La ripresa di settembre sta offrendo diversi spunti di riflessione in Umbria. Si tratta di questioni apparentemente differenti per geografie, approcci, suggestioni evocate e futuribili scenari che potrebbero aprire. Nonostante la loro eterogeneità, esse possono però essere ricondotte a una sorta di gioco di forze concorrenti in cui il movimento di una influenza l’intero contesto e provoca reazioni che contribuiscono a loro volta alla modificazione del contesto stesso. Del resto funziona così la natura, e funziona così anche la politica che della natura è parte. Politica che viene affrontata qui non come sterile gioco della coazione a ripetere delle parti in commedia, bensì come possibile articolazione del sociale e in parte come specchio del sociale stesso, deformato e deformante quanto si vuole, ma pur sempre specchio.
L’abisso Terni
Ad esempio, è deformata l’immagine che della città offrono le performance dell’attuale sindaco di Terni. Non ci sono persone in questo posto che, come fa lui, vanno in giro minacciando il prossimo, tentano di aggredirlo o gli sputano addosso. Eppure quello è un primo cittadino non caduto da Marte, ma eletto in libere elezioni; e prima ancora che lo fosse, venne insignito della cittadinanza onoraria da un consiglio comunale unanime; osannato da una parte consistente della tifoseria della squadra di calcio in una città in cui il calcio è stato da sempre fonte di consenso ben più di quanto accade altrove. Nella sgraziatezza deforme e deformante del suo agire Bandecchi restituisce in purezza una comunità allo sbando di cui sono ben visibili non le cicatrici ma le ferite tuttora sanguinanti di una perdita di identità che l’ha risucchiata fino a non consentirle di riconoscere limiti. Bandecchi non è un corpo estraneo a Terni. Bandecchi è Terni. Lo è nello smarrimento di senso che è ben rappresentato dai video sconclusionati che popolano i suoi profili social. Lo è nella ricerca di scorciatoia del comando che sostituisce il governo, illusoria perché sterilmente semplificatrice. Lo è nella monodimensionalità dei soldi come misura dell’esistenza. Soldi che dal lato del sindaco vengono sbandierati come suprema manifestazione di capacità; dal lato della città sono diventati l’obiettivo disperato e disperante – perché a sua volta unico – di un ex luogo che si sta apprestando a diventare non luogo per cause che in parte si estendono molto al di là dei propri confini. Bandecchi è Terni perché la città non riesce a fare nulla di adeguato per dichiararlo corpo estraneo: avvinta, annichilita o assuefatta che sia, essa assiste inebetita allo srotolarsi dell’impresentabile. Fare qualcosa significherebbe inventarsi qualcosa di adeguato alla straordinarietà della situazione. Ma non c’è forza in grado di battere colpi udibili in questo senso. Ma soprattutto Bandecchi è Terni perché l’attuale insensatezza è stata agevolata da una perdita di senso che sta molto più a monte della valle in cui oggi pasce il sindaco. Terni avrebbe dovuto diventare un’emergenza regionale ben prima che Bandecchi ne conoscesse anche solo l’esistenza, ma un personale politico inadeguato a tutti i livelli ha continuato a sperare che passasse la nottata, a ritenere che la questione non lo riguardasse o, peggio, a crogiolarsi nei propri privilegi di provincia mentre la città vinta da un’economia via via più inafferrabile ripiegava su se stessa. Bandecchi, deformante quanto si vuole, è lo specchio di questa città ai limiti dell’esanime, in cui chi pure esprime vitalità oggi non ha la forza per prendere il sopravvento sull’annichilimento complessivo.
