L'aula di Palazzo Cesaroni, sede del Consiglio regionale dell'Umbria
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Di palazzo in palazzo

 

Il 2 ottobre scorso Leonardo Varasano, eletto per la prima volta nel Consiglio comunale di Perugia nel 2014 con Forza Italia – nel corso degli anni diventato prima presidente del Consiglio e poi assessore alla Cultura – annunciava la sua candidatura al Consiglio regionale nelle elezioni del 17 e 18 novembre prossimi con il partito “Noi moderati”. Il 21 giugno, appena cento giorni prima, lo stesso Varasano aveva espresso «gratitudine profonda» ai 772 elettori che accordandogli la preferenza gli avevano consentito di essere rieletto per la terza volta a Palazzo dei Priori sotto i colori di “Progetto Perugia”. Non possiamo sapere se Varasano avvertisse lo stridore di un neo eletto che a quattro mesi dall’entrata in un’istituzione si candida per fare il suo ingresso in un’altra transitando da una lista sedicente civica a un partito. Sta di fatto che egli stesso aveva sentito la necessità di assicurare che non si trattava «di un arretramento rispetto al ruolo in Consiglio comunale».

Due post del consigliere comunale di Perugia Leonardo Varasano

Il 7 giugno Mattia Giambartolomei pubblicava sul suo profilo facebook una foto radiosa in cui al suo sorriso si affiancavano quelli del senatore Franco Zaffini e del parlamentare europeo Marco Squarta. Era il giorno della chiusura della campagna elettorale per le Comunali di Perugia. «Ci ho messo coraggio, concretezza e cuore», era il testo che accompagnava l’immagine. Giambartolomei sarebbe entrato trionfalmente di lì a poco nel Consiglio comunale del capoluogo umbro con il più alto numero di preferenze, ma dopo meno di quattro mesi stava già annunciando che sarebbe andato in tv a parlare della «mia candidatura al Consiglio regionale», come scrisse sulla sua pagina facebook.

Due post del consigliere comunale di Perugia Mattia Giambartolomei

Clara Pastorelli, che siede a fianco di Giambartolomei a Palazzo dei Priori negli scranni riservati a Fratelli d’Italia, all’indomani del ballottaggio del 27 giugno che aveva visto la sconfitta del centrodestra a Perugia, annunciava che sarebbe stata presente in quell’assemblea «con l’impegno di sempre». L’11 ottobre invitava a votare per lei alle Regionali di novembre.

Due post della consigliera comunale di Fratelli d'Italia, Pastorelli

Nilo Arcudi entrò in Consiglio comunale per la prima volta con il Partito socialista vent’anni fa. È stato vicesindaco prima di Wladimiro Boccali, e successivamente di Andrea Romizi, cioè del sindaco che battendo proprio Boccali nel 2014 strappò Perugia ai rossi. Nel frattempo, fuoriuscito dal Partito socialista, ha dato vita a una lista civica con la quale a giugno è stato rieletto per la quinta volta a Palazzo dei Priori. Il 15 luglio, dopo la sconfitta della coalizione che appoggiava Margherita Scoccia, annunciava che avrebbe fatto «una opposizione seria e responsabile». Dopo poco più di due mesi aggiornava l’immagina di copertina su facebook annunciando di candidarsi alle Regionali a fianco di Donatella Tesei «con le persone per la comunità».

Due post del consigliere comunale di Perugia, Nilo Arcudi

Chiara Calzoni, la compagna di lista civica con la quale Arcudi annunciava alla metà di luglio di voler fare l’opposizione «seria e responsabile», il 6 agosto, all’indomani della sua elezione alla vicepresidenza della IV commissione consiliare di Palazzo dei Priori, si diceva «profondamente onorata» e annunciava che «con grande impegno» si sarebbe dedicata a lavorare sui «temi cruciali» di cui la stessa commissione si occupa. Giusto il tempo di chiudere l’estate e Calzoni «con grande emozione e senso di responsabilità» condivideva sui social la decisione di candidarsi alle Regionali a fianco di Donatella Tesei.

