Dieci anni fa ci lasciava Alberto Provantini, «uno come tanti» si definì nell’incipit del suo libro di riflessioni e memorie più riuscito: Cari Compagni fraterni saluti. Mezzo secolo di vita nella sinistra italiana (prefazione di Giuseppe Vacca, Rubbettino, 2009). «La mia storia – vi scriveva – è la storia di uno come tanti, di migliaia di compagni, di “quadri”, come si diceva una volta, che si è impegnato nella politica, in un partito, in un giornale, che ha amministrato la cosa pubblica, che ha governato una regione, una provincia, un comune, che è stato deputato in Parlamento. Che perciò ha vissuto tante storie e conosciuto tanti personaggi […] ma anche la storia di tanti uomini semplici con i quali e per i quali ho lavorato e vissuto».
In queste poche righe è sintetizzata l’esperienza politica e umana di Alberto, ma anche la passione che nel 1956, a quindici anni, lo ha portato ad una «scelta di vita», a cui è rimasto coerente, pur nei grandi mutamenti che hanno sconvolto il novecento, nei conflitti che hanno segnato la sinistra e le vicende che hanno trasformato il comunismo italiano. Senza mai tirarsi indietro, sempre disposto a praticare il dubbio, a riflettere, confrontarsi, ripensare e ricostruire per poi poter ripartire.
Sì! È «uno come tanti», ma come le tante personalità speciali che hanno fatto la storia della sinistra italiana ed umbra, e che hanno saputo lasciare, e Alberto certamente lo ha fatto, dei semi che possiamo e dobbiamo coltivare.
Molti ricorderanno tra le tante cose l’adozione, da assessore regionale al Turismo del fortunatissimo slogan «l’ Italia ha un cuore verde, l’Umbria», il ruolo avuto nella nascita e nello sviluppo di Umbria Jazz, la costruzione nel 1992 a Terni della prima giunta provinciale con la presenza di ex-comunisti (ormai democratici di sinistra), socialisti, liberal-democratici, cattolici democratici (ex-democristiani), una sorta di anticipazione di quello che di lì a poco sarebbe stato L’Ulivo, e che lui visse proprio come l’indicazione di una via possibile per far uscire il paese, da sinistra, dalla crisi della prima repubblica. Qui, proprio perché ha a che fare con questa testata, voglio soltanto ricordare come, abbandonato ogni incarico istituzionale, si sia concentrato sul lavoro politico-culturale, nazionamente come vice presidente della Fondazione Gramsci e regionalmente come direttore e animatore della rinata Cronache Umbre, a cui dopo la morte di Lello Rossi, nel 2010, aggiunse la presidenza della Fondazione “Pietro Conti”.
Abbiamo allora pensato di ripubblicare l’editoriale del primo numero della rivista del 2003, con tutti i rischi di anacronismo (che però i lettori comprenderanno) per riprendere, a dieci anni dalla sua scomparsa, il rapporto con lui, con le tante cose che ci ha detto e le riflessioni che ci ha suscitato.« Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà sulla generazione precedente», ha scritto Gramsci, aggiungendo: «Una generazione che deprima una generazione precedente, che non riesca a vederne la grandezza e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa […]. Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente».
Il lavoro della nuova Cronache Umbre teso a costruire un’alternativa ad un presente che non ci piace, parte proprio dalla memoria e dall’ascolto, anche del passato. In questo Alberto Provantini continua ad esserci molto utile.
Fabrizio Bracco
PERCHE’ NOI?
Cronache Umbre rinasce: è stata la rivista della sinistra umbra nella seconda metà del secolo scorso; torna a esserlo in questo inizio del duemila.
Cronache Umbre nasce nel ‘54 su iniziativa dei dirigenti del Pci. In una stagione dura di scontro politico aspro. Non soffiava solo il vento gelido della guerra fredda. Era appena stato scongiurato il tentativo della “legge truffa” nel ‘53. E mentre in Italia si annunciava il “miracolo economico” sull’Umbria soffiava il vento di una grave crisi economica con la chiusura delle miniere, i licenziamenti di massa alla Acciaieria, la cacciata dei mezzadri dalle campagne, un esodo dalle campagne e dalle città dell’Umbria in un processo doloroso di emigrazione al nord. Il gruppo dirigente della sinistra che in Umbria era stato tanta parte della Resistenza e nella ricostruzione dalle macerie della guerra, di una sinistra che governava i Municipi dell’Umbria decide di darsi uno strumento che guardasse oltre, che pensasse al futuro della Regione.
In quella dura stagione la sinistra non si chiuse, non si arroccò, ma si aprì in un dibattito con la società regionale, con strumenti nuovi, e tra questi Cronache Umbre.
