Vittoria Ferdinandi, candidata sindca del centrosinistra a Perugia
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(Ri)anima Perugia

 

Nei suoi primi passi sul pianeta terra, la marziana Vittoria Ferdinandi, candidata sindaca a Perugia per il centrosinistra, ha lanciato, con lo scopo di coinvolgere e farsi coinvolgere, lo slogan “Anima Perugia”, riempiendo i muri cittadini con il suo sorriso catalizzatore. Parte, nel lungo cammino verso le elezioni di giugno, una strada il cui asfalto non può che essere quello della partecipazione attiva dei molti, intesi come soggettività molteplici non riducibili a unità, consapevoli della necessità di trovare punti comuni senza stare troppo a praticare l’arte nobile e al tempo stesso suicida della moltiplicazione egocentrica delle divergenze. Parte, dicevo prima di perdermi nella confusione che caratterizza i molti, con il piede giusto e forse uno slogan da ridefinire, visto il senso delle sue parole a contorno.

Il piede giusto è quello di presentarsi alla città come Vittoria Ferdinandi, senza inserire nei manifesti le liste che la supportano, una scelta che sottolinea la piena assunzione di responsabilità e un fine realismo politico.

Una scelta che nulla toglie alle sensibilità differenti, organizzate e strutturate su basi anche contrapposte: dai partiti che rivendicano orgogliosi il loro essere partiti al M5S fattosi partito senza rinunciare alla propria indole; dai partiti di azione e di frattura alle espressioni, formali e non, di una società civile in affanno ma mai doma.

Una scelta che dovrà trovar seguito nella creazione di una lista civica, diretta espressione delle tante traiettorie di vita che hanno forgiato la personalità e definito il percorso della auspicabile futura sindaca. Una lista che senza ostentare nome e cognome sia in grado di essere a lei direttamente riconducibile. A lei l’onore e l’onere ovviamente di scegliere tanto le persone fisiche quanto il nome della lista stessa, che per comodità dovrà farsi acronimo accattivante.

Per quel che mi riguarda – ma è una fissa che mi perseguita da un po’ senza trovare cura idonea – mi butterei su “Perugia in Transizione” (PiT), dato che la transizione altro non è che un andare oltre le cose standoci dentro; un movimento continuo e partecipato che non disdegna la stasi della riflessione approfondita; un processo fatto di prospettive chiare e mezzi da definire. Una prassi teorica (che va dalla tecnologia all’ecologia passando per la mutualità) che un’Europa, sempre più impotente nel risolvere, o meglio nell’evitare le guerre in casa e le devastanti conseguenze del riarmo generalizzato, deve forzatamente perseguire per portare un modello altro nel sistema mondo, garantendosi al tempo stesso sopravvivenza. L’alternativa concreta a tutto a questo, oggi più che mai, è il suicidio mascherato dell’Europa degli stati evocata dai sovranisti di ogni dove (da Orban a Meloni passando per Le Pen). Insomma: o transizione ad angolo giro o morte sciovinista, c’è poco da giraci intorno. E Perugia non può che stare nel mondo, l’Università per stranieri è lì a ricordarcelo, stando in un’Europa compiutamente comunitaria.

Sembrerà assurdo aggiungere una lista alle tante già presenti, ma è una lista assolutamente necessaria per dare alla sindaca quella legittimazione popolare diretta in grado di non farla diventare succube degli inevitabili “giochi trasversali” che i corpi intermedi che oggi la sostengono metteranno in campo per rivendicare i propri orticelli. Non serve una domatrice da gabbia dei leoni, ma una direttrice d’orchestra in grado di dare armonia e pretendere coesione e unità di intenti. La politica, anche quella con i più nobili intenti e i più alti ideali, nel suo reale dipanarsi risponde alle logiche dei rapporti di forza, una regola base che non va mai dimenticata, un principio fondante con cui dover fare i conti. E il risultato delle urne è comunque il regolatore più trasparente degli ineludibili rapporti di forza.

La necessità di ridefinire lo slogan sta invece come accennato prima nelle parole stesse della sindaca: «Loro (gigantesse e giganti) hanno dato un’anima a Perugia, un’anima di storia e di bellezza, di tenacia e di solidarietà. La mia candidatura a sindaca, oggi, nasce dalla volontà di contribuire a riaccendere lo sguardo spento di una grande città». Non bisogna semplicemente animare Perugia bensì bisogna rianimarla, bisogna farla uscire da uno stato di torpore che ha finito con l’essere comatoso, bisogna riportare in vita qualcosa che si è persa ma che è stata. Non basta un animatore portatore di brio e divertimento per risollevare gli animi di gente annoiata, serve un rianimatore che sappia recuperare il ritmo dei battiti dismessi di un cuore bersagliato da incuria e incompetenza; l’anima c’è ma non si vede coperta come è di polvere e di tappeti sovrapposti. Tutti insieme, perché nessuno da solo può nulla, dobbiamo scrollarci di dosso la polvere e liberarci dei tappeti che per inerzia hanno finito con l’occupare ognuno di noi finendo con il colonizzare la città. Una città così spenta da risultare inanimata. Rianimare noi stessi per rianimare la collettività, alla riscoperta della storia, della bellezza, della tenacia, della solidarietà, dell’anima orgogliosa e impetuosa.

Il percorso sarà lungo e impervio, ma iniziare bene ha una doppia valenza: indirizzare da subito la barca sulla rotta giusta; dare alla ciurma quell’entusiasmo necessario per affrontare gli scherzi maligni dell’opaca realtà. Non sono residente a Perugia e il voto non mi coinvolgerà da elettore quindi il noi usato nel testo va preso con la dovuta diffidenza, ma dal laboratorio Perugia, un vero laboratorio collettivo di corpi e di menti che dovrà trasformare l’intento in fatto e la prospettiva in realtà, può uscire un modello magari non replicabile, ma percorribile per una sinistra che sappia rappresentare la sua idea di mondo senza limitarsi a mitigare i danni provocati dall’altra idea di mondo (quella della destra più o meno radicale), che oggi sembra annoverare tra le sue fila i più fertili pensatori di quell’egemonia a noi tanto cara e che altro non è che la visione alta dei tanto vituperati rapporti di forza.

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