Una maschera di carnevale sim bolo del male
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La legge del male

 

Tra le ragioni principali della debolezza della politica, oltre allo strapotere dell’economia o meglio dei soggetti economici transnazionali e non che dettano la linea imponendone i ritmi, sicuramente vi è la rincorsa del consenso che di fatto ha sostituito la creazione del consenso. Se vincere le elezioni è da sempre nei paesi a democrazia più o meno avanzata obiettivo di ogni competitore, il come vincerle, ossia il mezzo che giustifica il fine, è divenuto colonna portante per cui tutto è permesso e tutto è lecito. L’indirizzare l’opinione pubblica è divenuto tecnicismo comunicativo, il più bravo è in poche parole non il più preparato, ma chi riesce a spararla più grossa nel modo più diretto possibile, cercando in particolare di far leva sulle paure indotte, da sanare attraverso le rassicurazioni a muscolarità crescente. In poche parole, la complessità sistemica – l’insieme delle relazioni non lineari che fanno ogni società umana contemporanea – viene trasformata in banalità ideologica in cui le relazioni, allineate in marziale e ordinata aggregazione, rispondono alla ferrea legge della gravitazione sociale, secondo cui pesce grande mangia pesce piccolo la diversità è vista come minaccia sempiterna.

Il farsi indirizzare dall’opinione pubblica, solitamente sempre in cerca di un colpevole su cui riversare le proprie frustrazioni, allo stesso tempo, in un paradosso parossistico dall’eterno movimento circolare tipico del cane che rincorre la propria coda, è diventata l’altra faccia della medaglia. Se si vogliono vincere le elezioni, questo l’undicesimo comandamento, il primo non scritto e il primo in ordine di importanza, bisogna cavalcare il malcontento, bisogna sacrificare il gesùcristo di turno, bisogna rispondere presente alle richieste di ordine e disciplina da riversare sistematicamente sul più debole. La medaglia dalle due facce sopra descritta è l’indiscutibile totem, che dimostra come la destra, senza distinzioni di luogo e di tempo, abbia un’egemonia pressoché totale, che finisce con l’avvolgere non il semplice risultato finale (la vittoria elettorale), ma i temi portanti della competizione elettorale. A conferma di tale evidenza, paradigmatico è il comportamento tenuto dall’intera Unione europea, e da ogni singolo stato che la compone, sulla questione migranti. La demagogia post/colonialista, il passaggio dal depredare le risorse delle terre coloniali al difendere le proprie terre dall’assalto di donne, uomini e bambini, del terzo, quarto e quinto mondo, legittima il ricorso a ogni espediente, pretende l’istituzione formale e non di barriere a intensità crescente. Il blocco navale; gli accordi monetari in funzione contenitiva con Paesi dai metodi spiccioli e dalla democrazia discutibile; i porti di approdo che sostituiscono il concetto di prossimità con quello di maggior distanza possibile a colpi di razionalità redistributiva; i lager di fatto chiamati ora centri di permanenza temporanea, ora hot spot ora genericamente e neutralmente centri per migranti; le quote dei flussi che declinano e coniugano le pulsioni umane in razionalità economica tipica della merce, che riducono la richiesta di aiuto (sia essa di asilo, di rifugio, di miglioramento economico) a curva di domanda che si incrocia con quella dell’offerta, tutto un insieme di singole aberrazioni discriminatorie spacciate per necessità sistemiche non rinviabili, passate dal ricettario dei sovranisti di ogni dove, all’ordine del giorno delle istituzioni di ogni ordine e grado.

La legge del mare, che non è semplice legge orale di buonsenso (parola abusata che in quanto tale ha perso senso trasformandosi in passpartout) ma sistema normativo con richiami certi e indirizzi chiari, sostituita in un batter d’occhio dalla legge del male, una legge declinata goffamente attraverso decreti che confliggono con regolarità astronomica con la Carta costituzionale e con i diritti universali. Una legge del male che in nome dell’urgenza cancella l’umanità, una legge del male che risponde alla legge del recinto secondo cui il più forte delinea confini da imporre al più debole, in cui il privilegio, per rimanere tale, non deve essere alla portata di tutti, ma limitato ad alcuni prediletti. Insomma l’asimmetria che regola le ferree leggi del capitalismo rendendolo più selvaggio a ogni colpo di tosse dei potenti, finisce con l’essere il parametro certo che garantisce stabilità. Lo fa trasformando: l’aperto del mare nel chiuso delle ipocrisie sistemiche; la brutalità della guerra in difesa della democrazia, la povertà in nemica (necessaria ontologicamente) della ricchezza, la richiesta di aiuto in principio di disordine, e la resistenza umana in deflagrazione sistemica.

Perdersi nelle mille pieghe della legge del male è stato un gioco da ragazzi per la sinistra (politica e non movimentista) dell’intera Europa, ritrovarsi all’interno delle convenzioni della legge del mare in cui la mutualità sostituisce il buonsenso non può ritenersi semplice opzione, ma scelta obbligata. Difendere gli ultimi dai primi, proteggere il pianeta dalla noncuranza dei primi e degli ultimi, rifiutare la guerra che i primi fanno attraverso gli ultimi.

Insomma continuare a vedere la vita come una gara a premi fatta di concorrenti famelici è “privilegio” da lasciare alla destra; tornare a praticare le vie della cooperazione non economica come unica risposta ai mille e più problemi della complessità contemporanea, è invece unica assunzione di responsabilità possibile per una sinistra che invece di continuare a reclamare un arbitro più equo nella partita senza esclusione di colpi delle destre, cominci finalmente a (ri)scrivere regole e comportamenti di una storia altra che ha smarrito l’essenza del noi, sostituendola con l’asfittico del voi.

Foto da pxhere.com

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