La granitica compattezza della giunta Bandecchi, tanto sbandierata dal sindaco protempore, che fa della disciplina ferrea intorno al capo il principale motivo di forza di questa maggioranza, ha subito un altro colpo pesante. L’assessore all’Ambiente non ha approvato un atto della Giunta Comunale su una materia di sua stretta competenza, il futuro della discarica di Valle. In meno di un anno si sono avute l’uscita dalla Giunta dell’assessore al Personale, Lucio Nichinonni, le dimissioni del sindaco (rientrate precipitosamente vista la mala parata) perché i suoi non rigavano dritto, la porta sbattuta del coordinatore provinciale di Alternativa Popolare, Lorenzo Filippetti, e l’abbandono del gruppo da parte di un consigliere comunale. A seguirne la condotta politico-amministrativa, sembra di seguire il volo casuale di uno stormo di storni: la centrale di Terni, l’energia gratis a famiglie e imprese, i risarcimenti dall’Ast per i danni ambientali, l’uscita dal sistema dei trasporti pubblici regionale, il sovvertimento nella raccolta dei rifiuti. Il nuovo Ospedale. La Ztl. Dubai. Annunci roboanti e precipitose marce indietro o silenzi imbarazzati in un crescendo di turpiloquio, esibizioni muscolari, minacce, insulti, sintomi riconoscibili da sindrome di accerchiamento. Almeno gli storni hanno una loro eleganza.
Ora la discarica. Materia dove siamo passati da non firmo nulla se non ho garanzie che cambiamo rotta alla approvazione di un progetto per un colossale rimaneggiamento di rifiuti con annesso ampliamento di discarica che però – così dice l’assessore competente che vota contro l’atto – non c’è ancora. Quindi dal non firmo nulla al firmo tutto, anche quello che non conosco.
Ma il problema è ancora più serio. Tutti gli attori in scena, il Comune ma anche il Governo nazionale, la Giunta Tesei, l’Arvedi-Ast difettano di chiarezza e linearità. Tutti i principali attori in scena appaiono dimentichi di un aspetto decisivo: il coinvolgimento della comunità sulla cui testa stanno prendendo decisioni fondamentali. Il progetto di Ast riguardante la discarica è accuratamente tenuto segreto. La massima istituzione rappresentativa della città, il Consiglio comunale, ne è all’oscuro. Le organizzazioni sindacali ne sanno praticamente nulla. Associazioni ambientaliste, ordini professionali, le associazioni delle forze economiche: tutti tenuti a debita distanza. Una slide apparsa alla presentazione, un mese e mezzo fa, del programma del nuovo assessore allo Sviluppo economico descrive così il progetto Arvedi per la discarica: «Escavazione di rifiuti abbancati con recupero di materiale e ricollocamento della parte non riciclabile in siti alternativi ovvero nello stesso sito rifunzionalizzato e messo in sicurezza». Sufficientemente criptico e ambiguo. Subito sotto ci si dice che stiamo parlando di 1 milione e 200 mila metri cubi di materiale, tra rifiuti e terreni di riporto. Una montagna. Quanto materiale si recupera? Quanto è quello che non si recupera? Quanto se ne porta in siti alternativi? Quali sono questi siti alternativi? Quali sono i benefici attesi da questo progetto? Quali misure sono state prese per evitare danni ambientali e alla salute in corso d’opera e a regime? Quanto costa? A carico di chi? Si pensa davvero di cavarvela con una slide?
