Allora, è marziana, questa nuova giunta comunale di Perugia? È cioè all’altezza delle aspettative suscitate? Risponde alle esigenze di nuova politica che sono esplose da tutti i pori della campagna elettorale perugina? Potrebbe cioè essere in grado di riavvicinare il pubblico alle vite delle persone contribuendo a trasformarlo in comune? Vale la pena soffermarcisi perché la carica innovativa delle modalità e dei contenuti che hanno portato all’elezione a sindaca di Vittoria Ferdinandi hanno contribuito a fare di Perugia una sorta di nuovo paradigma, in vista delle prossime elezioni regionali e non solo.
Ci vorranno tempo e lavoro per farsi un’idea. Ad oggi si può sostenere che ci sono delle acquisizioni parziali, delle potenzialità positive, e altrettanto potenziali criticità.
Le acquisizioni parziali
La nuova giunta comunale di Perugia ha una tinta marcatamente civica. Su dieci componenti, sindaca inclusa, cinque non appartengono a nessun partito. Sull’accezione dell’aggettivo civica che utilizziamo qui è fondamentale capirsi, perché i fraintendimenti sono dietro l’angolo. Una persona civica non è una che può stare indifferentemente di qua o di là. Non è neanche una persona riconducibile a uno di quei luoghi geografici della politica, in questo caso parliamo del centro, che hanno perso significato per le persone comuni ma sono tanto cari a commentatori e politici abituati a ragionare su distanze che faticano ad arrivare al di là del proprio naso. Una persona civica, se non usa l’aggettivo come un dito per nascondervisi dietro, ha un saldo ancoraggio valoriale ma non ha trovato modo di saldarlo a nessun partito. E qui si arriva diritti all’importanza del civismo autentico, oggi, e al motivo per cui questo rappresenta un serbatoio prezioso per una auspicabile riconversione della politica. I partiti, per molteplici ragioni, spesso riconducibili al virus dell’autoreferenzialità, non riescono più da almeno un paio di decenni a svolgere la funzione di rappresentanza cui siamo stati abituati per larga parte del Novecento. Fino a oggi questo vuoto è stato colmato dalle figure cosiddette tecniche, laddove tecnico ha assunto il significato di neutro, ma ciò non ha affatto aiutato la politica a ritrovare un senso, anzi, è forse in contraddizione con la politica stessa. La novità dirompente delle elezioni perugine è stato lo scompaginamento determinato da una figura civica, quella di Vittoria Ferdinandi, sostenuta a sua volta da un movimento ben rappresentato dalle varie anime dal suo comitato elettorale, cioè altrettanto civico ma nettamente connotato in senso valoriale: egualitario, ambientalista non solo a parole, apertamente schierato contro le discriminazioni di qualsiasi tipo e per un cambiamento dello status quo. Quando diciamo che la nuova giunta ha una marca civica, lo diciamo nel senso che questo tipo di civismo ha aiutato un pezzo di popolo a ritrovare la bussola che si era smarrita a causa di partiti persi in logiche imperscrutabili, ed è approdato all’interno della giunta con figure competenti, e quindi in questo senso tecniche, ma ancorate a un ben determinato universo valoriale. La sindaca ha operato un’azione di compromesso con i partiti che l’hanno sostenuta e hanno avuto il merito di capire l’importanza di candidare una figura come la sua, ma lo stesso fatto di nominare un vicesindaco civico come lei, l’ex direttore della Galleria nazionale dell’Umbria, Marco Pierini, e di resistere a pressioni interessate è stata un’azione con cui si è inteso rimarcare l’aspetto qualificante di questo civismo, che si badi non è affatto sinonimo di antipolitica ma in questo caso è semmai il suo contrario, essendo stati i partiti e il loro muoversi inerziale le prime cause dell’antipolitica.
