I programmi elettorali acquisiscono una loro peculiare utilità a fine mandato, almeno per chi intenda sottoporre a verifica quanto di quello che è stato fatto corrisponde a ciò che era stato promesso da chi ha governato, e misurarne così la credibilità e gli effetti delle politiche adottate a partire da dati concreti. Durante le campagne per farsi eleggere i candidati non vengono giudicati tanto sulla base del programma che hanno scritto quanto su una serie di altre discriminanti: la competenza che gli si attribuisce, il carisma, la simpatia, l’empatia, la capacità di toccare le corde giuste, i temi sollevati, la storia pregressa e un po’ di casualità. Elementi che, mescolati, vanno a incrociarsi con l’orientamento dell’elettore/elettrice che se li trova davanti. È l’umore di fondo che la persona che si candida riesce a creare attorno a sé che ne determina la sorte alle elezioni, più che il programma. Durante la campagna elettorale la postura complessiva – ciò che si dice e si fa, come lo si dice e lo si fa – conta molto più di quello che si è scritto nel programma, che invece torna utile alla fine, quando ci sono da tirare le somme.
Spesso succede che si segua invece il percorso inverso: i programmi vengono invocati prima delle elezioni, e ci si dimentica di sottoporli a verifica a fine mandato. Eppure una persona che si candida parla anche semplicemente scegliendo i luoghi da toccare e quelli da evitare, le cose che dice e quelle su cui tace. Anzi, a osservarli bene c’è molta più autenticità in questi atti quotidiani di quanta se ne trovi nelle pagine dei programmi, in cui si può promettere anche il paradiso in terra, tanto alla fine se lo saranno dimenticati tutti, o quasi. È accaduto, sta accadendo, anche a Perugia, dove due riviste di diverso orientamento che hanno il merito di tentare di andare oltre la cronaca del giorno per giorno, hanno ospitato articoli che vanno in quella direzione. Su Passaggi Magazine Porzia Corradi scrive di attendere il momento in cui «le due giovani candidate (Vittoria Ferdinandi e Margherita Scoccia, ndr), dopo la fase dei pacchi dono e del risveglio delle antiche passioni, dovranno spiegarci il loro programma: cosa faranno di Perugia, qualora vincessero». Su micropolis invece, riferendosi alla presentazione della candidatura a sindaca di Ferdinandi, si lamenta che «è mancata una linea chiara di cui siano comprensibili le priorità, gli obiettivi, le cose che fanno la differenza con la gestione di destra e quelle capaci di rilanciare la città». Eppure era da tempo che, al di là delle parole e dei programmi, a Perugia non si manifestava così chiaramente la diversa postura di fronte ai problemi, la scala differente di priorità, le linee divergenti di origine e di orizzonte di cui sono portatrici le due candidate che si stanno contendendo il governo della città.
Vittoria Ferdinandi per la sua prima uscita pubblica da candidata ha scelto l’auditorium Capitini marcando più volte la connessione con il pensiero della personalità a cui è intitolato quel luogo. Ha invitato a parlare uno psichiatra, un’esperta di rigenerazioni urbane, una lavoratrice della Perugina e il sindaco senza partito di Verona che ha vinto le elezioni battendo nel giugno del 2022 il candidato sostenuto dalla coalizione che di lì a poco avrebbe trionfato alle Politiche. Si tratta di atti di una forza simbolica anche più eloquente delle parole che sono state spese in quell’occasione: la salute e il disagio psichico sono un prodotto sociale e quindi da politicizzare, che significa dedicargli attenzione, progettualità e risorse pubbliche; l’abbandono di edifici e il contestuale consumo di suolo per costruirne di nuovi sono cancri spesso non diagnosticati in città che invitano a correre, non sanno pensarsi e così finiscono per divorare energie, ambiente e socialità; il lavoro non è solo l’attività cui si è obbligati per mettere insieme pranzo e cena, né solo una merce, bensì tocca la carne viva delle persone. Non sono atti e parole chiari?
Margherita Scoccia per la sua prima uscita pubblica da candidata sindaca ha scelto di essere invitata alla presentazione della lista che farà capo al sindaco uscente, Andrea Romizi, per ricevere da questo un’investitura pubblica. Anche in questo caso, nella inequivocabile e smaccata rivendicazione di una continuità con l’amministrazione di cui fa parte, nel tentativo di mettersi sulla scia della popolarità che viene attribuita al sindaco uscente, nell’accettarne il passaggio di testimone e nel rimarcarlo pubblicamente c’è, da parte della candidata, una scelta non verbale limpida che va al di là di qualsiasi programma scritto. Il programma però, l’amministrazione uscente di cui Scoccia, oltre a far parte, fa sfoggio di voler rivendicare di essere l’erede per i prossimi cinque anni ce l’aveva. Allora in questo caso sì, può essere utile una verifica: cosa si prometteva nel 2019? Quanto si è fatto in questi cinque anni?
