Sabato 11 novembre, alle 14 in punto, con perfetta sincronizzazione, l’attuale sindaco di Perugia, Andrea Romizi, e il consigliere regionale Andrea Fora hanno pubblicato ognuno un proprio post sulle rispettive pagine social per annunciare la loro alleanza in vista delle elezioni comunali di Perugia. Essendo Fora attualmente all’opposizione della Giunta regionale sostenuta dalla stessa maggioranza di destra che appoggia il sindaco Romizi, la chiave di lettura che verrebbe spontaneo utilizzare sarebbe quella della geografia politica, mettendo l’accento sul rimescolamento delle carte e sulle conseguenze che ciò potrà avere sul palcoscenico della politica politicante in vista delle prossime elezioni comunali nel capoluogo e delle successive Regionali. Ma il combinato disposto dei due post apre a riflessioni di carattere più generale. Perché è come se ci fosse una sorta di “comunicazione non verbale” nei due post, cioè di non esplicitato ma in essi innervato, che ne svela una natura che va al tempo stesso al di là delle parole che vi sono contenute e dei confini della politica politicante dentro i quali si sarebbe tentati di relegare la cosa.
Estremisti della personalizzazione
L’elemento che accende la riflessione è lo schiacciamento della prospettiva di entrambe le comunicazioni sui rispettivi io dei due protagonisti. Sono degli io così spiccati che quando nei due post emerge il noi, si tratta di un plurale al minimo grado, cioè confinato alla somma dei due io. «Ho sempre creduto nei rapporti umani», è l’incipit di Romizi, con l’io sottinteso. «Con Andrea abbiamo parlato», prosegue il post del sindaco, aprendo a quel noi ridotto a due che è invece la cifra retorica che Fora utilizza fin da subito. «Ci conosciamo da molti anni», scrive il consigliere regionale civico, per arrivare a concludere che «io e Andrea vogliamo costruire un progetto». Una formula che si specchia nelle parole del sindaco: «Ci siamo resi conto che i fattori che ci uniscono sono di gran lunga superiori a quelli che ci separano. Ed è così che abbiamo deciso di condividere una progettazione futura». Non ci sono altri soggetti al di fuori di Fora e Romizi, in questi due annunci. Sono loro che vogliono costruire un progetto, sono sempre loro che hanno deciso di allearsi. È l’esaltazione del noi di coppia, cioè della prima persona plurale ridotta all’io+io. Quando entra in scena altro che non sia il binomio Fora-Romizi, è solo alla fine, ed è evocato in termini di energie che si dispongano a seguire il cammino indicato dai due io.
Una capriola all’indietro
L’evocazione delle energie – in entrambi i casi messa in coda ai post diramati da pagine personali – pare rispondere a questioni di opportunità. Le due comunicazioni con cui Fora e Romizi annunciano la loro alleanza personale disegnano un salto all’indietro di oltre un secolo, un ritorno alla politica dei notabili: buoni borghesi che, da ottimati, in cammino solitario, agiscono «per il bene dei perugini», «con grande amore per la comunità», come vi si legge. Al tempo stesso però, non si può trascurare del tutto che il secolo che si sta tagliando fuori, il Novecento, è stato quello che ha visto l’irruzione delle masse nella scena politica con il conseguente allargamento della sfera pubblica a fasce di popolazione che ne erano state escluse fino ad allora. Di qui il generico richiamo alle energie, che appare come un escamotage per aprire al pubblico un percorso che nella sua essenza più intima rimane tutto individuale; si tratta di un richiamo che non a caso arriva dopo la sottolineatura del percorso fatto da io+io, che rimane il dato saliente della comunicazione effettuata con i due post. L’idea di politica come gestione della cosa pubblica attraverso corpi collettivi che rappresentano interessi diversi e a volte contrapposti è del tutto espunta dall’orizzonte tracciato da Fora e Romizi. Infatti Forza Italia, partito di cui Romizi è coordinatore regionale, e il Patto civico per l’Umbria, di cui Fora è espressione in Consiglio regionale, non compaiono mai in nessuno dei due post. Detto in altri termini, la democrazia viene fatta coincidere con il momento della delega elettorale, neanche più a dei partiti, ma a delle persone. E il fatto che ciò accada nell’ambito comunale – nello spazio cioè che assicurerebbe teoricamente i maggiori margini ai semplici cittadini per esprimere un protagonismo – non è che l’estremizzazione di una tendenza che Fora e Romizi interpretano come figli autentici di questo tempo.
Lo spirito del tempo
La personalizzazione della politica è un fenomeno dalle molte radici e con decenni di crescita alle spalle. Non l’inventano Fora e Romizi, i quali però ne colgono – fosse anche solo a livello inconscio – l’importanza, la portata e la penetrazione capillare ormai avvenuta in un immaginario collettivo così egemonizzato che porterà diverse persone a leggere queste righe come le considerazioni di una persona atterrata da Marte. La forza del messaggio dei due neo alleati è quella di interpretare pienamente lo spirito del tempo, anche perché vi sono immersi loro stessi. È uno spirito che ha sostituito l’idea di processo democratico con la delega a una persona della risoluzione di problemi pubblici; è un orizzonte che non prevede azione collettiva perché le persone sono del tutto disabituate a pensarsi altro che non individui.
La qualità della democrazia
Il ritorno a una sorta di politica del notabilato, la consunzione dei corpi collettivi, il ripiegamento individuale su vite precarie e la conseguente confusione della democrazia con la delega sono tendenze storiche che investono tutto l’Occidente: né vengono inventate a Perugia da Fora e Romizi – basti pensare anche solo a ciò che è avvenuto a Terni pochi mesi fa –, meno che mai possono essere arginate da articoli come questo. Vale però la pena di mettere a verbale che con questa nuova alleanza individuale Perugia le acutizza e lo fa nel livello istituzionale più prossimo ai cittadini, come abbiamo già rilevato. Si tratta di processi, qui sta il punto, che sono strettamente connessi allo scadimento qualitativo della democrazia. Per scadimento qualitativo s’intende quella direzione di marcia che porta al progressivo calo di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. Shoshana Zuboff, docente alla Harvard Business School, lo rileva bene in Il capitalismo della sorveglianza (Luiss University): le persone vengono sempre più illuse di potercela fare da sé, come recita il mantra neoliberista egemone da tre-quattro decenni ormai; così si riversano le energie in percorsi tutti individuali, lasciando i processi democratici alla gestione di pochi, che come si vede in questo caso se ne appropriano volentieri fino a far diventare la democrazia, finanche la vituperata lotta per il potere, una mera questione personale che agevola l’espansione dell’adagio sono tutti uguali. Quando poi si sperimenta il fallimento sulla propria pelle, la frustrazione investe anche le istituzioni e la sfiducia nei loro confronti cresce poiché ci si sente impotenti a incidere sulle decisioni pubbliche. I sintomi sono ormai macroscopici: disaffezione al voto, complottismi di ogni sorta, apprendisti stregoni che vengono elevati a giganti del pensiero. È un meccanismo che si autoalimenta, e assomiglia da vicino al classico cane che si morde la coda. Difficilissimo quindi da disinnescare. Ma altrettanto facile da cavalcare, perfino a livello inconscio, come forse è accaduto ai due Andrea, talmente immersi nel loro tempo, da confondere la politica con le intese a due: io+io.