In quella che assomiglia a una fiaba, che rifiuta morale perché intrisa dell’etica più profonda, che pare illusoria perché magica, e che in realtà altro non è che il concreto dispiegarsi della Politica con la più maiuscola tra le p, in un contesto in cui gli slogan accattivanti, quasi sempre giocati sulla pelle degli ultimi, e i toni urlati, spesso declinati in cabaret a uso e consumo di un pubblico annoiato, sembravano essere l’unica comunicazione (e visti i tempi l’unica politica) possibile e vincente, non si può che partire da quel sogno reso pubblico da Vittoria Ferdinandi, nel giorno della sua presentazione al centro congressi Capitini, in cui la mamma le aveva fatto sentire tutta la sua vicinanza trasmettendole un messaggio così chiaro da essere indecifrabile: «Portali a piedi fino al mare come tu sai fare». Non entro né nella sfera dell’interpretazione onirica e del parlare a se stessi attraverso altre voci e propri pensieri durante il sonno, né nell’ambito dell’importanza della figura materna e del vuoto incolmabile lasciato nella vita di Vittoria. Quello che mi preme sottolineare è la messa in discussione totale del proprio corpo e della propria mente che Vittoria ha imposto a se stessa e preteso dai molti che l’hanno accompagnata nel percorso, venendo presi e prendendo per mano, per rendere attuabile l’esodo, terreno e non biblico, indicatole dalla voce a lei più cara.
Quattro mesi fa la sua candidatura aveva creato scompiglio e dissapori tra i “suoi” e una sorta di rassicurazione tra le file dei suoi sfidanti. Tra i primi perché, in particolare all’interno dell’area centrista, si viveva questa candidatura come una deriva leninista utile solo a spaventare l’elettorato moderato, tra i secondi perché sicuri che la deriva leninista, evocata dai moderati dell’altra sponda, altro non fosse che ulteriore certificazione della loro già sicura vittoria. Nel tempo, di fronte al carisma e alla determinazione che ciascuno, nessuno escluso, ha dovuto toccare con mano, i “suoi” si sono allineati, non tutti ma tanti, e hanno deciso di far parte del metodo partecipato spinto fatto di alternanza di ascolto e restituzione, restituzione e ascolto. I suoi sfidanti per contro hanno iniziato a essere sempre meno sicuri di loro stessi e della propria scontata rielezione aumentando il livello dell’aggressività comunicativa e perseguendo la sistematica demonizzazione, non risparmiandole proprio nulla, della figura di Vittoria. L’invincibile armata ha iniziato ad avere dubbi sulla sua invincibilità e ha lasciato campo libero alla macchina del fango e del ribaltamento messa in atto con ogni strumento mediatico a disposizione e con ogni professionalità assoldata, alternando l’agitare delle ombre (stella rossa tatuata, il rolex senza tempo, il pugno chiuso del 25 aprile, le manifestazioni di protesta giovanili etc) con il capovolgere dei pregi di Vittoria e dei difetti della Scoccia (la capacità dialettica dell’una trasformata in moderata postura dell’altra, la visione d’insieme dell’una coniugata in sapiente gestione amministrativa dell’altra, il carisma coinvolgente dell’una tradotta in pacata competenza dell’altra etc). Anche i più restii tra i “suoi” invece si sono dovuti adeguare, con fedeltà che solo il tempo potrà certificare, a essere parte di quel processo costituente che pretende di esser costituito, che ha attraversato con coinvolgimento crescente in termini di numeri e impegno le 52 parti dell’unica città chiamata Perugia.
Non si va al mare a piedi dalle terre dei monti con un gruppo fatto di molteplici soggettività se non: si hanno buone scarpe; ci si danno regole condivise di cammino; ci si allena nell’esercizio del camminare; si ha una buona capacità di orientamento; si stabilisce un rapporto di fiducia reciproca tra partecipanti; si ha un guida certa e competente; si ha l’esigenza di soddisfare bisogni e amplificare desideri, si crede fermamente che il viaggio sia mezzo di scoperta e il viaggiare metodo di conoscenza; si ha il bisogno di scoprire il noi senza accontentarsi di amplificare l’io. Insomma, tagliando corto, la marziana è risultata così terrena da essersi rivelata vero fenomeno che nulla ha di paranormale e tutto di (stra)ordinario. I marziani, che con lei hanno deciso di dedicarsi al bene comune di Perugia, che mai è sovrapponibile al bene di uno e che ancor meno può considerarsi mera sommatoria del bene di ognuno, si sono riscoperti così umani da avere l’uno il bisogno dell’altro, di condividere l’uno il percorso dell’altro, di desiderare l’uno il bene dell’altro.
Tanto è stato scritto e letto sull’esperienza non esportabile ma riproducibile di Anima Perugia, tanto ho scritto e tanto ho letto sull’esperienza così incredibile da essere tangibile di Anima Perugia, e per paradosso tanto ci sarebbe da scrivere e altrettanto da leggere vista la fertilità mutuale e la semplicità complessa della partecipazione a trecentosessanta gradi che la sindaca dal pugno chiuso, il rolex fermo e i suoi peones con la forza dei piedi e la meta del mare sono riusciti a imporre come nuovo ordine del giorno. Il plumbeo del cielo rimandatoci dall’astensionismo spinto e dalla sterzata a destra delle elezioni europee, al di là dei numeri assoluti italiani che premiano di fatto solo Pd e Alleanza verdi sinistra – le uniche elezioni in Italia a godere ancora della democraticità matematica del proporzionale per quanto rivisitato – cozza decisamente con i raggi di sole che illuminano di splendore dimenticato Perugia.
Se nessun volo è possibile di fronte all’impietosa evidenza dei numeri, sia quelli che testimoniano assenza sia quelli che rivendicano ordine e disciplina, è altrettanto vero che il “metodo Perugia” è lì a dimostrarci come il sogno perseguito sia sempre la miglior via per trasformare la realtà delle cose e come il dare realizzazione pratica all’esigenza di tutela degli ultimi sia l’unica strada che valga la pena perseguire per le forze di sinistra o del progresso che dir si voglia. Chiudo, per ora sia chiaro, l’omaggio dovuto a chi ha (ri)animato Perugia, prendendo spunto dalla sintesi pubblica espressa, tramite social, dal professor Grohmann, che non ha certo bisogno di presentazione, riguardo alla sua presenza alla chiusura della campagna elettorale, precedente al ballottaggio, di Vittoria in piazza IV novembre: «Malgrado la stanchezza, sono tornato da Piazza IV Novembre, dove Vittoria Ferdinandi ha chiuso la sua campagna elettorale tra un tripudio di una enorme folla, con un grande desiderio di sognare, pur consapevole dei miei 83 anni». Oggi a urne chiuse e ballottaggio concluso si può, rimescolando impropriamente le parole del professore, scrivere: la consapevolezza del sogno, il tripudio del desiderio, il cammino che (ci) ha portato al mare. La mamma in fin dei conti ha sempre ragione. Sogna ragazza, sogna.