L'interno di una sala operatoria
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Appunti per un governo pubblico della sanità

 

Quelli che seguono sono alcuni stralci di un documento sottoscritto da 14 associazioni della provincia di Terni: Cittadini liberi, Pensare il domani, Terni valley, associazione La Pagina Interamnopolis, pagina Facebook ‘Salute e partecipazione’, Aumiat (Associazione umbra malattie della tiroide, Tribunale diritti del malato, Acli, associazione Claudio Conti, Arci, Cittadinanza attiva, associazione Aladino, TerniDonne.

«I cittadini non stanno più trovando risposta ai bisogni più elementari di salute come un ricovero ospedaliero, una prestazione ambulatoriale, la gestione di una disabilità o di una malattia cronica, tanto meno servizi adeguati per la prevenzione. Le lunghe ed umilianti attese al pronto soccorso, le liste d’attesa intollerabili e pericolose nei servizi diagnostici e nelle sale operatorie, la fragilità dei servizi di medicina territoriale, drammaticamente evidenziata dalla pandemia, la insufficiente qualità delle prestazioni di cura prodotta dalle crescenti carenze organizzative, gli squilibri nelle dotazioni di personale dirigente all’azienda ospedaliera di Terni, dove mancano ben dieci primari, sono arrivati ad un livello di insostenibilità per la popolazione. Tutto ciò nonostante l’abnegazione del personale che è stato, con il Covid ed è tuttora, sottoposto a livelli di stress lavorativo mai visti in precedenza. La misura è ormai colma e questa deriva generale, che in regione tocca il suo massimo proprio nella provincia di Terni, va fermata con una scelta netta di rilancio del servizio sanitario pubblico, le cui carenze non possono essere colmate da iniziative di privatizzazione. All’interno dell’azienda ospedaliera esiste attualmente un indubbio problema di management, tanto che lo stesso Consiglio comunale di Terni ha denunciato gravissimi disservizi, chiedendo l’allontanamento del vertice dell’azienda ospedaliera, poi ottenuto. Le carenza nella dotazione organica nelle figure apicali si protrae da tempo, ed è prova evidente che esiste una subdola volontà di depotenziare il Santa Maria di Terni. Il declassamento dell’ospedale ternano è dimostrato dal suo incredibile arretramento, in pochi anni, dai primi dieci in Italia, nella classificazione nazionale di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) anno 2012, sulla base del Piano nazionale di valutazione qualità, ad oltre il centesimo posto secondo un recente studio pubblicato da Newsweek. (…) Il giudizio che le associazioni quotidianamente registrano da parte dei cittadini siano essi loro iscritti o non iscritti, è quello di una grave insoddisfazione dei bisogni di assistenza sia nella attività ospedaliera che in quella territoriale. La dimensione di questa insoddisfazione è andata progressivamente crescendo ed ha raggiunto livelli di criticità tali da richiedere il pronunciamento della massima espressione di rappresentanza della comunità cittadina, ovvero il Consiglio comunale, che nel mese di aprile, pressoché all’unanimità, ha denunciato i gravissimi disservizi chiedendo l’allontanamento del vertice dell’Azienda ospedaliera ritenuto il primo responsabile del degrado della principale struttura sanitaria della città. L’ospedale di Terni, soprattutto da quando è diventato sede del corso di laurea in Medicina e con la successiva trasformazione in Azienda ospedaliera ad alta specialità ha prodotto una importante risposta ai bisogni assistenziali della comunità locale e non solo. I dati di mobilità attiva documentano che circa il 20 per cento dei posti letto dell’azienda ospedaliera sono stati permanentemente al servizio di utenti di altre regioni, soprattutto quelle limitrofe. Da un po’ di anni, invece, per l’ospedale si è avviato in un percorso di lento declino come documentato dai dati di attività presenti nel Libro Bianco sulla sanità umbra del 2019; dati che si sono ulteriormente aggravati con l’avvento della pandemia. Tra i fattori che hanno determinato questa involuzione rientra sicuramente la politica sanitaria regionale che non ha garantito una manutenzione adeguata ai livelli qualitativi raggiunti circa una decina di anni fa e documentati da fonti indipendenti come il PNE e riferiti dalla stampa nazionale».

A partire da queste riflessioni condivise una larga parte del mondo dell’associazionismo ternano si possono individuare dei punti da sviluppare per un governo della sanità che tenga conto delle esigenze di salute e prevenzione da garantire universalmente attraverso la mano pubblica. In questo senso, il covid 19 potrebbe essere un’occasione per rafforzare il Servizio sanitario nazionale; ricordate quando il presidente Monti, durante il suo governo, dopo anni di indebitamento insostenibile, disse che in quelle condizioni era a rischio il Servizio sanitario pubblico? Il covid 19 ci darebbe l’occasione invece per rafforzarlo questo servizio pubblico che il mondo ci invidia, nonostante i limiti emersi durante la pandemia. Le Regioni con un sistema di medicina territoriale di base hanno fronteggiato meglio il virus, quelle regioni che hanno delegato quasi tutto agli ospedali hanno avuto i problemi maggiori. Troppo frettolosamente il governo Draghi ha messo da parte i 37 miliardi del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che potevano tornare utili per le riforme che si andranno a indicare. Ad ogni buon conto, Mes o non Mes, le risorse economiche dovrebbero essere utilizzate per soddisfare le seguenti esigenze prioritarie.