Due post della consigliera comunale di Perugia, Chiara Calzoni

Nella pagina facebook di Gianluca Tuteri, vicesindaco di Andrea Romizi nell’ultima consiliatura, campeggia un reel del 7 giugno che lo ricorda in un invito al voto per lui, che si candidava al Consiglio comunale nella lista di Forza Italia. Tuteri, che nel 2019 era stato eletto a Palazzo dei Priori con la Lega, si è dato il tempo di entrare nuovamente nel Consiglio comunale di Perugia, cambiare gruppo consiliare, uscendo da quello di Forza Italia per entrare nel “misto”. Poi, il 14 ottobre, ha annunciato di candidarsi al prossimo Consiglio regionale nella stessa lista “civica” di Arcudi e Calzoni. L’abbiamo lasciato per ultimo, Tuteri, perché alcune sue parole sono illuminanti. Nell’annunciare in un video che lo immortala con stetoscopio al collo la sua candidatura a fianco della presidente uscente Tesei, ne boccia irrimediabilmente l’operato dichiarando di volersi candidare perché, parole sue, «voglio una sanità che non faccia aspettare mesi per una visita necessaria». Il video è del 14 ottobre. Il giorno dopo, in una videointervista rilasciata a Pasquale Punzi, Tuteri dice testualmente di ambire «solo al posto di assessore regionale alla Sanità», e rivolgendosi a chi lo volesse votare scandisce che lui al posto di semplice consigliere regionale rinuncerebbe volentieri.

Due post del consigliere comunale di Perugia, Gianluca Tuteri

Riepilogando: dei dodici consiglieri comunali di centrodestra eletti a Perugia appena quattro mesi fa, sei – cioè la metà – hanno deciso di affrontare immediatamente una seconda campagna elettorale per farsi eleggere in un altro Consiglio, quello regionale appunto. Altri due importanti rappresentanti istituzionali, il vicesindaco di Terni, Riccardo Corridore, e l’assessora alla Scuola nello stesso Comune, Viviana Altamura, correranno per la stessa coalizione di centrodestra alle Regionali sotto le insegne di Alternativa popolare. Nel primo caso non c’è incompatibilità. Nel caso in cui Corridore e Altamura dovessero essere eletti invece, sarebbero costretti a dimettersi da assessori. È evidente però che, al di là delle incompatibilità sancite per legge, dev’essere difficile coniugare l’attività di consigliere di un comune capoluogo di regione con quella di consigliere nella massima assise regionale: in Italia ci sono poco meno di 900 consiglieri regionali e solo tredici di essi riescono a essere contemporaneamente anche consiglieri comunali in comuni capoluogo di regione. Con buona pace degli annunci più o meno roboanti di serietà, impegno e onore che hanno accompagnato l’assunzione della prima carica, se la scelta di candidarsi in Regione fosse premiata di nuovo dagli elettori, i sei consiglieri perugini si troverebbero con grandi probabilità a dover scegliere. E se non lo facessero, dovrebbero affrontare un doppio impegno che per essere affrontato con serietà necessiterebbe di giornate ben più lunghe delle 24 ore che sono concesse ai comuni mortali.

La concomitanza di un così alto numero di casi e del fatto che si tratta di persone che appena quattro mesi fa hanno chiesto il voto del corpo elettorale per andare a svolgere un altro incarico o, per quanto riguarda Corridore e Altamura, che se fossero elette sarebbero costrette a lasciare scoperte due caselle strategiche dell’esecutivo Bandecchi (Corridore, oltre che vicesindaco, ha anche la delega a coordinare l’esecutivo); ecco, la concomitanza di questi elementi conferisce una macroscopicità al fenomeno che va molto al di là delle persone coinvolte, le quali più che essere protagoniste, appaiono come altrettanti sintomi di una deriva ademocratica.

Partiamo dal caso dei perugini. Non si sfugge all’impressione che la sconfitta alle Comunali di giugno abbia relegato i sei consiglieri che oggi ambiscono ad approdare a Palazzo Cesaroni in un ruolo, quello di opposizione, che essi trovano stretto, ai limiti dell’inutilità. È probabilmente da qui che nasce l’idea di reinvestire immediatamente il capitale di preferenze accumulato per un ruolo di maggiore visibilità, e auspicabilmente all’interno di una maggioranza. Si tratta di uno scenario in cui, lo ripetiamo, i sei di cui parliamo non vestono i panni dei protagonisti: appaiono più come altrettante pedine il cui affannarsi può semmai essere utile a comprendere la deriva di cui si è appena detto. La torsione ormai trentennale imposta dal sistema maggioritario ha contribuito a relegare l’opposizione a un ruolo ancillare, di testimonianza. Tutto ciò è stato accompagnato in questi decenni da un ritorno prepotente del principio di gerarchia e obbedienza a tutti i livelli istituzionali e nei luoghi di lavoro. Si tratta di un vento che spinge a confondere il rilievo critico, il diniego, il non allineamento alla maggioranza come fastidi inutili. A ciò si aggiunga che il brodo di coltura di buona parte del centrodestra attuale tende a far coincidere governo e comando.

