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L’Umbria non è la Liguria

 

La miglior garanzia di sopravvivenza per il governo delle destre, in questo tempo e in ogni luogo, continua a essere la confusione totale che regna nel campo avverso, un campo che dopo la disastrosa esperienza ligure lascia la sensazione di essersi trasformato in pascolo dove brucano pecore traditrici la cui guardia è garantita da lupi famelici in attesa di sbranarle. In Liguria non abbiamo assistito a una sconfitta di misura, ma a un rovescio totale con un candidato, autorevole rappresentante della sinistra Pd, che si è sentito, ed è effettivamente stato, cavia di un laboratorio specializzato in autolesionismo. La pantomima creata da Conte, sostanzialmente per proteggersi da Grillo e dai nemici interni, con cui ha decretato formalmente la fine del campo largo, lanciata dal salotto di Vespa con modi insensati e tempi sciagurati, oltre a non fermare l’emorragia di voti del Movimento ha di fatto condannato a sconfitta certa l’intera coalizione. L’unico caso in cui elezioni anticipate dovute allo scandalo di malgoverno e malaffare che ha coinvolto la precedente giunta, hanno visto la stessa maggioranza, con soliti usi e costumi e diversi protagonisti, riuscire, grazie alla riottosa e traballante ciurma avversa, a confermare quello che, visto il sovrano responso elettorale, oggi viene rivendicato come un’esperienza di buon governo messo alla gogna da una cattiva e politicizzata magistratura. Fare peggio sarebbe stato francamente impossibile, ma il comico garante per primogenitura e l’avvocato garantista per professione ultimamente hanno dimostrato come siano in grado di scavare oltre lo scavabile rimbalzandosi con puerile rinfaccio le responsabilità.

Dover constatare come le elezioni liguri siano state decise dal fantasma di Renzi, dai dispetti di Grillo, dalle paranoie di Conte e dal potere territoriale di Scajola legittima, sempre che ce ne fosse il bisogno, quella maggioranza degli elettori che per consapevolezza, sfiducia, disinteresse, qualunquismo, critica o principio del tanto peggio tanto meglio continuano a disertare le urne, lasciando – grazie al sistema maggioritario – a una minoranza della minoranza (ha votato solo il 46 per cento degli aventi diritto) il destino della propria vita.

L’uomo ha grandi capacità di adattamento che uniscono le migliori virtù ai peggiori difetti. Oggi siamo di fronte a un adattamento remissivo che finisce con il considerare normale la guerra con il suo carico di orrori, e la democrazia spogliata della sostanza e coincidente con la mera formalità. L’astensionismo continua a essere il problema, la qualità dell’astensionismo il problema nel problema. L’abitudine al progressivo boicottaggio delle urne è un dato di fatto così evidente da essere considerato elemento certo su cui non riflettere, al massimo degno dello spazio di un preambolo fugace da preporre alla concretezza politica delle percentuali uscite dalle urne. E i numeri liguri altro non hanno fatto che permettere al governo dell’autocelebrazione e del successo garantito di gonfiare i polmoni e alimentare la grancassa della propaganda.

Il M5S di Grillo ha di fatto spostato a destra l’asse della politica italiana, tanto che nel giro di poco più di dieci anni siamo passati dal possibile governo Bersani al certo governo Meloni con le tappe intermedie dei governi tecnici, del renzismo rampante e dell’esperimento gialloblu. Insomma la rivoluzione tanto sbandierata ha generato l’eterogenesi dei fini facendo risultare la peggiore tra le reazioni l’unico approdo accettabile per un Paese sempre più allo sbando. Quella rivoluzione sognata si è scontrata con la realtà dei fatti e l’impreparazione dei più, lo sloganismo accattivante, l’ironia feroce, il qualunquismo socio/matematico dell’uno uguale a uno e via dicendo oggi come un boomerang certo di ritorno si sta abbattendo su quello che rimane di un movimento in crisi irreversibile. Per stare dentro a una coalizione bisogna aver chiara la propria identità e condividere obiettivi comuni che possono richiedere anche un “sacrificio” identitario. La contaminazione è atto politico per eccellenza, l’arroccamento su se stessi il più banale dei qualunquismi possibili.

La necessità del M5S di avere una feroce discussione interna è sotto gli occhi di tutti, il bisogno di darsi una nuova identità e collocarsi in altro luogo pure. L’assemblea costituente un’occasione voluta che non può essere svilita con ragionamenti di comodo e dialettica impoverita. Il fondo è stato toccato o forse no, resta il fatto che o si capisce chi si vuole essere e dove si vuole andare o si sarà sempre vittime dei fantasmi autoprodotti – oggi Renzi domani chissà – generati dall’incapacità politica di lettura del reale. Dal salotto di Vespa Conte ha in un sol colpo ridato centralità a Renzi e rischiato di minare alla base un percorso politico sviluppato in autonomia dai territori

La situazione ligure è differente da quella emiliano/romagnola che a sua volta è altro rispetto a quella umbra tanto nei rapporti con i centristi che “osteggiano” la destra quanto con quelli ondivaghi che strizzano l’occhio oggi qua domani là. Un progetto politico costruito su basi certe è la migliore medicina per poter cacciare i propri mostri dal recondito della mente e al tempo stesso essere liberi e interni in un processo dialettico inclusivo attento ai punti condivisi e non dimentico degli elementi di contrasto. La Regione è l’ente che amministra di fatto l’universalità del sistema sanitario, il diritto alla salute – anche per colpe passate del centrosinistra – oggi è assaltato dall’inefficienza costruita ad arte nel pubblico e dalla presunta prestanza del sistema privato. Il diritto alla cura e prima ancora alla tutela della salute non può essere trattato come merce e in quanto tale deve essere difeso nella sua pubblica universalità.

In Umbria queste due visioni di welfare differenti, quello integrato e pubblico e l’altro elitario e privato, sono state rese ancor più palesi dall’alleanza last minute tra la Tesei e Bandecchi, tra la coalizione che svuota ospedali (Spoleto su tutti) e rende privati posti letto pubblici e il mecenate della clinica/stadio. Il tutto deciso nelle stanze dei palazzi romani e imposto sulle teste degli impotenti rappresentanti politici locali. In Umbria inoltre il Patto Avanti, stipulato con lungimiranza e intenti chiari in tempi non sospetti, e la costante lotta dei rappresentanti del M5S nei palazzi in veste di consiglieri e al fianco dei comitati per la salvaguardia dei beni comuni, rende le sterili polemiche che hanno “condannato” la Liguria così residuali da essere impalpabili. Qui nessuno ha pensato alla tutela del proprio orticello, ma pur consapevoli di poter perdere voti identitari per strada si è comunque scelto di costruire una casa allargata in grado di incidere realmente sulla realtà. Qui il belato della pecora traditrice e l’ululato del lupo affamato non hanno trovato dimora perché la tutela dell’Umbria e il benessere degli umbri sono stati gli unici punti fermi nella costruzione di una coalizione plurale che ha dimostrato, vincendo a Perugia, di saper curare piuttosto che ferire, parlare invece di sputare, unire e non dividere. Mettere Stefania Proietti e Luca Simonetti sullo stesso piano di Donatella Tesei e Stefano Bandecchi è come mettersi i paraocchi usandoli a mo’ di radar. La Liguria è andata, l’Umbria va ripresa.

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