Quattro piedi, due con le scarpe e sue senza, su un prato d'erba
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Tornare con i piedi per terra

 

Il percorso che ha portato alla vittoria nelle elezioni comunali di Perugia e l’avvio di quello che condurrà nel prossimo autunno al rinnovo di Consiglio e Giunta regionali sembrano essere condotti dalla coalizione che negli ultimi dieci anni era stata opposizione nel capoluogo su sentieri e con passi al limite della divergenza. Pare cioè che quella parte politica non abbia compreso le ragioni profonde per le quali è stata premiata dall’elettorato poco più di un mese fa. Allora, se a Perugia si è riconquistata la maggioranza grazie a una candidatura e a una campagna elettorale entrambe marziane per il livello di innovazione di forma e sostanza, può essere utile rimettere i piedi a terra. Non per tornare a pietrificare la realtà contribuendo a renderla immutabile mentre si indossa la maschera del realismo che cela il conservatorismo più retrivo. Bensì proprio per cogliere l’essenza di ciò che è successo e tentare di replicarlo, superando l’ebbrezza per la vittoria che potrebbe sortire effetti controproducenti.

A Perugia è stata premiata una coalizione unita che ha saputo guardare in faccia la realtà e uscire dal proprio recinto per scegliere una portabandiera adeguata ai tempi. La campagna elettorale è stata successivamente condotta con nettezza, senza infingimenti, limitando al massimo i compromessi al ribasso e puntando anzi a mettere in risalto un profilo di chiara discontinuità con entrambi i passati, tanto quello pallido e inadeguato del centrodestra quanto quello del centrosinistra che fu minato dall’autoreferenzialità. Il tutto è stato ottenuto grazie a un’onda che ha travolto liturgie, balletti, attendismi e posizionamenti che pur riempiendo le cronache quotidiane restano incomprensibili e soprattutto indigeribili per i più. Un’onda la cui altezza sarebbe stata irraggiungibile senza l’apporto di un civismo impegnato ma esausto, che aveva smesso di riconoscersi nei partiti tradizionali e però non ha esitato a mettersi in campo per produrre il cambiamento giudicato necessario sia nei modi che nei contenuti.

La realizzazione riuscita a Perugia è frutto di circostanze, creatività, confluenza di energie, terreno fertile e reazioni a catena il cui allineamento favorevole e inusuale la rende già di per sé di difficile replicabilità. A questo limite oggettivo si aggiungono almeno due convinzioni che allignano nel mondo politico tradizionale, sono legate tra loro e rischiano di rendere il piano ancora più inclinato: 1) che vincere sia facile; 2) che le condizioni della coalizione che attualmente governa la Regione e il suo stesso bilancio di governo rendano ancora più facile raggiungere l’obiettivo. Ciò determina un eccesso di sicurezza che rischia di alimentare la tentazione di un ritorno al passato che invece, più di chi è oggi al governo, sarebbe il vero avversario da battere. La coalizione che si riunisce, la coalizione che discute non si sa bene di cosa, la coalizione che chiede a una candidata di candidarsi senza ricevere risposte in tempi congrui; tutti questi movimenti rimanendo immobili sono percepiti dal civismo impegnato e dall’elettorato che si sono (ri)manifestati a Perugia come fattori di autentico respingimento poiché rimandano a una politica inconcludente, intenta a girare intorno al proprio ombelico al solo scopo di riprodurre se stessa; si tratta di una serie di cui sono andate in onda talmente tante stagioni che non la si sopporta più. I partiti tradizionali, la politica, sono fatti anche di questo. Ma se si riducono solo a questo perdono la loro stessa ragione d’essere. Il rischio che si avverte è che a prendere il sopravvento siano state in queste settimane queste logiche che metterebbero definitivamente tra parentesi quello che è successo a Perugia. Invece per un governo all’altezza dei tempi quel tipo di esperienza dovrebbe diventare la pietra angolare sulla base della quale edificare tutto il resto.

Il civismo impegnato che rischiava di perdersi del tutto, quello soffocato dalle liturgie di partiti divenuti via via più vuoti, meno rappresentativi e spesso percepiti come nemici, si è riavvicinato a Perugia quando ha sentito la disponibilità dei partiti stessi a tornare a parlare di cose attinenti al reale, a mettersi in gioco guardando fuori dal proprio recinto individuando una candidatura che sapesse incarnare tutto ciò più che a badare a posizionarsi su un palcoscenico sempre più impolverato e con una platea sempre più scarsa. Nel dibattito pubblico di questa regione, anche a causa di chi la sta governando, non c’è traccia dei temi che sono il vero spirito del tempo: l’emergenza climatica, le nuove povertà che essendo nuove necessitano di approcci nuovi, una sanità pubblica e di qualità per tutti e tutte, l’invecchiamento e lo spopolamento di intere aree che rischiano di diventare terreno per cinghiali di qui a una manciata di anni, la qualità di lavori, retribuzioni e produzioni, la popolarizzazione dell’informatica e della telematica per produrre servizi tempestivi anche a beneficio di chi è fuori dai grandi centri e non il loro  uso per riempirsi la bocca di anglicismi vuoti. È questo e molto altro che andrebbe affrontato in maniera di nuovo marziana su scala regionale, stavolta. E il vero avversario da battere per poterlo fare a questo punto è costituito dall’autoreferenzialità e dai destini personali e/o di partito messi al di sopra di quelli collettivi, più che da un centrodestra ridotto a spettro che rischia di diventare un alibi per tornare a dare il peggio.

Foto di Marko Milivojevic da pixnio.com

2 commenti su “Tornare con i piedi per terra

  1. caro Fabrizio, condivido quello che dici… dal mio punto di vista vedo riaffacciarsi nella discussione dell’attuale opposizione alla regione i “professionisti del potere”, probabilmente allettati dalla possibilità di vincere ad ottobre, ma non si rendono conto che con loro di fatto non abbiamo mai vinto e rischiamo anche alle prossime regionali… a cominciare dalla scelta del/della candidato/a…

  2. Condivido l’analisi e la preoccupazione proprio dal punto di vista di quel civismo che citi e che nell’esperienza perugina ha messo una energia che forse non sapeva ( sapevamo) più di avere. Forse occorre un dialogo più articolato tra quel civismo e i partiti, forse occorre iniziare un dialogo anche per non relegare l’esperienza del civismo a portatrice d’acqua e basta. Pur riconoscendo ai partiti la loro ragion d’essere e l’ importanza dei corpi intermedi, se non escono dalle secche dell’autoreferenzialità e delle diatribe interne, non saranno di alcuna utilità

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