Nonostante siano cambiate molte cose, non si riesce a sfuggire all’impressione che l’incardinamento del governo Meloni sia l’ennesima replica di un film che ci si srotola davanti da almeno un quarto di secolo. La serializzazione del fenomeno è al tempo stesso un’aggravante e uno dei motivi per cui tanti di quelli che amano dirsi di sinistra hanno contribuito allo svuotamento di senso di quella definizione.
La lezione di Meloni è che si può andare al governo con le proprie idee, sempre ammesso che se ne abbiano. Quello che hanno fatto in questo quarto di secolo gli avversari e le avversarie di Meloni è l’esatto contrario: una progressiva mimetizzazione con lo status quo e con i poteri che lo gestiscono. Ed è stata un’operazione riuscita così bene che da un lato oggi essi ed esse sono indistinguibili dal resto del panorama; e dall’altro la loro lotta per il potere è diventata fine a sé stessa, essendo il potere diventato il fine e non un mezzo per trasformare l’esistente.
La mimetizzazione ha portato allo svuotamento dei significati, che a sua volta è alla base della costante degli anni che abbiamo alle spalle: il non saper più tematizzare, l’autocostrizione a balbettare di rimando ai significati che vengono imposti dall’altra parte.
Ci sono degli esempi plastici scaturiti dal discorso di Meloni in Parlamento e dal dibattito che ne è seguito. La presidente del Consiglio scandisce che il suo motto è «non disturbare chi vuole fare». Nel «non disturbare» c’è racchiusa la primazia assegnata alla parte alta della società, la stessa che secondo Meloni è produttrice di ricchezza. Solo contestando che la ricchezza è un prodotto sociale, e non dell’iniziativa di un/a singolo/a si può ribattere; e solo sottolineando che la produzione di ricchezza non può essere l’unica priorità in un pianeta in cui la ricerca di ricchezza sic et simpliciter sta producendo sconquassi epocali e ingiustizie bibliche, si potrebbe essere in grado di portare il discorso su altri piani. Ma si tratta di argomenti essiccati dopo decenni di inchini alla logica d’impresa tout court.
Ancora: la presidente va così fiera delle proprie idee da arrivare a innovare perfino i termini, così l’Istruzione viene dimezzata perché dovrà condividere il suo posto al ministero con il Merito. Fare del merito la misura dell’istruzione è l’esatto contrario della concezione universalistica della formazione delle persone, di tutte le persone; è la trasformazione del percorso di formazione delle persone in gara; è la tracimazione del principio di competizione dalla sfera economica, la sua assunzione ad archetipo sociale; è la monodimensionalità del giudizio; è, infine la messa in ombra delle condizioni sociali che innervano l’idea di merito. Ma tutto questo si è in difficoltà a farlo notare, se per decenni, invece di concentrarsi sull’innalzamento delle condizioni di chi sta in basso, si è assunta la meritocrazia come stella polare.
Meloni è la prima donna nella storia italiana a diventare presidente del Consiglio. Ci si sarebbe aspettati che il femminismo avesse sortito effetti diversi, viste le scarse frequentazioni a destra. E invece se di qua siamo ancora all’era dei maschi ovunque è anche perché il maschilismo è di casa pure nelle teste di tanti di sinistra che magari vanno alle manifestazioni per i diritti civili ma hanno la testa, gli atteggiamenti e le parole intrisi di un sessismo immarcescibile.
Si potrebbe proseguire con l’idea di Europa critica di cui è portatrice Meloni contrapposta all’acquiescenza con la quale ci si è approcciati all’Ue anche quando la finanza ordinava di strangolare la Grecia. Oppure con il rispolvero dell’antifascismo fuori tempo massimo, oggi, dopo averne sterilizzato per decenni la portata costituzionale.
Così oggi la replica si arricchisce di una nuova puntata. Con i conservatori che scrivono l’agenda di tutti, e i sedicenti di sinistra a tentare un controcanto sempre più stonato e inutile.
Concordo sull’analisi politica del voto, sulle motivazioni che hanno portato la Meloni a vincere. Gli argomenti di questa Destra, sono davvero risibili: “Dio, famiglia, Patria”, è uno slogan che racchiude bene in se quel messaggio identitario. Il fatto è che dalla sinistra, dal fronte progressista in generale, oramai da buoni decenni vengono più elaborati pensieri critici, in grado di far scaturire un confronto e un dibattito nella società, tra le componenti sociali che a compongono. Nessuna proposta, idea che faccia intravvedere un possibile sentiero da percorrere per costruire una società certamente fondata sul libero mercato, ma non più ispirata dal liberismo, da questo modello di globalizzazione, ma bensì che si ispiri ad una economia di mercato solidaristica e cooperativistica. Quindi un cambio radicale dei rapporti con il Sud del mondo, oggi improntati alla rapina. Provo a buttarla lì: ripescare il pensiero e l’agire di Enrico Mattei, ripartire da dove è stata interrotta la sua esperienza, potrebbe essere un modo per rianimare un confronto e per dare nuova linfa al pensiero progressista.