La rivista come laboratorio di idee, sede di ricerca, di dibattito per costruire un “nuovo modello di sviluppo”. Cronache Umbre accompagnerà la ricerca, il confronto di idee che segnarono gli anni ‘60: gli anni del “Piano Umbro”.della lotta per la istituzione della Regione.
Poi ci fu una interruzione delle pubblicazioni di Cronache Umbre.
Riprese con una edizione nel ‘72. Ho ritirato fuori dalla mia libreria quel primo numero di quella nuova edizione, che fui chiamato a dirigere.
Cronache Umbre usciva così a due anni dall’istituzione della Regione. “L’editore” era ancora il Pci. Ma era una rivista aperta. Colpisce il peso che avevano le diverse anime della sinistra in quel Cronache Umbre. La situazione politica nazionale e regionale veniva commentata da tre parlamentari socialisti (Luigi Anderlini, Antonio Brizioli, Vittorio Cecati), da tre consiglieri regionali e provinciali repubblicani (Massimo Arcamone, Mario Valle, Massimo Mazzi), da un cattolico democratico che era stato presidente delle Acli (Luigi Cambioli), e solo dal segretario dei comunisti (Settimio Gambuli) e dal segretario della Cgil (Mario Bartolini), Una rivista della sinistra aperta, regionale ma non localistica come la definisce nell’editoriale Lello Rossi.
Non è un caso che su Cronache Umbre troviamo molte delle firme di personaggi della politica non umbri ma che hanno lavorato per l’Umbria, da Pietro Ingrao a Emilio Sereni, sino a Natalia Ginzburg.
L’ultima edizione di Cronache Umbre, dopo un’altra interruzione, esce nell’87. Siamo in uno scenario diverso. Dopo le elezioni politiche dell’87, alla vigilia degli anni sconvolgenti, dall’89 al ‘92, che segnarono la fine dei partiti che hanno fatto la storia del secolo scorso.
Oggi Cronache Umbre esce di nuovo in una stagione tanto diversa. È passato quasi mezzo secolo dalla sua prima pubblicazione. È cambiato il mondo. È cambiata l’Umbria. È diversa la sinistra. Cronache Umbre 2000 è diversa, una nuova edizione che esce ad iniziativa della Sinistra dell’Umbria. Una edizione nel nuovo secolo, in questo inizio di millennio. Perché Cronache Umbre oggi? Perché noi? Per rispondere mi tornano in mente le parole asciutte di un sindaco socialista di un Comune dell’Umbria che per illustrare in due parole il programma disse: «Il programma siamo noi». Intendeva dire la nostra storia, quella fatta di idee, di programmi, di lotte, di grandi passioni collettive, di movimenti di popolo, di città amministrate da noi per decenni, da uomini della sinistra in carne ed ossa. Di idee che abbiamo trovate scritte su Cronache Umbre ma che abbiamo poi ascoltato in tante piazze, in tante aule consiliari, che sono divenute programma di governo in Comuni, Province, Regione.
Di una sinistra che ha radici profonde in questa terra. Dove la sinistra, quella che è stata storicamente, ha governato nel secolo scorso gran parte dei Comuni dell’Umbria, le Province di Perugia e Terni, la Regione.
Una sinistra a Roma divisa tra chi era al governo, come il Psi, e chi era all’opposizione, come il Pci. Ma di una sinistra unita in Umbria: sempre unita al governo della Regione, quasi sempre unita al governo degli enti locali.
Ora la sinistra è diversa. Divisa in diverse formazioni politiche.
Una sinistra che per la prima volta unita ha governato l’Italia. Che è parte di quella sinistra che ha governato l’Europa e governa in tante capitali del continente.
Di una sinistra che in Umbria governa insieme la Regione, le Province e tanta parte dei Comuni.
Questa sinistra che governa l’Umbria ha il dovere di esprimere un progetto per l’Umbria del duemila e di lavorare per realizzarlo. Questa sinistra ha il dovere di lavorare alla costruzione di un centrosinistra che torni a governare l’Italia.
C’è un problema della sinistra, nella sinistra, tra essa e le altre forze di centrosinistra. C’è il problema del progetto, del programma da costruire e della classe dirigente da formare. L’associazione della Sinistra dell’Umbria è nata per «la promozione della cultura politica e della formazione della classe dirigente ed è impegnata in particolare alla costruzione e valorizzazione di una cultura politica riformista della sinistra dell’Umbria, per la prospettazione dei problemi e delle soluzioni, per il governo della Regione dell’Umbria, delle sue Province e Comuni. Per la attività di ricerca strategica per il futuro dell’Umbria, del ruolo della Regione in Italia ed in Europa». L’Associazione della Sinistra dell’Umbria ha deciso di pubblicare Cronache Umbre 2000.