All’interno dello scenario sommariamente descritto corrisponde non solo uno scadimento del ruolo della minoranza ma della qualità stessa della democrazia rappresentativa. Se la minoranza è fastidio inutile, se l’accento è così parossiticamente posto sul momento del governo, sono le stesse assemblee rappresentative a scadere d’importanza, e in esse, a farne le spese maggiori è quella opposizione alla quale tutte le riforme di questi ultimi anni hanno puntato a tagliare le unghie. Le parole limpide di Tuteri sulla sua scarsa considerazione per il ruolo di consigliere regionale valgono molto più di questo articolo per capire la tendenza. È questa corrente ultradecennale che spinge le nostre pedine in maniera così massiccia a volersi spostare su uno scacchiere nel quale si spera di giocare un altro ruolo, più importante, con buona pace della rappresentanza, appunto, e pure dei partiti che la dovrebbero incarnare, che infatti sono diventati più somiglianti ad agglomerati di potentati che a forme di rappresentanza ed elaborazione. C’è una pietra miliare in cui si è condensato questo ribaltamento di senso: è l’elezione dei presidenti delle due massime assemblee rappresentative in Italia. Fino all’esistenza in vita del principio proporzionale, la presidenza di uno dei rami del Parlamento veniva assegnata a un’esponente dell’opposizione, a sancire l’importanza di quel luogo e il pieno diritto di tutti a starci con pari dignità. Dall’introduzione del maggioritario, nel 1994, si è passati a considerare anche quella carica appannaggio di chi vince le elezioni. È un principio che è stato condiviso in questi ultimi trent’anni, dall’elezione di Irene Pivetti e Carlo Scognamiglio in giù, da chiunque abbia vinto le elezioni, e si è esteso a tutti gli organi rappresentativi, fino all’ultimo dei comuni.

Diverso è il caso dei ternani Corridore e Altamura. Ma anche in questo caso c’è in ballo quel principio del comando che ha a che fare con la tendenza alla deriva ademocratica, o che comunque sta anestetizzando le forme della democrazia affinché questa non disturbi chi è al governo. Le candidature del vicesindaco e dell’assessora della Giunta Bandecchi rispondono alla diretta volontà del sindaco di Terni di cercare strenuamente una ribalta nazionale, che in questa fase passa per un’alleanza col centrodestra in Umbria vista come transizione verso lidi più favorevoli. In questo gioco di opportunismi, può valere la pena rischiare anche di mettere in crisi la propria stessa Giunta; del resto Terni non è mai stata la città di Bandecchi, e mai lo diventerà: appare più come un’opportunità che il presidente di Unicusano ha sfruttato per acquisire visibilità, e se l’opportunità per avere più visibilità oggi spinge a inviare propri emissari a Palazzo Cesaroni, Terni può ben essere sacrificata.

C’è un ultimo punto, quello più prosaico. L’indennità di un consigliere regionale si misura in una cifra a quattro zeri. Potrebbe essere un’ottima ragione per tentare di passare dal Comune alla Regione. Lo diciamo senza moralismi e con la comprensione che si deve a chi sceglie una sistemazione più comoda. Tutti tendiamo a stare più comodi. Anche in questo caso però, rimaniamo all’interno di uno scenario che rimanda a uno scadimento delle istituzioni tutte: quelle che si lasciano, quelle a cui si punta, e quelle utilizzate come trampolino di lancio verso lidi più assolati. È un fenomeno così evidente quello della tendenza alla ademocrazia, cioè a un regime in cui sopravvivono usi e liturgie che però sono svuotati di reale significato, che occorre farci i conti. Perché tracima fuori dai Palazzi, innerva la società, punta alla riduzione all’obbedienza. E la riduzione all’obbedienza rischia di privarci della possibilità di cercare risposte migliori rispetto a quelle fornite da chi obbedisce.

In copertina, l’aula di Palazzo Cesaroni in cui si tengono le sedute del Consiglio regionale (foto da wikimedia commons)

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