La classifica di Newsweek pubblicata qualche mese fa da Napoli Today che mette a confronto 127 ospedali generici e 13 specializzati,colloca il nosocomio ternano al 97esimo posto e quello di Perugia al 43esimo. Nel 2020 la stessa classifica vedeva l’ospedale di Perugia al 66esimo e quello di Terni all’86esimo: Questo dato non rappresenta certamente una novità in quanto lo stesso consiglio comunale di Terni, nella
passata consiliatura, ad aprile 2022, decise l’allontanamento del direttore generale dell’epoca Pasquale Chiarelli, sempre sulla scorta di un analogo articolo della rivista Newsweek con l’ospedale che aveva una posizione ancora peggiore di quella conseguita attualmente.
Rimanendo sempre sui dati di stampa, il Sole 24 ore Sanità di aprile 2013 evidenziò la posizione di rilievo nel panorama delle aziende ospedaliere italiane occupata dall’Azienda di Terni: ottavo posto nella graduatoria del Piano nazionale esiti (Pne per il 2012). A ciò si deve aggiungere che la Regione è stata, fino a tutto il 2019, riconosciuta dal Governo nazionale Regione benchmark per il rapporto tra spesa sanitaria e qualità delle cure prestate. L’ospedale di Terni, dal punto di vista strutturale non è molto diverso da come era 10 anni fa, quando conseguiva risultati piuttosto lusinghieri. È evidente che il vero peggioramento è intervenuto nella gestione più che nella struttura, che comunque necessita di essere aggiornata anche in termini di comfort e sicurezza.
Da quando si è insediata la nuova Giunta regionale si è iniziato a parlare di un nuovo ospedale per Terni, senza chiedere allo stato un euro di finanziamento pubblico, tanto ci pensava il privato con il project financing. La domanda vera è: cosa si propone nell’immediato ai cittadini ternani, visto che per avere il nuovo ospedale ci vorranno comunque anni, per garantire una assistenza al passo con i tempi?
Il problema che affligge la sanità ternana e umbra è l’indebolimento del servizio pubblico a tutto vantaggio delle strutture private. Trattamento economico inadeguato, turni e ritmi di lavoro insostenibili, pressione dell’utenza crescente dovuta anche all’aggravarsi delle condizioni di difficoltà di fasce sempre maggiori della popolazione: tutto questo concorre alla riduzione delle risorse professionali impegnate nel servizio pubblico. Questo mentre cresce surrettiziamente il welfare aziendale: 300 fondi sanitari (oltre 10 milioni di iscritti), l’85 per cento dei quali riassicurati e/o gestiti da compagnie assicurative. I contributi versati ai fondi da persone fisiche ammontano a oltre 11 miliardi di euro, con un onere di deduzioni per la fiscalità generale di 3,5 miliardi di euro. In questo modo avanza la sanità privata. Cosa si propone? Magari ci si schiera per la sanità privata, a sostegno del progetto di project financing per l’Ospedale di Terni, avanzato (ma guarda un po’!) dalla presidente Tesei e dall’assessore Coletto? La campagna elettorale è finita e i problemi bisogna affrontarli. Nessuno si sottrae a questo inesorabile destino. Oggi la vera domanda è: come si salva la sanità pubblica? Una conquista che il mondo ci invidia e che si rischia con questi governi di distruggere. Un patrimonio che la stessa Costituzione tutela.
Riassumendo, i punti dovrebbero essere questi: 1) rafforzare la medicina di base con più medici e strutture territoriali; 2) investire sulla prevenzione, perché oggi il Servizio cura un gran numero di malattie che sono evitabili; 3) accettare di rimborsare solo le cure e le terapie che hanno evidenza scientifica; 4) evitare quelle tentazioni in cui molte regioni stanno cadendo, Umbria compresa, che puntano sulle assicurazioni private. La sanità deve essere uguale per tutti, altrimenti c’è la tentazione, come è già oggi nei servizi pubblici, di favorire quelli che pagano di più a discapito di quelli che pagano di meno, e qui si può fare una nota che non è molto popolare: è disdicevole che all’interno del Servizio sanitario nazionale sia accettata la pratica dell’intramoenia, cioè l’attività privata all’interno degli ospedali pubblici. Questo fa sì che ci siano di fatto cittadini di serie A, che potendo pagare usufruiscono di prestazioni molto rapidamente, e cittadini di serie B che non potendo pagare si devono mettere in coda e diventare un numero in una lista di attesa.
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