Le elezioni amministrative appena svolte non hanno fatto altro che confermare una tendenza che solo i ciechi non potevano vedere: era tutto scritto e ampiamente annunciato, sia la vittoria della destra che l’ulteriore aumento del tasso di astensione. Forse proprio quest’ultimo, essendo salito oltre il 50 per cento, può considerarsi una qualche novità, che evidenzia quanto le persone siano lontane dal teatrino della politica e dall’arroganza e il cinismo dei partiti. La destra vince con maggioranze minime all’interno di un elettorato dimezzato, elemento che nella sostanza indebolisce la vittoria stessa. Ma l’astensione è un diretto segnale di indebolimento del tessuto democratico. Lo scenario è così caratterizzato da politici legittimati da pochi voti i quali, presi dal proprio particolare, non si curano del contesto, avendo garantiti i propri privilegi e con il contentino delle comparsate in video praticamente 24 ore su 24. Il problema, se calato nei territori, diventa ancora più pernicioso e si presta a composizioni, scomposizioni e alleanze condizionate dal luogo e dalle comunità locali, dove davvero tutto diventa possibile e giustificabile.
Ricapitolando: La destra vince perché semplifica, cavalca il malcontento, e soprattutto può contare su un elettorato rancoroso, ostinato e vendicativo che in questa fase sembra perdonargli tutto, compreso lo stravolgimento del programma elettorale e di tutti gli slogan enfatizzati quando Fratelli d’Italia era all’opposizione del governo Draghi. Una volta al governo infatti, sono stati abbracciati europeismo, atlantismo, neoliberismo, conditi di quel pizzico di sovranismo e nazionalismo consentiti, e dell’intolleranza e rancore verso la cultura e l’informazione, ambiti da cui la destra di origine post fascista è stata esclusa ed emarginata per via costituzionale. Come Draghi e più di Draghi si potrebbe dire, ma saldamente al timone e con un’idea di potere che sembra avere poco a che fare con il governo e molto con il comando, che soffre gli equilibri istituzionali e i contrappesi democratici.
La destra sembra avere gioco troppo facile soprattutto per mancanza di alternativa, essendo oggi favorita dal caos perfetto che regna nel campo del centrosinistra, incapace di dare vita ad alleanze stabili con programmi credibili e condivisi. È all’interno di questo scenario che presumibilmente ci si avvierà alle battaglie sulle riforme costituzionali: presidenzialismo, autonomia differenziata, equilibrio e separazione dei poteri e altro ancora, con una parte della maggioranza di destra che ha seri problemi con il dettato costituzionale, ben rappresentata, in questo, da un presidente del Senato che arriva ad affermare che «nella Costituzione non c’è la parola antifascismo», non ricordando che la stessa vieta la ricostituzione del partito fascista. Modificare la costituzione rimane la battaglia vera della destra, che passa per una nuova narrazione ottenuta attraverso l’egemonia culturale, un concetto gramsciano dimenticato dalla sinistra, ma al contrario ben presente nell’agire della destra, e ben visibile nell’occupazione dell’informazione pubblica e nel controllo quasi totale di quella privata.
Purtroppo, dopo le ultime pesanti sconfitte, non resta che prendere atto dell’attualità della frase pronunciata da Nanni Moretti quando nel 2002 affermò profeticamente che «che con questi dirigenti la sinistra non avrebbe vinto mai».
Mentre si registrano il disastro toscano e quello marchigiano, in Umbria tutto sembrava già scontato, con la destra che avrebbe confermato il proprio primato continuando l’opera di consolidamento e stabilità nella vita politico-amministrativa regionale.
Le dichiarazioni post batosta del poco incisivo segretario del Pd umbro, con gli inutili richiami al chiarimento (siamo almeno al terzo annuncio), stanno a dimostrare tutta l’incapacità della sinistra di costruire un progetto politico credibile che vada oltre l’ammucchiata opportunista di civici, cinque stelle, frattaglie di sinistra; tutta roba che non ha nulla di nuovo e di attraente. I problemi della sinistra umbra stanno nello smarrimento dei valori, nel venire meno dell’ancoraggio di classe, nel vuoto ideale che non possono essere sostituiti all’infinito con la tattica, l’improvvisazione, i cerchi magici. Mancanza di analisi, di coraggio, di visione, di supporto intellettuale, avere messo in secondo piano le idee di giustizia sociale e uguaglianza, sono cose da fare inorridire sia il pensiero socialista sia il sentire cattolico. Continuare a tacere, nascondere, mistificare, giustificare i comportamenti e gli errori, evitare di fare un’autocritica profonda, rimangono gli errori e i limiti di questo centrosinistra. Un comportamento che in Umbria condanna l’opposizione alla marginalità e favorisce il consolidamento della destra, alimenta l’astensionismo e favorisce la nascita di novità politiche inaspettate.
Così la novità alla fine è Bandecchi, che sarà pure il sindaco meno votato della storia di Terni, ma che ha vinto sconfiggendo la destra da destra mandando così un segnale alla sinistra mai stata in partita. Il primo cittadino di Terni sarà anche un problema per la politica ma sicuramente è un segnale negativo per la sinistra che nella seconda città della regione, capoluogo di provincia e polo industriale primario, non riesce nemmeno ad andare al ballottaggio e favorisce l’ascesa del nuovo caudillo.
Tralasciando per il momento le elezioni europee del prossimo anno, a Perugia alle prossime amministrative assisteremo probabilmente al tentativo di scalzare la destra con un programma che si strutturerà, sui temi del degrado urbano, della sanità, del declino del pubblico e del welfare. Contro una destra che in questi anni ha consolidato la presenza nei quartieri e tra la gente attraverso il coinvolgimento dei cittadini su progetti di riqualificazione, feste e iniziative partecipate con l’amministrazione, ma che non potrà ricandidare un sindaco gradito, difficile da rimpiazzare. La Regione sembra invece per diverse ragioni più contendibile, anche se appare difficile non ripetere gli errori del 2019, perché come detto, non si è fatta né analisi della sconfitta né autocritica, e i protagonisti della catastrofe sono tutti in pista in posizioni preminenti, ben presenti e pronti a gestire anche il prossimo appuntamento e salvo miracoli, ad apparecchiare l’identico disastroso risultato.
È in uno scenario del genere che si assiste al consolidamento della destra. Se le novità saranno i Bandecchi o similari, la sinistra o quello che sarà potrà forse sperare di tornare al governo tra vent’anni (come da più parti si sente dire), in un’altra epoca. Clima, virus, guerre, crisi e Intelligenza artificiale, permettendo. Condannata per il momento da se stessa a trascinarsi da una batosta all’altra, in balia di pessimi suggeritori e di classi dirigenti ostinate e inadeguate. Poi, hai visto mai, nel mondo liquido nulla è certo e tutto può cambiare.
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