Mancano pochi mesi alle elezioni comunali di Perugia e a sinistra non si sa ancora nulla del programma, del candidato e della lista. Qualcuno dice che c’è tempo e che la partita è aperta, qualcun altro ribatte che il tempo è scaduto e la sconfitta è inevitabile. A me il tempo trascorso è bastato per prendere una decisione. Una decisione che ne contiene altre: non andrò a votare se prima non si svolgeranno le primarie.
Detto questo mi sembra già di sentire l’obiezione: le primarie sono solo un metodo, la statura politica di un candidato, il programma e la lista sono altro. La risposta è lapalissiana. Non c’è dubbio che le primarie siano un metodo ma per ogni lavoro o comportamento occorre metodo. Ne segue poi che di metodi ne esistono di giusti e sbagliati. E che poi ci sono anche i metodi giusti usati in modo sbagliato. Le primarie sono un metodo che fa ormai parte del Dna della sinistra e che a volte è stato usato quando non era opportuno e più volte non è stato usato quando invece era necessario. A cosa mi riferisco? Ovvio, mi riferisco alle due ultime tornate elettorali.
Un sindaco uscente (Boccali) che si ripresenta per il secondo mandato si conferma o si boccia ma non lo si rimanda alle primarie, perché è un inutile massacro. Il risultato? Basta ricordarlo: quasi eletto nel primo turno (Boccali 39.852 voti Romizi 22.377 voti), sonoramente sconfitto nel ballottaggio (Romizi 35.469 voti Boccali 25.666). In due settimane Boccali perde 14.186 voti mentre Romizi ne aumenta 13.092. Qualcuno, all’interno del Pd, ha davvero lavorato sodo per la gestione di tutti questi cambi di sponda, e qualcuno si era evidentemente stufato di votare Boccali per la terza volta in poco tempo.
Viceversa per scegliere i candidati sindaco di Perugia e di presidente della Regione del 2019 non si sono fatte le primarie. Non conosco quali furono le modalità di selezione dei candidati, mi basta ricordare gli impietosi risultati. Il candidato sindaco, sconfitto alle urne (Giubilei ha raccolto 23.122 voti, meno della metà di Romizi che è passato al primo turno), si è dimesso dopo tre anni, abbandonando il ruolo di capo dell’opposizione e lasciando ad altri l’incombenza di creare l’alternativa per le elezioni odierne. Il candidato alla presidenza della Regione già partiva da una vicenda compromessa perché la presidente uscente era stata costretta alle dimissioni dopo un lungo pressing svolto da noti esponenti politici di sinistra, parecchi dei quali detengono ancora il bastoncino del comando, per aver ricevuto un avviso di garanzia. Se a sinistra non sappiamo ancora distinguere tra avviso di garanzia e rinvio a giudizio e, di conseguenza, che le dimissioni devono essere rassegnate solo nel secondo caso, non siamo messi bene. Ma tornando alla scelta del candidato presidente di Regione, è stato scelto un signor nessuno, sconosciuto ai più, dal profilo politico opaco più di centrodestra che di centrosinistra, certamente incapace di infiammare i cuori. Durante la campagna elettorale si venne poi a sapere che c’era un’inchiesta nei suoi confronti partita da una interrogazione del gruppo consiliare del Pd di Norcia. Risultato più che impietoso: 255.158 voti contro 166.179 voti.
Ci potrebbe essere un altro metodo? Personalmente non lo vedo. Non è certo l’epoca in cui la candidatura passa al vaglio del consenso dei militanti. Le sezioni sono state abolite, i circoli non sono mai decollati, per tappare il buco (è il caso del rattoppo peggiore del buco) si è parlato di un sondaggio tra gli elettori di sinistra, una “quasi primarie” gestita da una società di sondaggi politici che non lo avrebbe fatto gratis, che è morto in culla. In una parola manca la selezione della classe dirigente che una volta, a torto a ragione, veniva svolta all’interno dei partiti. Resterebbe il vecchio usurato metodo della cooptazione scelto da un apparato politico palesemente inadeguato. Coloro che sono rimasti nonostante le ripetute sconfitte e senza neppure accennare a un’autocritica. Con tale metodo la vittoria sarà sempre più lontana.
Le primarie dunque avrebbero anche la qualità di far emergere le biografie. Parlo di biografie in senso lato, attraverso le primarie cercherò almeno di sapere se quel candidato è un turista della politica, uno che se perde se ne va, o uno che utilizza la politica per i propri interessi, o un soggetto che anche in caso di sconfitta continuerà la sua battaglia, la nostra battaglia e rimarrà in contatto, in ascolto con il suo elettorato, costruirà qualcosa. La sinistra ha perso credibilità e reputazione anche perché gran parte delle biografie dei candidati non corrispondono più alle biografie che desidera gran parte dell’elettorato di sinistra. Non sto elogiando il pauperismo, non desidero un candidato vestito da frate, esigo coerenza tra la sua biografia e il programma che intende portare avanti. Su questo credo che i candidati di destra siano più coerenti. Se nel loro programma è prevista la privatizzazione della sanità pubblica loro fanno di tutto per portarla a termine, anche nella vita personale. I nostri hanno fatto lo stesso?
Primarie, biografie e autocritica. Tutto qui? No. Voglio, vorrei, un candidato che abbia una visione, non mi basta un amministratore, la politica è questo: avere una visione. Voglio, vorrei sapere, qual è il progetto per il futuro di questa nostra città. Quello che ho sentito finora non mi basta. Aspetto idee coraggiose in merito all’Alta velocità ferroviaria (Medio Etruria o Chiusi dove i “frecciarossa” si fermano già), in merito al Mercato Coperto, la cittadella giudiziaria, Monteluce, capire se almeno per una volta invece che abbattere e ricostruire si pensi a un restyling del vecchio, la mobilità urbana, il ripopolamento del centro storico, la sanitàna visione insomma. Chiedo troppo?
Ottimo Pier Luigi, in una parola, avere coraggio.
Aggiungici alla fine il Nodino.
Avere il coraggio di cambiare prospettiva.
hai ragione Pietro, anche su questo tema la politica ragiona solo sull’emergenza, su tempo breve, che è quello che intercorre tra un’elezione e un’altra, senza una visione