Tanto tuonò che piovve per alcuni e diluviò per altri.
Partiamo da chi con volontaria ostinazione e deresponsabilizzante scaricabarile è riuscito a trasformare una opportunità inaspettata in suicidio di massa. Il campo largo dei progressisti, reso impraticabile dai veti incrociati e dalle alchimie di una politica più vicina all’ancien règime che al nuovo corso, si è trasformato nel campo santo delle belle speranze.
Da una parte l’esigenza dei cinque stelle di vedere riconosciuto un percorso decennale di opposizione tanto a quelli de prima (Pd) quanto a quelli de adesso (destra/centro), la rivendicazione squisitamente politica di non poter essere in alcun modo identificati con quel potere in decadenza che spianò la strada all’onda sovranista a guida leghista. La necessità irrinunciabile e non identitaria di, in caso di ballottaggio, potersela giocare fino in fondo, di poter governare non tanto per farlo, ma ponendo in atto un vero e proprio cambiamento rispetto a ciò che fu e a ciò che è stato. Preferibilmente un politico, in via secondaria un civico di alto profilo condiviso nella scelta, non semplicemente accettato dietro altrui indicazione.
Dall’altra un partito in attesa di un congresso nazionale che sembrava non dover arrivare mai, un partito organizzato che a livello locale sembra soffrire della sindrome mai rimossa del se non siamo più al governo della città la colpa non sta nei nostri sbagli, ma nella barbarie impolitica e giustizialista dei 5 stelle. Un partito attraversato da più voci contrastanti e spesso incapaci di convergere su una proposta altra, su un’ipotesi differente dal solito pasticciato piatto riscaldato. Un partito tendente alla schizofrenia, vedendo la parte mezza piena del bicchiere; un partito delirante vedendo quella mezza vuota. Come definire altrimenti l’esito delle votazioni congressuali e le scelte messe in campo poi? Come giudicare la vittoria di Cuperlo che ha trovato senso pratico nell’accordo elettorale con il partito di Calenda? Come poter giustificare, a congresso finito, l’entusiasmo smodato con cui in maniera piuttosto goffa sono tutti saliti sul carro di Elly Schlein, dopo non averla vista arrivare e soprattutto dopo non averla proprio voluta ascoltare? Lo sforzo di sintesi allargata fatto dai vertici regionali e nazionali si è dovuto arrendere di fronte al muro di gomma, pratica in cui si sono sempre dimostrati maestri, dei cacicchi locali.
Il risultato scontato, occultato al pari della polvere sotto il tappeto dell’ipocrisia, è stato quello di spianare la strada al peggiore dei ballottaggi possibili: la destra/centro del ragionier Masselli contro l’alternativa personale più che popolare del presidente della Ternana Bandecchi. La coalizione che lo volle cittadino onorario, contro il cittadino onorario (reso tale con l’assenso quasi totale dell’opposizione), ribellatosi, a stare alle cronache e alle notizie pubbliche, perché la lealtà e l’onore vengono prima di tutto. Una ribellione sfociata in discesa in campo, in travolgente candidatura alla poltrona di primo cittadino. Ora che l’onorario da cittadino vuole farsi sindaco, la politica, che tanto lo ha omaggiato al limite della venerazione, lo ostracizza sconfinando nel campo della demonizzazione. Le prime dichiarazioni sembrano portare a un Bandecchi contro il resto del mondo, ma a caldo si sa, soprattutto di fronte a una cocente delusione che non ha risparmiato nessuna forza politica tranne Bandecchi appunto, spesso è il lato emotivo (depresso) a parlare, piuttosto che la sfera razionale (offuscata).
Il sistema elettorale, il migliore di quelli circolanti in Italia non certo per meriti propri, ma per demeriti altrui, dopo aver dato la possibilità a tutti e a ciascuno di poter scegliere per il meglio, di indicare il candidato sindaco e la coalizione a supporto preferita, al secondo turno impone la scelta del meno peggio.
Quindi, unendo l’harakiri organizzato e mai rivendicato del fantomatico campo progressista – che spesso si unisce dove è sicuro di perdere e tende a dividersi dove c’è possibilità di vittoria, come se Tafazzi fosse il regista designato e la sua bottiglia il mezzo che sublima ogni fine, parafrasando ignobilmente Machiavelli – con i meccanismi del sistema elettorale, ora il disorientato popolo alternativo alla destra si trova di fronte a un trivio, molto più simile all’inferno della strada senza uscita che alla potenziale via verso un raggiungibile paradiso terreno.