La speranza Perugia
Non ci sono modelli replicabili che possano prescindere dai contesti. Ma se Perugia non è un modello per Terni, può se non altro rappresentare una speranza a cui guardare. Qui, dopo una campagna elettorale di primavera che per forme e sostanza ha costituito probabilmente un unicum a livello nazionale, sull’estate è piombato il rischio di normalizzazione del cammino di innovazione profonda che ha avuto nel comitato civico che ha accompagnato Vittoria Ferdinandi a Palazzo dei Priori il perno di un cambio di paradigma. Ciò è derivato da almeno un paio di fattori. Il primo è che dopo le elezioni nel capoluogo sono riemerse tendenze politiche che potremmo definire tradizionali: i partiti hanno ripreso a trattare in vista delle Regionali come se Vittoria Ferdinandi e l’intelligenza collettiva che l’ha spinta potessero essere messe tra parentesi. Il punto è che, da un lato, i partiti – tradizionali appunto – sono forze con delle vere e proprie liturgie che per definizione, in quanto liturgie, sono dure a tramontare; dall’altro però essi non sono più in grado di esaudire le esigenze di rappresentanza di quell’intelligenza collettiva che non li trova più appetibili ma senza l’apporto della quale l’orizzonte si accorcia. Al tempo stesso quell’intelligenza collettiva e tutt’altro che tradizionale che si è manifestata con il sostegno attivo alla sindaca di Perugia è tuttora una sorta di processo costituente. È in grado di raggiungere vette inaccessibili ma al tempo stesso è priva di una organizzazione che da un lato le assicurerebbe stabilità e dall’altro, se eccessivamente rigida, rischierebbe di ingabbiarne i saperi, la creatività e l’energia che sono invece gli ingredienti del cambio di paradigma che essa rappresenta. In questa forbice si è reinserita appunto la politica tradizionale che ha rischiato – e rischia tuttora, come vedremo – di riproporsi come zavorra nel cammino verso una innovazione di metodo e di sostanza senza la quale la politica stessa diventa gioco di ruolo e perde per strada la società. Il secondo fattore che ha reso l’estate a rischio normalizzazione è stato costituito dal tema della sicurezza che ha tenuto banco nel capoluogo riportando l’umore di fondo complessivo, per un attimo, alle inconcludenti schermaglie di fazione cui siamo abituati da anni. È chiaro a qualsiasi persona dotata di senno che Perugia non può essersi trasformata in far west nell’arco di qualche settimana, secondo lo spettro che agita un’opposizione la quale rivendicava fino a un attimo prima – quando era forza di governo – di avere riportato l’ordine. È evidente che la sicurezza è un tema complesso, al quale nuoce gravemente la propaganda che invece l’accompagna troppo spesso. Ed è evidente che farsi irretire dalla propaganda degli avversari non è il meglio che l’attuale governo della città possa fare. In questo senso la convocazione del Consiglio comunale all’aperto in piazza del Bacio ha rappresentato un’utile soluzione di continuità perché, con un atto connotato da una notevole forza simbolica, ha cambiato lo scenario riportandolo su toni più consoni a una città capoluogo. Lì, in una zona della città che rappresenta una ferita da sanare, la nuova amministrazione ha voluto presentare le linee di mandato per i prossimi cinque anni uscendo dal Palazzo e incontrando le persone da rappresentare, come a voler colmare una distanza. Lì è stato riconosciuto che quella di uscire dal Palazzo non è di per sé una pratica di partecipazione, ed è stato spiegato come si chiamerà la cittadinanza a partecipare davvero, attraverso un lavoro che durerà almeno nei prossimi tre anni. Lì è stato affermato semplicemente con una presenza fisica, per quanto eccezionale, come i luoghi diventano più sicuri se vivono, non se ci si portano i carri armati dell’esercito.
