Cagliari 27/02/2024
Come in ogni tornata elettorale che si rispetti anche in Sardegna trovare gli sconfitti e ridurre il numero di vincitori è pratica ardua, e dire che tranne Todde e Schlein, che ha avuto il merito di imporla ai suoi senza cedere ai giochetti dei soliti noti nel nome della democrazia interna e per (torna)conto proprio, in Sardegna hanno tutti perso. Ha perso il centrodestra per la lungimiranza padronale e la brama di potere (il sempreverde “a noi”) della sua fantasmagorica presidente, ha perso due volte visto che i voti di lista sono decisamente superiori rispetto a quelli dell’altro schieramento, anzi ha perso tre volte, data la parata dei suoi big in chiusura di campagna elettorale, quella mostra muscolare punita dagli elettori nel suo tracotante e borioso rappresentarsi.
Ha perso il centrosinistra o meglio il campo largo che continua a risultare minoritario rispetto al centrodestra, suicida pensare di fronte a certi numeri che il vento sia cambiato, hai voglia ancora a pedalare. Ha perso Conte, pur potendo rivendicare la prima presidente di regione a 5 stelle, la cui calata in terra sarda è stata negata dalla stessa Todde e il cui arrivo a cose fatte è risultato decisamente vincente. Come dire: non venire che vinciamo vieni e perdiamo. Ha vinto su tutti una donna credibile, a prescindere dal partito di appartenenza, in grado di attirare consensi trasversali e che speriamo sappia imporre ai suoi questo mandato pieno ricevuto dagli elettori senza farsi irretire dagli inevitabili conflitti incrociati con cui si dovrà fronteggiare. Il tutto reso possibile da un sistema elettorale, sempre decisivo nel definire il risultato finale, che attraverso il voto disgiunto ha permesso ai partiti di minoranza di poter essere, grazie alla presidente, partiti di maggioranza. Che la Sardegna serva da lezione da approfondire, basta provare a racimolare consensi attraverso il fuoco amico, e non da simbolo vittorioso da sbandierare. Che Conte, i suoi e chiunque voglia costruire una valida alternativa alle destre riconosca alla Schlein (non al suo partito) il diritto di futuro non come Opa calata dall’alto, ma come unica carta spendibile dal basso.
Mar Adriatirrenionico 11/03/2024
Come in ogni tornata elettorale che si rispetti anche in Abruzzo riportare i risultati alla miseria concreta della Regione dei tre mari presunti e dell’unico mare reale spogliandola dalla simbolicità epocale con cui è stata rivestita da politici e commentatori della politica è pratica ardua. Dalla vittoria storica rivendicata dal governatore di Colle Oppio al gli abbiamo messo paura nel fortino di casa con cui ci si accontenta della partecipazione dalla parte opposta, i toni alti fanno da specchio al vuoto messo in campo. Da una parte l’intero governo in tenuta antisommossa pronto a rivendicare vicinanza massima e finanziamenti diffusi alle popolazioni dei mari (3) e dei monti (imprecisati) di Abruzzo. Dall’altra uno schieramento così largo da risultare eterogeneo e reciprocamente indigesto a parte dei partecipanti. Da una parte moneta che chiede cammello, dall’altra cammelli senza meta orfani di moneta. Anche qui ovviamente il sistema elettorale ha fatto la sua e l’impossibilità del voto disgiunto ha mantenuto i partiti sconfitti minoranza e i partiti vincitori maggioranza. La lezione sarda non poteva essere approfondita vista la vicinanza della scadenza abruzzese, così mentre i partiti al governo della regione e della nazione si sono compattati andando al sodo della materia per non alimentare narrazioni da smottamento progressivo, i partiti di minoranza hanno pensato di proporre la grande ammucchiata come forma di forza che in realtà racchiudeva tutta la debolezza della mossa della disperazione, a prescindere dalle qualità del candidato governatore. Dal fuoco amico come pratica erosiva di voti al volemose bene perché la matematica spicciola questo ci impone il passo è stato breve mentre la distanza è rimasta incolmabile.
Italia 11/03/2024
Non c’è campo (giusto, largo, a geometria variabile, a unità diversificata, a desistenza mista e chi più ne ha più ne metta) che tenga, non sarà mai il contenitore progressista a poter sconfiggere i trenta anni di unione (di potere) del centrodestra plasmato dai soldi del patriarca scomparso. Potrà essere solo un accordo unitario costruito sulle reciproche differenze, che sia in grado di rinunciare al primato suicida delle forme partito oggi esistenti e che sappia pre/porre le competenze alle logiche di schieramento e allo stesso tempo post/porre l’algebra moderata alla semantica radicale, la questione numerica cioè a quella programmatica, a creare un modello di governo alternativo a quello dell’elmetto, del complotto, della propaganda e del premierato. Fino a quando le sirene centriste del vivo dell’Italia e del cinetico dell’azione continueranno a indicare una fantomatica isola che non c’è, fino a quando i centristi del Pd saranno traghettatori verso l’isola che non c’è e il Pd unitario si sentirà condizione necessaria e (quasi) sufficiente per disfidare il centrodestra, fin quando il Movimento 5 stelle continuerà a essere partito della diffidenza e del sospetto e movimento del tutto e del suo contrario, fino a quando la sinistra ambientalista continuerà a essere vocazione astratta e non punto di convergenza (tematica se non partitica), fino a quando tutto rimarrà uguale a quello che è il degradare a destra sarà continuo e irrefrenabile e le vittorie saranno residuali e figlie di errori altrui. Con la partecipazione allargata alle primarie Pd e l’elezione della Schlein, che nessuno nel partito aveva sentito arrivare proprio perché veicolata da forze di “sinistra” esterne al partito, il campo alternativo alle destre aveva battuto un colpo, non proseguire su quella strada avendo il coraggio di spogliarsi delle forme attuali per rivestire panni altri più consoni all’impresa significherebbe garantire alla Meloni e ai suoi alleati un potere illimitato nel tempo e sempre più autoritario nelle forme.