Non solo chi nel tempo ha amministrato e ora amministra Perugia ma anche i perugini hanno avuto problemi con ciò che il Novecento vi ha lasciato, basti pensare alla diffusa indifferenza con la quale l’ex Policlinico di Monteluce è stato ridotto in macerie, o a come si trascina l’eterno problema del Teatro Turreno, oppure ai lampioni liberty delle Poste e al monumento alle vittime civili della guerra di piazza Grimana divorati dalla ruggine, o, infine, al tabacchificio di Nervi che è stato abbattuto, mentre il suo stadio di Firenze è tutelato e il Flaminio di Roma difeso.
Eppure segni del Novecento scampati alla furia antinovecentesca cittadina sono ancora presenti e visibili da chi avesse voglia di andare a cercarli incominciando, per esempio, da un percorso tra le sculture della seconda metà di quel secolo da piazza Partigiani fino al Palazzo dei Priori.
Parte dai giardini di santa Giuliana – area verde che ospita la Scuola di lingue estere dell’esercito e ogni estate si riempie con il pubblico e la musica di Umbria Jazz – con la fontana di Romeo Mancini: corpi bronzei e aggrovigliati sembrano fiocinatori sotto i quali da anni non c’è più acqua ma una poltiglia stagnante di foglie marce e acqua piovana.
Poco più in là non se la passa meglio la salda e compatta scultura di marmo bianco del magionese Burattini, aggredita com’è da muffe, inquinamento e scritte; dono alla città e ai lavoratori della Cgil manda agli intellettuali l’invito a svolgere “la loro funzione critica”, messaggio oggi più necessario di allora con il mutismo acquiescente che ha colpito la cultura italiana. Sempre in quell’area la “Grande radice aerea” dello scultore Bruno Liberatore (docente alle Belle Arti di Roma e allievo di Pericle Fazzini e Umberto Mastroianni) dedicata ai caduti sul lavoro dall’Associazione mutilati e invalidi del lavoro.
Da piazza Partigiani si entra nelle “Scale mobili della Rocca Paolina”, già di per sé un’opera del Novecento, dove s’incontrano il “Volo di Colombe” del 20 Giugno 1986 di Massimo Pierucci, umbro da anni residente a New York, dedicato al leader socialdemocratico svedese Olaf Palme, «uomo di pace» vittima di un attentato; il “Grande Nero” del grande Burri, che sembra essere stato lì da sempre; la scultura di Romeo Mancini «Ai democratici umbri vittime del fascismo» umiliata in un angolo da dove dovrebbe tornare nel punto per il quale era stata pensata e dove esprimeva il suo significato ora mortificato. Salendo poi nel giardino di Piazza Italia si trovano la “Bimba al sole” e la “Sirena” di Arturo Checchi, che hanno trovato una collocazione adattissima.
Per finire, all’interno del Palazzo dei Priori c’è il Monumento ad Aldo Capitini del 20 Giugno 1982. Scultura intricata, complessa ma coerente come il pensiero di Capitini: stecchi di metallo simili a rovi che sembrano desiderosi di spingersi in alto verso la torre campanaria del Comune fino alla stanza del filosofo della Compresenza che Romeo Mancini ha frequentato con i giovani antifascisti perugini.
Come si vede un cammino nella scultura del Novecento e nella storia politica e sociale di Perugia che mette insieme parti della città che quest’anno godranno di un’attenzione particolare grazie a due scadenze per Perugia fondamentali: Il quarantennale delle Scale mobili e il cinquantenario di Umbria Jazz che vedrà migliaia di spettatori fare su e giù da Santa Giuliana al centro cittadino in cerca di musica. Sarebbe giusto e accogliente farglielo trovare segnato da sculture ripulite, ben indicate e adeguatamente illuminate portando così luce su una parte di Perugia, una città che non può eternamente specchiarsi nel suo glorioso e lontano passato ma dovrebbe avere nel cuore anche ciò che la sua storia più recente le ha lasciato. Non solo per una seppur importante questione estetica, ma per migliorare la qualità della vita dei cittadini consentendo a quelle sculture di esprimere compiutamente se stesse diventando fonte di umanità, sentimento civile, senso di comunità, orgoglio civico.