Un tratto dell'autostrada A1
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Sulla nuova strada con altri mezzi

 

Sull’improcrastinabile bisogno del variegato arcipelago ambientalista che ha a cuore la giustizia sociale – quello che avremmo chiamato sinistra in onore della rivoluzione francese e della posizione assunta dalle forze politiche all’interno dell’emiciclo – di distruggere gli attuali contenitori (partiti, movimenti, etc) mi sono già espresso in passato su questa rivista. La distruzione solitamente è processo ritenuto assai più facile e immediato della costruzione che presenta tempi più lunghi e complessità maggiore. Quando il processo di distruzione riguarda però la (ri)definizione di se stessi, intendendo per se stessi un gruppo allargato di persone con comuni valori e simili intenti, allora la distruzione, concernendo la rinuncia a una vecchia identità in nome di un “nuovo essere” tutto da definire, si fa maledettamente più complicata e l’istinto di conservazione rischia di essere più forte di qualsivoglia tensione verso il rinnovamento. I tempi però, in politica come nella vita, hanno importanza fondamentale e la lettura attiva della tendenza, la capacità cioè di non farsi travolgere dal domani ricorrendo allo spirito critico dell’oggi, diviene questione di vita o di morte. Inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati, sancisce la saggezza popolare nel descrivere la giusta azione compiuta nei tempi sbagliati, allo stesso tempo ricorrendo all’altro detto bovino per eccellenza a cosa serve mettere il carro (contenitore) davanti ai buoi (contenuti)?

Uscendo dal tunnel del muggire proverbiale risulta evidente come dalla parte non destra del caro emiciclo che fu ci sia una profonda e urgente necessità di ridefinizione collettiva dei contenuti in grado di determinare nuovi contenitori. L’assemblea costituente del Movimento cinque stelle a tal proposito può essere viatico per far sì che una nuova stagione congressuale radicale investa l’intero fronte, che cioè la messa in discussione del proprio stare al mondo riguardi tanto il Pd – che con Elly Schlein ha comunque fatto i primi passi che non possono essere considerati certo nuovo cammino – quanto AVS, tralasciando al momento i riottosi professionisti del centrismo, così centristi da ritenersi reciprocamente inaffidabili e alla prova dei fatti inconciliabili.

I Cinque stelle dovrebbero trovare la forza di non limitarsi a ragionare criticamente delle proprie regole interne e della guerra fratricida tra garante e presidente, ma di volgere lo sguardo costituente al loro esterno, trovando allocazione certa nel contesto europeo attraverso la definizione di punti fermi con declinazione e coniugazione varia che non possono essere però negoziabili. Eccoli.

Transizione ecologica, capacità cioè di indirizzare l’economia reale, spogliandola della finanziarizzazione oggi imperante e distruttiva nella sua promessa di profitto immediato, verso una compatibilità ambientale che tenga insieme la costruzione della ricchezza fatta dal lavoro dei più con il rispetto e la valorizzazione della natura. Imporre cioè la virulenza dei cambiamenti climatici al centro della discussione senza relegarla nell’angolo dell’emergenza tipica della reazione sdegnata di fronte agli eventi catastrofici sempre più frequenti senza limiti di spazio.

Rifiuto della guerra, uscire una volta per tutte dall’idea della deterrenza armata come pilastro in grado di garantire pace. La fine della centralità americana nel sistema mondo attuale non può essere considerato tabù da difendere con la crescente militarizzazione degli organismi sovranazionali a comando unilaterale, gli equilibri determinati dalla seconda guerra mondiale oggi scricchiolano, all’Europa politica il compito di uscire dalla sudditanza nei confronti degli Usa (economica e militare e quindi politica) e di ritagliarsi un ruolo diplomatico di mediazione che le restituisca credibilità e centralità.

Partecipazione, il coinvolgimento attivo del più alto numero di cittadini all’interno dei processi decisionali a ogni livello geografico e istituzionale deve essere pietra miliare, a iniziare dalla rivendicazione di un sistema elettorale proporzionale che oltre a restituire democraticità numerica riesca mediante la differenziazione della proposta politica a far riappassionare l’elettore al proprio destino e far sì che le alleanze non siano precostituite e coatte, ma libere e figlie della sovranità popolare. La politica deve cioè esser capace di praticare la mediazione, che a volte può essere anche compromesso, sulla base dei risultati elettorali e non imporre la scorciatoia asfittica della “coalizione omogenea” attraverso il ricorso al sistema maggioritario più o meno spinto.

Giustizia sociale, non aver paura di rivendicare la progressività fiscale come principio unico di tassazione diretta e la patrimoniale come pratica di equità, continuare a cedere di fronte alla vulgata aggressiva della destra che demonizza la tassa nella sua essenza e criminalizza la patrimoniale considerandola attentato alle libertà costituzionali significa dare il via libera al ricorso sistematico alla tassazione indiretta e al continuo svuotamento del servizio pubblico (sanità su tutto) in favore del privato che famelico attende sulla riva del fiume delle disgrazie altrui.

Welfare, smantellare l’ideologia liberista basata sull’apologia della buona volontà che premia e gratifica contrapposta all’assistenza che infiacchisce e depriva è urgenza primaria. L’esigenza di un reddito di base in grado di tutelare chi viene emarginato da un sistema economico performante che prevede una produttività robotica non può essere vissuta come vergogna, ma come rivendicazione sostanziale. Pensare di poter rendere tutti performanti tramite la formazione continua è una debolezza costitutiva che consegna l’egemonia (culturale e non solo) nelle mani di una destra che banalizza la complessità e dichiara guerra aperta ai poveri e alla pratica della solidarietà. Sulla scia di quanto detto va ristabilito il primato dei diritti sociali (pensioni in primo luogo) strappandoli all’aleatorietà dell’economia integrativa. Rimettere al centro la Carta costituzionale rendendo praticabili i principi costituitivi in fin dei conti è la via maestra per ripartire dalle radici della “futura umanità”.

Restare umani, questa nuova visione dello spazio pubblico, dell’ambiente, della cittadinanza, del mondo senza guerra, del bene comune deve avere come suo sentimento di fondo la capacità di accogliere, tutelare e proteggere l’umanità alla deriva sui mari agitati e lungo i confini terrestri fatti di filo spinato che caratterizzano le rotte migranti. Vedere la deportazione sistematica come soluzione e non come problema, utilizzare la fuga dalla miseria estrema come fantasma in grado di peggiorare le povertà occidentali è pratica da rifiutare alla radice. Costruire modelli culturali adattivi a una rabbia popolare che, impotente di fronte alle angherie dei potenti, non trova altra via che accanirsi sui corpi dei più deboli con altra pelle e diversa cultura significherebbe non ascoltare la volontà della gente comune, ma spianare la strada a un mondo cinico nella pratica discriminatoria e baro nell’ideologia selettiva. La nuova strada è da tracciare, gli altri mezzi da costruire, in bocca al lupo a tutti noi che facciamo della speranza tenacia e della tenacia virtù.

Foto da wikimedia commons

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