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Fisco e bugie: i conti con la realtà

 

Dai primi atti ed intenzioni dichiarate del governo Meloni, si può prevedere che la realtà gli presenterà presto il conto; l’arte del governare un paese fragile e complicato come l’Italia mal si concilia con un atteggiamento ancora propagandistico e fortemente ideologico della neopresidente e dei suoi ministri. Prendiamo, ad esempio il tema spinoso delle tasse. Dice, la “Presidentessa che vuol farsi Presidente”, che lotterà contro l’evasione fiscale, ma un attimo dopo, quando prova a dire come intende farlo si comprende bene che il messaggio reale che manda è rivolto, invece, a rassicurare gli evasori abituali del nostro paese. Si parla di nuovo di condoni e tregua fiscale, come se lo Stato fosse in guerra con gli evasori ai quali chiede semplicemente di assolvere ai loro doveri di contribuenti, come fanno tutti gli altri cittadini fiscalmente onesti, costretti a pagare di più, per conto degli evasori. Si parla di concentrare gli accertamenti fiscali solo sui grandi contribuenti, cioè le grandi imprese, lasciando tranquilli gli evasori medio-piccoli. Niente di più falso ed inutile. Basta avere presente alcuni dati: nel 2021, dai grandi contribuenti con un fatturato sopra i 100 milioni id euro, lAgenzia ha accertato maggiori imposte dovute per 1,2 miliardi, dopo 3.758 controlli. Dalle imprese di medie dimensioni, oggetto di 3.433 verifiche, ha accertato una evasione pari quasi al doppio di quella dei grandi, ovvero 2,3 miliardi di euro. Se poi andiamo ai lavoratori autonomi, le maggiori imposte evase ammontano a 3,7 miliardi. Perciò su un totale di evasione accertata di 7,2 miliardi, la quota dei grandi evasori, con fatturato sopra 100 milioni di euro, è solo di 1,2 miliardi, cioè appena il 16 per cento del totale evaso.

Resta semmai da capire come il governo intende colmare la voragine fra l’evasione stimata, in almeno 100 miliardi di euro e quella accertata e trasferita nelle cartelle che ora si vorrebbero condonare, che supera di poco i 7 miliardi. Non si aiuta di certo a farlo aumentando il limite per i pagamenti in contanti. Una misura fatta per favorire le attività che sfuggono al fisco e alimentare riciclaggio, economia sommersa e lavoro a nero. Dice il governo che altri paesi europei hanno tetti più alti del nostro attuale, fissato in 2 mila euro e che così si facilitano i pagamenti da parte di poveri ed anziani in presunta difficoltà con bancomat e pos. Due considerazioni al riguardo: i paesi con tetto al contante maggiore del nostro, ovvero Olanda, Belgio, Francia, Germania, paesi scandinavi e Regno Unito hanno una evasione minima rispetto a quella italiana che è da record europeo; in secondo luogo, i poveri senza reddito, i lavoratori a basso reddito e i precari o gli anziani con pensioni da mille euro, possono continuare a fare i loro pagamenti in contanti con il limite attuale, del tutto adeguato al loro reddito e tipologia di spese correnti. Pagamenti in contanti a 5 mila euro, invece, sono un favore, al limite del voto di scambio, fra la destra politica italiana e determinati settori economici del paese, come commercio ed artigianato, partite IVA, e lavoro autonomo in genere.

Le grandi società industriali o di servizi, sulle quali il Governo attuale vorrebbe fare lotta all’evasione, di fatto, per i sistemi di contabilità utilizzati per la gestione amministrativa non possono evadere, se non marginalmente le tasse, come si è verificato con gli accertamenti fatti. Sono invece sempre più orientati, i grandi gruppi, ad eludere il pagamento dei tributi, spostando il proprio domicilio fiscale nei paradisi fiscali europei ed internazionali. Occorrerebbe una forte iniziativa italiana in sede europea per eliminare la vergogna di sistemi di tassazione troppo sperequati da paese a paese che danno luogo ad una vergognosa concorrenza fiscale, persino dentro i confini dell’Unione europea.

I casi della Fiat o di tante star dello sport o dello spettacolo che eludono le tasse andando a pagarle ben lontano dal luogo dove il reddito viene prodotto, sono troppo noti per dover essere ricordati. Dice, inoltre, la neopresidente del Consiglio che cambierà il sistema degli incentivi sui quali si basa il lavoro dell’Agenzia delle entrate: dal premiare gli accertamenti al premiare quanto viene realmente recuperato e riscosso. Peccato che il vecchio sistema degli incentivi sia stato introdotto, nel 2008, dal governo di cui la Meloni era ministra e che il nuovo criterio, volto a considerare preminente il riscosso, per stabilire gli incentivi per gli addetti dell’Agenzia delle entrate, sia già in vigore da più di un anno. Meloni lo sa bene ma finge di non saperlo, contando sulla poca informazione che arriva agli italiani in materia fiscale.

Con l’inflazione che galoppa verso le due cifre, vengono colpite in modo discriminatorio le persone in base al loro reddito. Chi ha di meno viene colpito i più dalla inflazione, che funziona come una tassazione regressiva; paghi di più se sei più povero. Anche qui alcuni dati lo dimostrano. La stretta ai consumi dovuta al carovita causato dall’inflazione si distribuisce in modo iniquo tra le diverse fasce sociali di reddito: i ceti popolari hanno drasticamente ridotto le spese per viaggi e divertimenti, del 5 per cento in più rispetto alla media generale, l’abbigliamento del 6 per cento in più, dei farmaci del 15 èer cento in più del resto delle famiglie. Per non parlare delle notevoli differenze per gas, elettricità e carburanti per l’auto. Basti pensare che i ceti meno abbienti spendono il 4 per cento (ora il 4,5) del loro reddito per l’energia, (elettricità e gas), mentre i più ricchi spendono solo l’1 per cento (ora l’1,1).

Tutto ciò sta a dire che le disuguaglianze sono molto cresciute, con l’inflazione ed il caro vita, e incidono in modo diversamente pesante sulle situazioni di povertà e sul tenore di vita delle famiglie. Una situazione che prepara una profonda e rischiosa crisi sociale che può essere prevenuta e gestita con una forte manovra redistributiva della ricchezza. Gli strumenti per farlo sono più posti di lavoro, meno precari e meglio pagati, e poi una tassazione fortemente progressiva a vantaggio dei ceti più fragili ed esposti ai colpi della crisi. Di tutto ciò dal nuovo governo viene silenzio, come sulla sfida del cambiamento climatico e della transizione energetica.

Oppure adottano misure, come la Flat tax, che vanno in senso opposto a ciò che sarebbe indispensabile fare per non lacerare ancora di più il tessuto che tiene insieme la società e la comunità italiana.

Vedremo, finita la luna si miele, all’opera una dura crisi sociale che non farà sconti, né a chi governa, né a chi è chiamato alla responsabilità di una opposizione che voglia preparare un diverso futuro per il paese.

In copertina, foto dal profilo Flickr di Giovanni

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