Le potenzialità positive
Ci sono delle scelte terminologiche, che seppure siano al momento solo forma, rimandano a una potenziale sostanza. Avere attribuito una delega alla «rigenerazione urbana e alla transizione ecologica» significa avere l’intenzione di collocare la propria azione in una contemporaneità in cui l’ambiente, da sinonimo di decoro dei parchi come è stato fino a oggi, diventa, come dev’essere, cardine di cambiamento per salvaguardarsi dall’emergenza climatica. Aggiungere alla delega della «mobilità» quella delle «infrastrutture connesse» vuol dire avere almeno in mente un piano di trasformazione dell’attuale muoversi in città, questione peraltro connessa a quella dell’emergenza climatica. E poi c’è l’aspetto cultura. Si tratta di uno dei settori in cui un’amministrazione municipale ha maggiori margini di movimento. Ed è storicamente uno degli assi portanti di una città come Perugia. Aver attribuito una delega alla cultura – la definiamo così per semplicità – istituzionale (musei, biblioteche, beni storico-architettonici) – affiancandola con un’altra dedicata alla cultura molecolare, quella cioè che promana dalle associazioni di base e dai fermenti che una volta si sarebbero definiti sub-cultura, è sintomo di una ulteriore potenziale connessione alla contemporaneità: l’universo rock-punk-new wave-hip hop-street art ascrivibile sommariamente al capitolo sub-cultura è stato – ed è – generativo di alcune delle più qualificanti trasformazioni degli ultimi decenni, e questo l’assessore al ramo, Fabrizio Croce, lo sa forse meglio di qualsiasi altra persona in città. Individuare infine le «politiche del cibo» come settore di interesse per l’amministrazione, significa aver preso coscienza che la produzione di ciò che mangiamo ha direttamente a che fare col modello di sviluppo, e che, per dirne una, sfruttamento delle persone (vedi alla voce caporalato) e dell’ambiente (vedi uso indiscriminato di pesticidi) sono ad essa direttamente connessi in un panorama che fa della grande distribuzione e della depressione delle produzioni locali uno degli archetipi dello sviluppo cittadino. Anche su questo un’amministrazione comunale può trasformare molto. Infine, c’è la delega alla partecipazione che la sindaca ha tenuta per sé, e che potrebbe diventare una delle novità più qualificanti dell’attività della nuova giunta.
Le potenziali criticità
Se fin qui ci siamo soffermati su questioni interne all’essenza della nuova politica potenzialmente incarnata non tanto dalla sola persona di Vittoria Ferdinandi, quanto dal movimento civico che l’ha sostenuta, le criticità attengono al qui e ora che la nuova amministrazione si troverà ad affrontare. E sono ascrivibili alla sfera delle politiche sociali. Si tratta del settore più vicino alla vita delle persone e per questo fondamentale per una nuova politica, se nuova politica significa riavvicinarsi alla vita delle persone, soprattutto alle loro fragilità, e allontanarsi dall’autoreferenzialità dei partiti. L’assetto sociale si è pesantemente modificato rispetto al modello di welfare e alle tecnostrutture che erano state pensate per esso. Si sono assottigliati i nuclei famigliari e soprattutto in molti casi è venuta a mancare la rete parentale a causa dell’aumentata mobilità delle persone che si trasferiscono molto più facilmente rispetto al passato da una città all’altra; è aumentata l’età media e con essa gli anziani soli e con patologie – perché i figli sono andati a lavorare altrove -; sono aumentate le famiglie monogenitoriali; povertà e precarietà – mine antipersona che vanno a braccetto – hanno fatto emergere esigenze inedite, come quelle di chi pur avendo un lavoro fatica ad arrivare a fine mese; il disagio psichico indotto dalla iper-velocizzazione dei processi e a volte dalla disumanizzazione sociale ha assunto forme preoccupanti. Tutto questo da un lato porta alla necessità di individualizzare e personalizzare pratiche che erano state pensate in maniera standardizzata; e dall’altro ha portato all’emersione di consapevolezza di quella parte più avanzata del privato sociale inteso nelle sue più varie forme (cooperative, associazioni, gruppi informali) che spesso è assai più attento, elastico, pronto e sensibile a raccogliere le nuove istanze rispetto alle tecnostrutture municipali. Ci sono pratiche nuove: coprogettazione, amministrazione condivisa, budget di salute per garantire un piano di vita degno alle persone con disabilità – coprogrammazione, addirittura -, che hanno però bisogno di una autentica rivoluzione della postura istituzionale, prima ancora di politiche che sono semmai la conseguenza della postura. C’è bisogno di una multidisciplinarietà e di un lavoro per casi singoli e non per classi di soggetti, attività faticose di per sé perché pressoché inedite e quindi assai impegnative da declinare, per andare verso le quali occorre una guida salda che sappia fare tesoro delle buone pratiche che ci sono qua e là per l’Italia e l’Europa, e soprattutto sappia affrontare i marosi di una conservazione che potrebbe diventare deleteria per una giunta che voglia farsi esempio di nuova politica.
È tutto giusto.. Tuttavia, è bene che si sappia che gli assessori non devono rispondere e rendere conto dei propri atti al partito o al gruppo di appartenenza.. Devono rispondere e rendere conto alla sindaca… Sarebbe degenerative se un assessore facesse il contrario.. In quel caso la revoca è competenza del sindaco… Su tutti i problemi sollevati il rapporto problemi, partecipazione, condivisione deve essere tradotto dalle delibere che sono gli atti con le quali si misurano le scelte, le decisioni e i contenuti valoriali.. Tradurre il programma nel governo del comune lo si fa solo con le delibere…
Complimenti per la lucidità e la visione dell’analisi.