prodotta dalle centrali nucleari francesi che l’Italia continua a importare (15,2 Terawatt/ora nel 2019). Le distinzioni “contabili” sulla fonte dell’elettricità consumata dalla singola utenza si possono effettuare grazie allo “spacchettamento” per singole cabine di “media tensione”: è qui che si riesce a calcolare il volume di energia “conferito” da ogni produttore; riparametrando il tutto all’assorbimento di ogni singola utenza grazie al sistema di contatori elettronici (ormai presenti ovunque) perennemente consultabili dalle società di gestione (Eni, Enel, Edison et similia). Queste, comunque, devono garantire l’erogazione in caso di guasti o carenze produttive: sono i concessionari a emettere la bolletta per l’utenza, alleggerita della quota di generazione comunitaria, ritrasferendo il denaro alla comunità energetica per la pate auto-prodotta. Il vantaggio per la singola utenza è il risparmio di circa un terzo di quello che spenderebbe sul mercato tradizionale. Una partita di giro che assomiglia ad un “gioco delle tre carte”; in questo caso nessuno ci perde perché anche l’utenza di solo consumo usufruisce del vantaggio economico generato dalla filiera corta della produzione energetica: minore costo e suddivisione delle somme versate dal Gse all’associazione e/o cooperativa locale che, a sua volta, li utilizzerà secondo gli accordi contrattuali sottoscritti al momento della formazione della comunità (condominiale o energetica).
La prima volta in Umbria: San Vito in Monte
L’esperienza apripista in Umbria ha le sue radici nel comprensorio del Monte Peglia, nel comune di San Venanzo: qui 7 famiglie e 3 imprese hanno risposto positivamente alla sollecitazione partita da Adriano Rossi agli inizi del 2021 costituendo l’associazione che porta il nome della località da dove è partita l’iniziativa, la frazione di San Vito in Monte. Questa è agganciata alla cabina di media tensione ubicata a Marsciano. Un esempio che sta conquistando attenzione in tutto il comprensorio dell’Alto orvietano: qui il Comune di Parrano si è fatto capofila di una “green comunity” composta anche da Ficulle, San Venanzo, Castel Viscardo, Baschi, Allerona. Tra le varie azioni programmate da questa “community” c’è anche l’approvvigionamento elettrico proprio grazie alla costituzione di una o più “comunità energetiche” che potrebbero avere la loro fonte negli impianti fotovoltaici collocati a cominciare dai tetti delle strutture comunali: uffici amministrativi, scuole, palestre, rimesse per i veicoli, capannoni per i servizi. C’è anche Narni che si sta muovendo in questa direzione: l’amministrazione comunale ha organizzato un webinar (tenuto da Alfonso Morelli, assessore all’Ambiente) per illustrare nei dettagli le caratteristiche di questa nuova forma di cooperazione tra le singole persone.
Dal Trasimeno partono le comunità progettate da Legacoop
A Castiglione del Lago si è tenuto il primo degli incontri pubblici illustrativi del progetto varato da Legacoop Umbria (grazie a un bando della Fondazione Cassa di Risparmio Perugia) per la creazione della comunità energetica per tutto il comprensorio del Trasimeno; da qui una possibile estensione ai 39 comuni del Patto Vato (Valdichiana, Amiata, Trasimeno, Orvietano) a cavallo quindi con la Toscana. Altre due ipotesi riguardano Allerona e Baschi legate, entrambe, ad altrettante cooperative sociali. Sono allo studio (per il 2023) Spoleto, Foligno e Città di Castello. Il programma nel suo insieme è stato illustrato dettagliatamente nel corso di un seminario tecnico che si può seguire qui. A questa scommessa si intreccia la possibilità è quella di “agganciare” i fondi del Pnrr destinati all’agro-fotovoltaico che consentirebbero di allestire nelle aziende agricole una quantità di impianti da fonti rinnovabili dal potenziale complessivo di 27 megawatt solo in Umbria. Il bando relativo è atteso a giorni. L’Umbria si sta allineando con quanto si muove in varie parti d’Italia e che ha per protagonisti i piccoli e piccolissimi comuni: quelli sotto ai 5 mila abitanti potranno accedere ai fondi del Pnrr (3,5 miliardi di euro complessivi) una volta che avranno costituito una “comunità”. Ma questa scelta può venire condivisa anche dai condomini delle città, piccole o grandi che siano.
Dalla Sardegna alle Alpi: un fenomeno in espansione
Il quotidiano Domani ha dedicato spazio a questo fenomeno che sembra in grado di superare gli individualismi esasperati, soprattutto nella fase di discussione che dovrebbe sfociare nella condivisione di impegni e progetti in nome della sostenibilità elettrica. Tra i casi citati quello di Ussaramanna, comune di 512 abitanti, nella provincia Sud Sardegna: 60 utenze (famiglie, imprese, esercizi commerciali) che condividono l’energia di tre impianti fotovoltaici: uno sul tetto del municipio, un altro sul centro sociale, il terzo sul capannone del deposito comunale per circa 72 megawattora all’anno. Un’operazione che ha utilizzato la consulenza tecnica della cooperativa energetica “È nostra”, i cui esperti stimano al 25 per cento il risparmio finale dell’operazione. Citata anche l’esperienza di Magliano Alpi, 2.170 abitanti in provincia di Cuneo: un impianto per gli edifici comunali e il surplus utilizzato da 5 (cinque) famiglie. Tutto “micro”, tutto funzionante. Legambiente ha effettuato un censimento delle varie esperienze che si rifanno al principio della rinnovabilità e della condivisione: un dossier ricco di informazioni e riferimenti alle realtà sparse in tutta Italia.
Per Legambiente-Elemens un tesoro da 17 gigawatt
Uno studio elaborato da Elemens per Legambiente indica un potenziale energetico di circa 17 gigawatt di nuova potenza da rinnovabili al 2030. Previsione ottimistica? Si tratta di vedere che cosa accadrà nello scenario in velocissima trasformazione: non solo riscaldamento globale, ma anche gli effetti della guerra scatenata contro l’Ucraìna dalla Russia di Putin. Per il momento, la situazione in Italia, in materia energetica è quella descritta dal rapporto a questo link. In ogni caso l’interesse delle grandi compagnie su quello che può emergere dalla cooperazione tra utenti è assai elevato: la sezione italiana del Word Energy Council (Wec Italia) si è occupata del tema secondo quanto riferito in questo articolo pubblicato nel suo sito ufficiale. Ma quello che conterà nei tempi prossimi sarà la consapevolezza di chi vive nei piccoli centri di poter risolvere in auto-gestione le questioni che si sono pensate, per troppo tempo, appannaggio di grandi apparati lontani ed estranei. Sarà sufficiente mettere in pratica pochi concetti: informare con accuratezza, progettare in modo condiviso, individuare il vantaggio comune per gli umani e per l’ambiente.