Che fai Vittoria vuoi fermare il futuro? No Margherita, cambiamo il presente!
Fino a ora nell’avvincente campagna elettorale per la poltrona di sindaca della città di Perugia, restando agli slogan su cui le due candidate hanno deciso di scommettere e che dovranno sostanziare gli eventuali cinque anni di governo, si può notare come dalla parte della destracentro, che si appresta a raccogliere l’eredità del centrodestra, vi sia l’apologia di un passato che si ha la presunzione di coniugare con tempo futuro, in una sorta di ipoteca che pretende di cristallizzare il tempo e apologetizzare il modo, mentre dalla parte di Anima Perugia vi sia l’ostinata pretesa di intervenire, cambiandolo radicalmente, nel presente visto come primo giorno del futuro e ultimo giorno del passato. Margherita Scoccia sembra cioè voler scommettere tutto su un passato imperfettibile da proiettare nel domani, sfruttando la scia del sindaco uscente che a sua volta sfrutta le elezioni comunali perugine per conquistare un posto privilegiato nella corsa interna verso la poltrona di governatore regionale, uno sfrutta/sfrutta generalizzato in cui la logica del potere, visto come spartizione di poltrone interna alla coalizione, alimenta se stesso coprendosi dietro il falso mito auto/sbandierato del buon governo. Uno staffettismo fatto di poltrone girevoli e rotelle performanti così malcelato da essere abitato da figure che si vogliono totemiche all’interno del pantheon del centrodestra, che vestono inevitabilmente i panni lenzuolati dei fantasmi, visto che il ricorso ai nomi di Romizi e Berlusconi è artificio pirotecnico, pastura elettorale verrebbe da dire fuori dai denti, di ombre passate che nulla possono avere a che fare con il presente e quindi con il futuro del Comune di Perugia. Il futuro non sì ferma perché il passato è lì ad azionarlo, questo in realtà lo slogan completo che Scoccia propaganda parzialmente ostentando la prima parte e omettendo la seconda.
La politica, vinta da tempo dalla comunicazione intesa come essenza della politica, deve essere attenta a non toccare troppo gli interessi dei poteri forti – il castello dei realismi incrociati questo impone – e allo stesso tempo deve proiettare un’immagine di sé, non importa quanto attinente alla realtà, che sia in grado di accattivarsi le simpatie, sempre molto superficiali e mai da approfondire, possibilmente trasversali, di un elettorato tanto stanco quanto svogliato. Quindi il miracolo italiano calato nel perugino altro non è che illusione magica di tempi che si uniscono in un patto federativo di potere messo in campo da figure reali e fantasmi totemici. La paura di perdere il potere si fa nervosismo indotto e il nervosismo indotto si traduce in fonte sorgiva di aggressività verso l’avversario che deve essere giocoforza spacciato per unno che attenta alla civiltà e incasellato nella sempreverde cornice dell’inesperienza e dell’inaffidabilità, questa la tattica del centrodestra vista con gli occhi mai domi e con il sorriso mai spento di Vittoria Ferdinandi.
Quest’ultima invece, che dello staffettismo di potere e della logica della spartizione interna è nemica di fatto (chiedere ai centristi che pensavano di possedere la luna e si sono ritrovati a ulularla) sa che il qui e ora è il suo vero campo di azione, in un rispetto dei tempi che fa del presente congiunzione e non mera proiezione di passato e futuro; sa, e lo ha messo in campo e chiarito sin dalla sua prima uscita pubblica, che dovrà essere la potenza di una comunità chiamata a svegliarsi e a uscire dal torpore in cui l’hanno confinata e in cui ha finito con il risiedere, il vero motore di una politica volta a cambiare gli assetti di potere esclusivi ed escludenti. Forse non conosce esaustivamente gli ostacoli che le verranno posizionati lungo la strada, probabilmente non solo dagli avversari. Ma sa, perché nella vita questo ha sempre fatto e questo ha sempre studiato, che la lotta contro l’esclusione delle marginalità e la tutela dei più deboli è pratica politica e non mero desiderio da sbandierare che richiede sapere, ostinazione, competenza, tenacia, gioia e senso di (ir)responsabilità.
La potenza di una politica fondata sul cambiamento, che non ignora i convitati di pietra con cui dover fare i conti, quei poteri forti che non devono essere semplicemente rassicurati e coccolati, ma con cui intraprendere una dialettica dai tratti, perché no?, conflittuali, in cui le competenze siano centrali, in cui cioè il punto di equilibrio, mai statico e sempre dinamico, sia figlio di saperi critici anche contrapposti e non di genuflessioni gravitazionali sistematiche. Non basta alimentare l’entusiasmo dei molti per riportarli non semplicemente alle urne, ma al centro di una politica che inevitabilmente non dovrà più essere quella di ieri, serve unire a questo richiamo collettivo la competenza tecnico-politica tanto nelle liste che produrranno consiglieri quanto nelle auspicabili nomine che faranno gli assessori. La pratica della politica dal basso, se non innestata da competenze alte in rapporto circolare, in una dialettica orizzontale che rifiuta cristallizzazioni gerarchiche, rimane confinata nei recinti angusti delle belle speranze prodotte dalle anime belle.
Per evitare l’inconsistenza impalpabile del pio desiderio ci sono assessorati chiave che andrebbero definiti, nelle logiche politiche e nei nomi e nei cognomi, durante la campagna elettorale e non dopo. Per due ragioni: a) spezzare sul nascere la logica del bilancino che sacrifica le competenze personali per lasciare il posto agli equilibri dei rapporti di forza usciti dalle elezioni; b) per chiarire una volta per tutte come la vera garante del percorso molteplice di partecipazione non possa che essere Vittoria Ferdinandi. Certo una contraddizione palese il fatto di affidare all’uno il destino dei molti, ma contraddizione ineludibile se non si vuole finire nel tritacarne dei moralismi diffusi e dei cacicchi sbandierati, che sembrano essere sempre nel dietro dell’angolo nell’indefinibilità del campo di appartenenza “progressista”.
La nomina in tempi non sospetti di un assessore al bilancio, esperto nei numeri e saldo nelle prospettive politiche partecipate, di un assessore alla cultura, che sappia unire e non dividere i saperi locali con quelli globali (Università degli Stranieri), l’istituzione di un assessorato al finanziamento capace di divenire vero e proprio baricentro in grado di far interagire enti pubblici, soggetti privati imprenditoriali e non, associazioni di volontariato, enti locali di promozione, singoli cittadin*, cooperative intorno a idee che, grazie alla capacità di essere finanziate, si possano trasformare in prospettive concrete, con l’alto valore aggiunto di mettere in rete una serie di competenze umane e professionali, pubbliche e private, solidaristiche e imprenditoriali, oggi disconnesse e scollegate, se non abbandonate e sconfortate, potrebbero essere idee pratiche in grado di unire il fiato corto della tattica con il respiro lungo della strategia. Fermo restando il punto b) sopra riportato (la garanzia dell’unicità indiscutibile della garante), va fatto un plauso ai giovani interpreti della politica regionale che forti delle disastrose esperienze nazionali e pronti a scommettere sulla specificità del territorio regionale hanno ostinatamente imposto il Patto Avanti, cornice senza la quale l’esperienza Ferdinandi (e non solo) sarebbe rimasta nel cassetto dell’impossibilità manifesta.
Che fai Vittoria vuoi fermare il futuro? No Margherita, cambiamo il presente!