La sindaca ha esposto linee programmatiche che per chi ha letto il programma elettorale non sono una novità e che è superfluo ricordare qui. Ha forse però senso isolare due passaggi, che sono sembrati secondari nella lunga esposizione, e che invece restituiscono bene la misura dell’atmosfera complessiva cui la nuova amministrazione pare voler contribuire a dare vita. Il primo: Ferdinandi ha detto che si tenterà di riportare le cucine nelle scuole. L’allontanamento dei luoghi in cui si preparano i pasti per i bambini e le bambine che frequentano asili ed elementari dagli istituti in cui poi il cibo viene somministrato fu una scelta del vecchio centrosinistra pre-Romizi cui il successivo governo di centrodestra ha completamente aderito. Venne determinata da scelte di contabilità sul cui altare furono sacrificati posti di lavoro, la professionalità delle cosiddette bidelle-cuoche e le loro condizioni di lavoro, e anche meccanismi di partecipazione che vedevano i comitati dei genitori attivamente impegnati se non nell’auto-organizzazione del servizio nella sua cogestione. Fare intendere che si cercherà una inversione di tendenza in questo campo è un utile e simbolico ripristino di priorità delle vite e della qualità sulla ragioneria contabile. Il secondo passaggio significativo che è utile sottolineare nell’economia del discorso che stiamo facendo qui è quello in cui stato spiegato che verrà cestinata l’idea bizzarra di fare un nuovo stadio per procedere invece sulla strada della riqualificazione del “Renato Curi”. Quella della demolizione dell’attuale e della realizzazione di un nuovo stadio è stata in questi mesi una delle sbornie più poderose che ha avvinto una parte della città: chiedere nuovo consumo di suolo per realizzare una struttura per una squadra di calcio che da anni naviga tra serie B e serie C è un controsenso evidente, che segue la logica per la quale si continua a edificare in questa regione nonostante la popolazione diminuisca. Anche in questo caso, invertire la tendenza è un utile esercizio di buon senso (è significativo ricordare a questo proposito che il Curi venne realizzato con il Perugia in serie A).
L’incognita Umbria
Con Terni e Perugia espressioni di polarità così opposte, la Regione si appresta ad andare al voto nel prossimo autunno per rinnovare Consiglio e Giunta. Le trattative in corso tra Bandecchi e il centrodestra fanno capire quanto la coalizione al governo si senta in difficoltà e, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto e perché sia difficile dichiarare l’attuale sindaco di Terni corpo estraneo. L’attuale opposizione dal canto suo, ha ampiamente dimostrato di poter tornare a correre il rischio di farsi avvincere dalle liturgie che l’hanno portata a smottare di elezione in elezione perché divenuta priva di collegamenti con la società. La connessione con l’intelligenza collettiva che rifiuta la rappresentanza istituzionale tradizionale attuale ma non vuole rinunciare a contaminare le istituzioni con i suoi saperi, creatività e innovazione, a Perugia è riuscita in maniera inaspettata. Andrebbe consolidata, non messa tra parentesi. Crogiolarsi sul successo del capoluogo confidando in una sua automatica replica su scala regionale è quanto di peggio si possa scegliere di fare. Farlo sconfessando il cammino che ha reso possibile quel successo è addirittura un capovolgimento di senso. Il rifugiarsi nelle rispettive piccole e insignificanti patrie, il tornare a soddisfare le proprie coazioni a ripetere, l’allontanamento di fatto dell’intelligenza collettiva che sta fuori dall’attuale società dei partiti ma che è indispensabile alla politica se questa non vuole ridursi a gioco di ruolo sono tentazioni da condannare. Ma le liturgie, si diceva sopra, sono dure a tramontare, e l’intelligenza politica dei senza partito è un processo costituente permanente. Sta nella forbice tra l’opzione dell’apertura alla società e quella del ritorno alla clausura nell’asfittico gioco di ruolo della politica politicante l’incognita della Regione che verrà. E sta poi, in fin dei conti, in una domanda: vincere le elezioni, sì, ma per fare cosa, cambiare davvero o continuare il gioco delle parti?
Sono d’accordo su tutto.
bello leggere concetti espressi così chiaramente, su molte delle cose sono super d’accordo, su terni lettura magistrale di una deriva, su Perugia mi permetto di aggiungere che malgrado il tanto fatto il margine di Vittoria è stato esiguo, spero che quelli dei partiti e delle liturgie, tra cui la candidata, lo abbiano ben chiaro