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Stringe il cuore passare davanti ai chioschi (chiusi) delle tante edicole che punteggiavano strade e piazze di città piccole e grandi. Secondo una stima del sito www.professionereporter.eu dalle 500 edicole degli anni d’oro l’Umbria è passata a 247 (fonte: True Numbers, con dati Unioncamere). Trattandosi di cifre riferite al 2019 è possibile che si tratti di un dato in eccesso rispetto alla realtà del 2022. Di queste, una buona parte sono esercizi che non vendono esclusivamente prodotti editoriali (tabaccherie, bar, cartolerie) perché a vendere esclusivamente i giornali stampati non si riesce più a far quadrare i bilanci. Una tendenza a cui non sembra esistere rimedio, nonostante gli sforzi e i protocolli tra associazioni di categoria e istituzioni pubbliche (Federazione editori, Federazione della stampa, sindacati degli edicolanti, Anci) il settore non sembra trovare prospettive di sorta. Per chi ha costruito sulla carta stampata dei quotidiani e dei periodici parte della propria “educazione sentimentale” rispetto al mondo circostante è durissimo scrivere queste righe.
Diciotto mesi fa Cronache Umbre pubblicava un articolo sui tagli nelle redazioni dei quotidiani editi nella regione o con pagine di cronache locali riferite all’Umbria: nel 2009 erano 100 le persone che lavoravano al desk nelle redazioni con un regolare contratto giornalistico; nel 2019 erano diventate 49. Dopo tre anni e mezzo la cifra è arrivata a 42 unità, delle quali 11 contrattualizzate come figure part-time. Quella dei quotidiani cartacei si profila come una “morte annunciata”: basta scorrere con un po’ di pazienza le cifre assemblate nella tabella che segue. E non vi è speranza che l’Umbria costituisca un’eccezione nel panorama nazionale: è parte integrante di una tendenza apparentemente irreversibile.
Tutto quello che concerne l’informazione sta passando nella dimensione digitale, una realtà (virtuale) in cui le ombre sopravanzano nettamente le luci, una modalità di percezione impattante sui processi cerebrali, a ogni età. Figurarsi durante l’infanzia. Ciò che colpisce è la rassegnazione del mondo editoriale (e per qualche verso delle redazioni giornalistiche) davanti all’avanzare delle conglomerate planetarie che stanno letteralmente divorando ciò che rimane dell’industria nata e cresciuta sull’onda delle trasformazioni illuministe e delle rivoluzioni sociali del XIX secolo.
In proposito può risultare utile la lettura di un articolo scritto da Michele Mezza nel sito Professione reporter: «Così Google schiaccia i giornali. E governo, Agcom, Ordine e Fnsi non reagiscono». Un testo che narra l’aggressività del più potente motore di ricerca planetario (ormai un meta-stato) che ha di fronte buona parte degli editori ormai rassegnati a veder morire le loro creature cartacee: «La possente campagna pubblicitaria promossa da Google sui grandi quotidiani nazionali rappresenta forse il vertice di quella spirale di masochismo che caratterizza le comunità in crisi progressiva. Leggere sulle pagine di carta e sugli spazi on line delle testate più prestigiose che il motore di ricerca più potente del mondo si permette di annunciare come sostituirà il legame del singolo utente con il quotidiano che in quel momento sta leggendo, produce un brivido a chi non ignora il cinismo con cui Google sta pianificando la sua incontenibile soluzione finale dei media tradizionali». Questo l’esordio di Mezza che non tralascia di descrivere che cosa non si fa in Italia e che cosa si sta tentando di fare in Europa per impedire a Google di trasferire negli Usa i dati che va raccogliendo in Europa, quei dati che profilano i comportamenti di ogni persona. Dati che se fossero raccolti dalla polizia di un qualsiasi stato farebbero scattare delle manifestazioni contro quello che verrebbe percepito come un attentato alle libertà individuali. Dati che rivenduti all’industria privata da un motore di ricerca (nel 2021 ha avuto utili per 76 – settantasei – miliardi di dollari) generano una normalità distopica a cui ci stiamo assuefacendo come la famosa rana nel secchio sopra il fornello.