Si può votare Masselli, l’apologia della strada senza uscita, la legittimazione di chi ha scambiato Terni per “cosa loro”, di chi ha defenestrato in una telenovela horror il sindaco che tanto bene aveva fatto, a loro dire, per sostituirlo con un rappresentante del partito di maggioranza uscito dalle Politiche, un ragioniere tanto bravo nei conti (a suo giudizio) quanto maldestro con la lingua italiana, che sostiene di essere l’unico a poter governare perché amico della tanto “odiata” Tesei, madrina della Regione Perugiacentrica, e di Giorgia, facendo credere così che la Meloni parli solo con i sindaci suoi, come se Milano e Roma, nell’ottica politica masselliana, non avessero speranza alcuna di ricevere alcunché dal governo. Un vero e proprio capolavoro tattico strategico, la pubblica rivendicazione di Masselli: non è la politica che tutela Terni, ma il vincolo che la unisce alla filiera degli amici degli amici. Bene, sarebbe un vero suicidio politico per qualsivoglia progressista andare a votare Masselli, avallando così la supponenza della filiera di potere della destra/centro, da Roma a Terni passando per Perugia. Il tafazzismo oltre Tafazzi insomma.
La seconda possibilità prevede l’impossibilità di riuscire a individuare il meno peggio, l’Aventino consapevole e ragionato, talmente consapevole e ragionato da decidere di mettersi sulla riva e veder passare con cinico disinteresse il proprio cadavere. Una scelta politica alta che costruisce l’identità sulla negazione dell’identità altrui e che al contempo si fa scherno delle regole binarie e vincolanti del sistema elettorale. Una reazione fisiologica, il maggioritario a doppio turno prevede un calo di percentuale di votanti visto che si restringe il campo della scelta.
La terza scelta è quella più stramba, tanto stramba e visionaria da contenere una doppia opzione. Prevede il voto per il cattivo, cattivo, cattivo. Un voto figlio della libera scelta dell’elettorato, derivato dalla tacita impossibilità di legittimare chi ha scambiato Terni per casa propria solo dopo cinque anni di governo, facendo ben peggio di quelli de prima che perlomeno avevano dalla loro 60 anni di riscontro elettorale incontrastato. Un salto nel vuoto in cui non ci si sporcano le mani, in cui non ci si espone pubblicamente, secondo la logica del peggio di così non può andare. Un’opzione, sia chiaro, che lascerebbe alla destra/centro e alle liste di Bandecchi (sindaco) l’80 per cento del Consiglio comunale riducendo l’opposizione di centrosinistra a mera rappresentanza folkloristica. La seconda opzione nell’ambito della terza scelta è un voto trasparente, pubblico e rivendicato. Un apparentamento formale (sempre che Bandecchi sia propenso), rischioso al limite dell’azione kamikaze, basato su un accordo chiaro, su punti programmatici condivisi e condivisibili: i canoni idroelettrici; l’assessorato per il funding; il riequilibrio territoriale; la centralità della sanità pubblica; il rispetto dell’ambiente e la tutela della salute con lo sviluppo produttivo, facendoli coesistere grazie ai fondi della transizione ecologica. In sintesi, invece di lasciare carta bianca ai vecchi amici ora giurati nemici in Consiglio comunale, si deciderebbe di svolgere l’ingrato compito dei garanti democratici, si deciderebbe di sfidare il “diavolo” alla luce del sole, risolvendo così una volta per tutte il mistero che sottende e sovrasta la sua discesa in campo. Lo fa per tutelare i propri interessi o lo fa perché realmente interessato a risollevare Terni e i ternani? La base dell’accordo non potrebbe che prevedere la lealtà, il fatto cioè di mandarsi a quel paese dicendoselo sulla faccia e in pubblica sede nel caso di inconciliabilità politico-programmatica, con l’impegno solenne di considerare Terni e i ternani il vero bene comune.
La politica non è come il poker, ma l’unico modo per smascherare un bluff è andarlo a vedere, mentre il solo modo per non subire passivamente la tracotanza altrui è unire la sottrazione attiva con la partecipazione molteplice. Il governo delle cose fine a se stesso è pura reazione, la trasformazione della realtà delle cose è principio guida della rivoluzione, in mezzo c’è il mondo intero, che è l’esatto opposto del mondo di mezzo.