Il programma del 2019
Le venti pagine in cui Romizi descriveva le linee che intendeva perseguire nel suo mandato 2019-2024 si aprivano con la suggestione di una «Perugia 5.0». «L’obiettivo strategico – si leggeva – è quello di creare un ecosistema di start up in grado di stimolare nuova imprenditorialità, avvicinando il talento alle aziende e ai capitali». A cinque anni di distanza, dei 13 poli di innovazione digitale italiana selezionati per essere finanziati dalla Commissione europea la cui lista si può visionare nel sito del ministero delle Imprese non ce n’è uno umbro. In un’altra lista nel sito dello stesso ministero compaiono i progetti di innovazione digitale che pur non avendo superato la selezione per accedere ai fondi, sono stati insigniti di una sorta di marchio di qualità: si tratta di 24 centri di cui solo uno è umbro e ha cinque soci fondatori, ma il Comune di Perugia non figura tra loro. Una delle leve dell’ecosistema per la crescita di start up innovative doveva essere Binario 5, il coworking inaugurato in pompa magna a Fontivegge e chiuso poco dopo.
Nel capitolo “Patto fiscale” il sindaco uscente che in dieci anni non è riuscito a limare l’aliquota dell’addizionale Irpef, che resta allo 0,8 per cento, il massimo consentito dalla legge, metteva nero su bianco che dopo «il progressivo consolidamento dei conti comunali» ci si poteva finalmente porre l’obiettivo «di riduzione della Tari (la Tassa sui rifiuti, ndr) di almeno il 10 per cento». Secondo l’osservatorio di Cittadinanzattiva, a Perugia nel 2023 la spesa media per la Tari in capo alla «famiglia tipo» è stata di 389 euro, aumentata del 4 per cento rispetto al 2022 e di 69 euro più alta rispetto alla media nazionale. Sempre a proposito di rifiuti, il sindaco scriveva: «Deve proseguire e crescere il percorso virtuoso intrapreso, l’attuale 71 per cento di raccolta differenziata può e deve crescere mentre è tempo di introdurre la cosiddetta “tariffa puntuale”, ovvero si paga per i rifiuti che effettivamente si producono, l’assetto infrastrutturale di Perugia, da vera smart city, ormai lo consente». La raccolta differenziata dal 2019 al 2022 è passata a Perugia dal 71,08 per cento al 71,52 per cento, secondo i dati dell’Istituto superiore per la ricerca ambientale, un aumento pressoché impercettibile. E Perugia non era così smart come la dipingeva il sindaco se della tariffa puntuale, a cinque anni dalla stesura di quel programma, non si parla neanche, e si continua a far pagare allo stesso modo – in maniera del tutto immeritocratica – tanto chi non differenzia quanto chi è accurato nel separare i materiali.
Il programma di Romizi prometteva nel 2019 anche il riesame «in profondità» dell’organizzazione comunale, «da alleggerire sulle posizioni di vertice». Secondo i dati forniti dallo stesso Comune, i dirigenti erano 25 nel 2019 e nel 2022 erano aumentati a 26.
Sul versante delle opere e dei recuperi, a fronte di due mete raggiunte, l’apertura della Biblioteca degli Arconi e dell’auditorium di San Francesco al Prato, il recupero dell’ex carcere e quello del Teatro del Pavone restano un miraggio. La mobilità sostenibile, altro capitolo del programma, ha visto nei primi giorni di marzo 2024 l’annuncio dell’avvio dei lavori per il metrobus. Esattamente cinque anni fa, nel pieno di un’altra campagna elettorale, c’era stato l’annuncio analogo. Sembrerebbe una sorta di metafora dell’immobilità in una città in cui circolano mediamente cento auto in più ogni mille persone rispetto alla media nazionale.
Tutto questo succedeva mentre in Umbria, e quindi presumibilmente anche a Perugia, vista anche la campagna di raccolta fondi che sta facendo la Caritas, i poveri passavano dall’11 per cento del 2013 al 12,5 per cento del 2022. Più o meno nello stesso periodo, l’Istat ha certificato che mentre a livello nazionale le retribuzioni orarie del settore privato aumentavano del 7 per cento, a Perugia l’incremento si fermava al 5 per cento. Qualcosa però è aumentato, nel decennio Romizi: la superficie occupata dalla grande distribuzione del settore alimentare è balzata da 44.381 a 58.867 metri quadrati. Gli occupati del settore sono 500 in più, ma non si può certo dire che siano il frutto della «startup mentality» che un po’ enfaticamente si dichiarava di voler far germogliare nell’ex scalo merci di fianco alla stazione di Fontivegge, che nonostante quanto era stato scritto nel programma, resta un non luogo che è la metafora di una ferita aperta.
Bell’articolo, puntuale e preciso nei contenuti.
I tanti approfondimenti su questa campagna elettorale,spesso schierati e che esaminano solo scontri e posizionamenti delle varie liste, hanno scarsamente fatto capire quali sono le differenze. Il risultato rimane incerto, ma questo editoriale fa chiarezza
Bravi, è così che si fa informazione!