Dichiariamo che cosa siamo e che cosa ci proponiamo. Il problema è un altro: se riusciamo a essere e fare ciò che ci ispira, ciò che vogliamo. Ma questo non dipende solo da noi. Innanzitutto la condizione che dobbiamo realizzare è quella di esistere, di esserci. Siamo una rivista, la cui testata è dell’Associazione della Sinistra dell’Umbria, ma con un editore: Archiservice. Ci affidiamo ai lettori non solo per far transitare delle idee, per discutere di progetti e programmi, ma per avere quei tre euro che ci consentono di continuare a esserci. Se questa è la precondizione, la condizione di fondo sta nella capacità che sapremo esprimere di esserci. Per questo vogliamo essere una rivista della sinistra ma aperta a tutte le forze della società umbra che hanno a cuore il futuro di questa regione. Il nostro è un invito non solo a leggere ma a scrivere su Cronache Umbre. A confrontarsi su Cronache Umbre, a ricercare insieme le soluzioni migliori per la popolazione dell’Umbria. Questo non è solo l’impegno del direttore ma l’invito che faccio ricordando l’esperienza che feci trent’anni fa, come direttore di quella edizione di Cronache Umbre. Ricordo la fatica cui ero sottoposto nel lavoro di assessore regionale, anche la passione di quel lavoro di quegli anni alla costruzione della Regione. Scrivere per Cronache Umbre significava riflettere su quel lavoro, alzare lo sguardo oltre quella scrivania, quella stanza di lavoro, quella Sala di Giunta, quell’Aula di Consiglio, guardare al futuro, sapendo sempre che l’albero non è la foresta e che oltre la foresta c’è sempre un mondo da scoprire. E che a quella scoperta si poteva andare insieme.
Ecco, trent’anni dopo mi rivolgo n particolare alla nuova classe dirigente, a chi governa, amministra, dirige oggi la nostra regione, perché Cronache Umbre possa dare loro voce, inchiostro alle proprie parole. Riprendere a ragionare insieme. Farlo da sinistra, guardando sempre all’interesse generale. Sapendo delle condizioni diverse in cui oggi ci muoviamo. Ma forti delle nostre esperienze.
Nelle rubriche vogliamo avere sempre un tema da dibattere, un riferimento all’Europa, al Parlamento, alla Regione, allo sguardo all’Umbria vista da dentro, da chi l’amministra e da fuori, da intellettuali che conoscono questa regione. Per discutere sull’atto fondamentale della Regione. Il primo Statuto, nel ‘70, il secondo nel ‘92 sono stati scritti insieme dalle forze che hanno fatto la storia del novecento, che hanno cioè sottoscritto i principi, i valori, le regole che sono alla base della Costituzione della Repubblica Italiana e dello Statuto della Regione dell’Umbria. I partiti chiamati oggi a votare il nuovo Statuto non c’erano allora. Si tratta di verificare se le nuove forze politiche sapranno scrivere un nuovo patto che abbia alla base quei principi, quei valori, quelle regole.
Ma non vogliamo naturalmente fermarci solo alle riforme istituzionali, come quella posta dalla riforma in senso federalista dello Stato, con le modifiche apportate al titolo quinto della Costituzione da parte del Parlamento. Tuttavia vogliamo vedere in concreto che cosa produrrebbe la devolution di Bossi e che cosa può divenire l’Umbria con la riforma costituzionale, in senso federalista, introdotta con la modifica costituzionale votata dal centrosinistra la scorsa legislatura.
Ma vogliamo marciare costantemente sul sentiero aperto da Capitini nella lotta per la pace. Tanto più oggi che soffiano venti di guerra. Vogliamo affrontare i grandi cambiamenti intervenuti nella economia dell’Umbria: quella delle multinazionali e della piccola impresa. Vogliamo affrontare le questioni del lavoro, dei nuovi problemi che esso pone non solo per affrontare la questione sempre centrale della occupazione anche in una regione in cui il tasso di disoccupazione non è più a due cifre. Vogliamo affrontare i problemi delle condizioni di lavoro, dei diritti nei luoghi di lavoro, a cominciare dalle fabbriche, del nuovo pianeta dei lavori. Vogliamo affrontare le questioni dello stato sociale in questo duemila, affrontando in concreto i problemi che si pongono in Umbria, in una regione ove si è fatto molto ma dove non per questo non si deve guardare avanti. Vogliamo affrontare i temi di un progetto e di un programma della sinistra e del centrosinistra per tornare a vincere e governare in Italia e per governare sempre meglio l’Umbria. Sapendo che l’Umbria è cambiata, nel corso di un lungo processo di modernizzazione, che in parte è stato seguito da Cronache Umbre. Discutendo delle basi di un nuovo progetto, di un nuovo programma per una nuova fase del processo di modernizzazione.
Oggi Cronache Umbre vuole tornare a essere la rivista che accompagna il rinnovamento dell’Umbria.
Alberto Provantini