La campagna elettorale più bislacca e indecifrabile del nuovo millennio è arrivata alla sua settimana finale, la settimana decisiva visto che tutti i sondaggi noti e meno noti, pubblicati o tenuti nascosti, trovano un unico punto in comune nell’alta percentuale di indecisi. Si sono susseguiti i confronti fra i sette candidati, mentre la città si è riempita di vele pubblicitarie cariche di promesse e buone intenzioni e il centro cittadino di sedi elettorali. Colpisce a tal proposito l’alto numero di sedi personali, riservate cioè al singolo candidato, aperte dai candidati consiglieri delle liste al seguito di Orlando Masselli, segno inequivocabile di una buona disponibilità economica e di una lotta senza quartiere che dura dall’inizio della scorsa legislatura; da sottolineare come le porte girevoli, il passaggio da un partito all’altro di diversi consiglieri, abbiano caratterizzato l’intero lustro di governo della destra. Gli altri sei candidati si sono invece limitati, persino il danaroso Bandecchi. Sottolineato questo dato quantitativo, che racchiude in sé diversi elementi qualitativi, non resta che analizzare i vari confronti, cercando di giudicare tanto la performance dei sette, quanto i programmi al loro seguito.
Partiamo dal candidato sindaco uscente, o meglio dal candidato sindaco della coalizione di maggioranza che ha deciso di decapitare il sindaco uscente sostituendolo con l’assessore al Bilancio. La prima cosa che risalta agli occhi, e ahinoi alle orecchie, è indiscutibilmente il suo essere uomo di numeri, vista la scarsa propensione al decente utilizzo della lingua italiana (dal celebre «è stato parlato», al «con i quali tutti mi confronto e con i quali tutti ho un rapporto») emersa durante dibattiti pubblici e confronti tv. L’italiano in sintesi, a differenza della matematica, resta un’opinione simboleggiata dal punto interrogativo. Non potendo puntare sull’intrinseco del proprio curriculum, a proposito del merito come parametro indiscusso e indiscutibile, Masselli batte forte sulla forza del passato e sulla volontà del futuro racchiusi in slogan e sugli «amici» di Roma (Meloni) e di Perugia (Tesei), che a suo dire lo rendono l’unico in grado di poter amministrare, l’unico in grado di non isolare Terni dal resto del mondo. Una strategia che presta il fianco a uno dei punti forti della campagna elettorale altrui, e cioè a quella tanto odiata sudditanza numerico/politica verso Perugia che la Tesei e la sua filiera politica rappresentano pienamente e che Bandecchi («mai più schiavi di Perugia»), Fiorelli (basta vedere il simbolo della lista Terni conta) e gli altri quattro, seppur con sfumature diverse, cavalcano convintamente.
Bandecchi dal canto suo è sempre al di sopra delle righe, come non sottolineare il suo video di presentazione dove dice di amare il tirar cazzotti e dove si descrive come «cattivo, cattivo, cattivo», spesso assente dai confronti, non certo per paura, ma per impegni lavorativi o strategia comunicativa. Un Bandecchi che fa della sua figura e della sua propensione al successo il vero totem, l’uomo solo al comando in grado di risollevare Terni dal pantano in cui l’ha infilata la filiera Latini (oggi Masselli)/Tesei. I toni sono quelli che sono, la risposta del fido Corridore al buongiocoetoccoterra lanciato dallo stranamente moderato Melasecche vale più di mille parole.