  1. Rafforzare la medicina di base con più medici e strutture territoriali, strutture che dovrebbero far fronte anche a un servizio di pronto soccorso per i codici bianchi e verdi, al fine di evitare l’ingolfamento dei pronto soccorso e per avviare finalmente una prassi che tenga in conto l’appropriatezza delle varie prestazioni.
  2. Investire sulla prevenzione, perché oggi il Servizio cura un gran numero di malattie che sono evitabili. Se la gran parte dei cittadini si mettesse in mente che le malattie non piovono dal cielo ma dipendono anche dai cattivi comportamenti noi realizzeremmo un primo grande risultato: quello di far diminuire in maniera significativa molte patologie e quindi alleggerire l’impegno del servizio sanitario nazionale, con la possibilità di utilizzare parte delle risorse in altre direzioni. Pensiamo ad esempio alle patologie alimentate dai dodici milioni di fumatori che abbiano ancora nel nostro paese; a quelle alimentate da tutti coloro che sono in sovrappeso o addirittura obesi, o da quelli che hanno una particolare affezione all’alcol; se mettiamo insieme soltanto queste patologie vediamo che le possibilità per il Servizio sanitario di diminuire le sue prestazioni sono enormi. Dobbiamo quindi investire più risorse nella prevenzione. È quello che oggi non avviene: si stima che sia meno dell’1 per cento dell’ammontare totale della spesa sanitaria (circa 110 miliardi in tutto) quello che viene impiegato in prevenzione; dobbiamo aumentare questa percentuale perché a lunga scadenza si possono ottenere dei risultati molto importanti.
  3. Accettare di rimborsare solo le cure e le terapie che hanno evidenza scientifica. Anche qui si possono realizzare enormi risparmi da mettere a disposizione, perché tutto quello che si fa in medicina è suffragato da evidenze scientifiche di validità, e qui la scelta è molto semplice. Se si adottasse questo principio riusciremmo a dare ai cittadini solo servizi di comprovata efficacia. Faccio degli esempi: ancora oggi rimborsiamo le cure termali; ci sono alcune regioni che rimborsano le terapie alternative come l’agopuntura o l’omeopatia o prodotti farmaceutici a base vegetale; poi ci sono enormi sprechi dovuti al fatto che tutti vogliono avere le ultime apparecchiature scientifiche per poi utilizzarle per una piccola percentuale, c’è un eccesso nel nostro paese di risonanze nucleari magnetiche, di PET, di acceleratori, un enorme aumento in questi ultimi anni delle neurochirurgi e delle cardiochirurgie che non lavorano a pieno tempo; ci sono un’enormità di punti nascita dove si vedono pochi neonati all’anno e quindi non ci può essere neanche la capacità di essere efficaci nel caso in cui si presenti qualcosa che non funziona; ci sono ancora piccoli ospedali che oggi rischiano di essere dannosi, perché per poter interagire con le malattie bisogna avere esperienza e occorre confrontarsi con un numero sufficiente di ammalati per essere in grado di rispondere alle loro necessità.
  4. Ultimo punto: evitare quelle tentazioni che molte regioni stanno portando avanti, compresa l’Umbria, che dice: chi può si faccia delle assicurazioni, La sanità deve essere uguale per tutti, altrimenti c’è la tentazione, come è già oggi nei servizi pubblici, di favorire quelli che pagano di più a discapito di quelli che pagano di meno e qui si può fare una nota che non è molto popolare: è disdicevole che all’interno del Servizio sanitario nazionale sia accettata la pratica dell’intramoenia, cioè l’attività privata all’interno degli ospedali pubblici. Questo fa sì che ci siano di fatto cittadini di serie A che potendo pagare usufruiscono di prestazioni molto rapidamente, e cittadini di serie B che non potendo pagare si devono mettere in coda e diventare un numero in una lista di attesa.
Foto da wikimedia.org

Un commento su “Appunti per un governo pubblico della sanità

  1. Sono queste le cose che nell’immediato devono cambiare avevamo un’azienda ad alta specializzazione con il passaggio di luminari a livello europeo ,l’anno fatta diventare le varie amministrazioni cariche prettamente politiche un ospedale di serie 0 ,condivido tutte le associazioni che si interessano del caso ,appoggiando come cittadina ogni reazioni per far sì che si ristabilisce quanto prima unospedale x le cure dei cittadini e non .

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