Il progetto di landfill mining – cioè di recupero di materiali pregiati e riutilizzabili dai rifiuti che sono in quella discarica – dovrebbe essere parte integrante del più ampio “accordo di programma“ tra Ast, governo Meloni, Regione e, buon ultimo, Comune di Terni, riguardante le prospettive dello stabilimento siderurgico ternano. Accordo tanto sbandierato ai quattro venti quanto ignoto nei suoi contenuti. Ci ha fatto campagna elettorale con modesto successo il centrodestra alle Politiche del 2022. È stato usato a fini elettorali alle elezioni comunali di maggio 2023, ancora dal centrodestra, ma senza un ritorno in consensi apprezzabile (visto che il centrodestra è stato messo alla porta). Ora torna ad agitare la politica, con l’approssimarsi delle elezioni europee. Pur essendo assurto a cotanta notorietà, il suo contenuto è ignoto, almeno ai più. È anzi opinione diffusa, a Terni, che non sia ancora stato scritto. Oltre alla discarica di Valle, la decarbonizzazione dei processi siderurgici e l’uso dell’idrogeno verde, il completamento del progetto di economia circolare costituito dal recupero delle scorie con i finlandesi di Tapojiarvi, il ritorno a Terni – a vent’anni dalla chiusura del reparto – della lavorazione, se non della produzione, del lamierino magnetico, materiale base per i motori elettrici, gli investimenti per ridurre i danni ambientali, il costo dell’energia sono tutti argomenti che si sentono entrare e uscire dall’accordo di programma con alterne fortune, senza che un comune mortale si possa capacitare di cosa effettivamente questo accordo tratterà. La comunità locale non ha alcuna voce in capitolo, è un oggetto e non un soggetto attivo nella costruzione del futuro della propria città e di quella che resta ancora la più importante azienda industriale dell’Umbria. La comunicazione istituzionale non è volta a dare informazioni, ma ad autoelogiarsi.
Il danno che produce questo modo di operare, completamente indifferente agli interessi della collettività all’interno della quale questo atto andrà a produrre effetti, è molto più grande di quanto non si pensi. È un modo di operare intrinsecamente a-democratico, che genera sfiducia, diffidenza, lontananza dei cittadini dalle istituzioni, rompe la coesione sociale. Garantire un processo decisionale responsabile, aperto a tutti, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli: così recita, ad esempio, l’Agenda 2030 dell’Onu che si illustra agli studenti nelle scuole e negli eventi di educazione civica. Le comunità dinamiche, che sanno reagire alle avversità e costruire esperienze innovative in campo economico e sociale (quanto ce ne sarebbe bisogno in questa città!) sono quelle inclusive, ad alto capitale sociale: ce lo dicono studi e ricerche innumerevoli sull’economia civile, sulle città generative. Lor signori, che siano decisori politici o grandi industriali procedono oltre, impassibili.
Articolo “aguzzo” che lacera la carne del problema come farebbe un coccio di bottiglia. È vero che il cuore del problema è il non coinvolgimento della cittadinanza su decisioni così rilevanti rispetto alla qualità e tenore delle lo vite future. È verissimo che il voluto non coinvolgimento della cittadinanza è la cifra di queste amministrazioni di questi governi come di tutte le destre in ogni angolo del puaneta. Una idea di società e di mondo tragicamente analoghe a quelle degli autorismi del più oscuro passato che non vuole passare. Vero è però che la cittadinanza ha smesso da un pezzo di essere “attiva” sui temi dell’ambiente e del lavoro così come su molti altri temi. Unica eccezione il sindacato (non tutti però) un pugno di associazioni ambientaliste e giovani generosi criminalizzati e manganellati. L’attivismo della cittadinanza per poter cambiare le cose deve però essere capillarmente diffuso. Questa era la cifra di amministrazioni e governi che volevano migliorare lo stato delle cose. Dove sono finite quelle concrete utopie di un cambiamento possibile e soprattutto necessario. Finite in soffitta assieme alle bandiere della pace? La più bella e concreta utopia fino a non molto tempo fa largamente condivisa e che portava con sé tutti gli altri diritti: ambiente lavoro e Pace questo chiedevano quelle belle bandiere. Quel che resta di quel desiderio di comunità andrebbe coltivato. Quel che resta del progressismo e soprattutto i partiti politici eredi di quel periodo di fermenti ideali potenti dovebbero smetterla di sfrugugluare a proposito di alleanze e schieramenti e preoccuparsi di riattivare una cittadinanza così “distratta” Distratta ad arte che non è più capace di interessarsi ai propri diritti alla qualità delle proprie vite al futuro dei propri figli. Per quel che mi riguarda questo è il compito principale di una sinistra nuova. Un poeta diceva bisogna tornare lì dove abbiamo imboccato la strada sbagliata. Torniamo alle “belle bandiere”