Il professor Kenny, partendo sempre dal video di presentazione, sembra a volte in difficoltà a emergere dai tanti (che sia chiaro non sono mai troppi) libri che dice di possedere insieme alla moglie, come giudicare altrimenti la sorprendente risposta affermativa al secco della domanda postagli, «Terni è una città sicura?». Come poter rispondere «sì» dopo tutto quello che è successo in questi cinque anni a Terni, come non cogliere l’occasione di rispondere «assolutamente no» criticando l’approccio muscolare e securitario, totalmente fallimentare, con cui la destra aveva promesso solennemente di porre rimedio alle giunte di centrosinistra cinque anni fa? La sua lontananza dalla politica cittadina di questi ultimi anni traspare, una sorta di corpo estraneo colto, mai al di fuori delle righe, mai aggressivo a differenza di Masselli e Bandecchi, ma che mai o quasi dà l’idea di internità al complesso dipanarsi della macchina amministrativa. Punta tutto sul “nuovo che avanza” incarnato da Schlein, peccato che, almeno a stare alle sue dichiarazioni («sono vicino ai vecchi Ds») e a quanto si legge dalle cronache locali, la sua candidatura sia stata imposta dagli agenti mai domi del “vecchio che ritorna”.
Paolo Cianfoni rappresenta egregiamente il buon padre di famiglia parallelo alle logiche di potere, consapevole e preparato. Una lista civica moderata contraria tanto alla filiera politica che oggi governa l’Umbria e Terni (senza dimenticare Perugia), quanto alla filiera che l’ha governata ieri. Sempre pacato nei toni e sempre molto determinato nell’avanzare la sua idea di città, attenta all’ambiente e alle dinamiche produttive, non ha mai sfigurato nei vari confronti. Una presenza da non sottovalutare, più per le capacità espresse che per i numeri al seguito, in caso di ballottaggio.
Emanuele Fiorini, il tribuno del per/con/tra la gente, figlio dell’ondata populista di qualche anno fa, che non perde occasione per evidenziare le tare di quella che fu la sua casa, le lacune e gli squarci di una destra che si vuole granitica e competente. Ha perso un po’ di forza con lo scorrere del tempo, il fatto di essere uno contro tanti, alla lunga non può che far diminuire il suo ardore, gli va comunque riconosciuto il piglio da combattente indomito.
Silvia Tobia e la timida determinazione – “a cavallo” di quel ronzino a motore ambulante (Il Poderoso) – di difendere, senza se e senza ma, gli ultimi di Terni e del mondo intero. La scelta di correre in solitaria rappresentando direttamente i bisogni primari insoddisfatti è pratica nobile, il rivendicare la partecipazione dal basso, il rifiuto di incarnare una delega in bianco rappresentano l’abc della politica dal basso, la politica quella vera. L’altra faccia, quella della sinistra che non si arrende, del per/con/tra la gente di Fiorini per Terni. Nulla da eccepire, se non dubbi sull’effettiva capacità di trasformare la realtà delle cose, punto dirimente per ogni buon comunista.
Claudio Fiorelli, infine, una partenza in sordina, il suo essere un tecnico, il suo approccio pratico proteso alla risoluzione dei problemi, mal si è conciliato inizialmente con la necessità politica di astrarre, di saper presentare il corposo programma, che viene da lontano e vuole andar lontano, delle tre liste in suo appoggio. Ma il dottore, lui sì con un curriculum di tutto rispetto, ha dimostrato umiltà e consapevolezza dei propri limiti, ha iniziato senza mai fermarsi a girare la città, ad ascoltare e proporre, ha aggiustato il tiro della sua comunicazione (durante confronti e dibattiti), è riuscito in breve a valorizzare i suoi punti forti (la difesa di ambiente e salute, la riscossione dei corposi canoni idrici, la creazione di un assessorato in grado di costruire percorsi concreti per arrivare ai fondi comunitari essenziali per imprese, associazioni e terzo settore, l’imprescindibilità dei giovani nella crescita della città, il riequilibrio territoriale contro ogni filiera politica), mettendoli a confronto con l’impossibilità oggettiva degli altri candidati di concretizzarli. Insomma una sorpresa che sembrerebbe in grado di avviare una nuova stagione per Terni.
Detto questo, resta la virulenza proverbiale, per tutti e per ciascuno, del: a li conti famo li pianti.