Quando in occasione del ballottaggio per la poltrona di sindaco di Terni mi interrogai retoricamente su questa rivista se fosse stato meglio il punto esclamativo (Masselli e la filiera della destra) o il punto interrogativo (Bandecchi e la sua tracotanza), mi attirai diverse critiche soprattutto perché puntai il dito indistintamente contro chi, dal candidato del centrosinistra Jose Maria Kenny al Cinque stelle Thomas De Luca, considerava i due facce della stessa medaglia, non comprendendo a mio avviso come, vista l’incapacità delle forze del progresso di essere valida e credibile alternativa, l’elezione di Bandecchi avrebbe potuto creare quella fessura nel granitico castello di certezze della destra locale che il tempo, non lasciato a se stesso, avrebbe trasformato in smottamento se non in vero e proprio crollo. In quei giorni nessuno o quasi comprese la portata distruttiva di Bandecchi, l’ortodossia che avvolse anche gli eterodossi impose una lettura incapace di cogliere quegli elementi di novità introdotti dall’irruente cittadino onorario.
La faccio breve, senza Bandecchi, che solo per dirne una fece sparire la Lega dal consiglio di Terni, molto probabilmente la destra non avrebbe perso Terni prima (ovviamente), Perugia poi, e la regione Umbria oggi. Sembra un paradosso ma l’effetto Bandecchi è stato distruttivo per la destra che goffamente ha cercato – per volere dell’alto dei palazzi romani, dopo averci litigato fino a giungere al limite dello scontro fisico per un anno e mezzo – di farselo alleato dimostrando allo stesso tempo la poca destrezza della presidente Meloni con la calcolatrice e come la brama di potere, o meglio il potere finalizzato al potere, con la conseguente morte civile della politica, a volte possa trasformarsi in boomerang letale. Sembra un paradosso ma il ciclone Bandecchi dopo averli travolti e storditi ha costretto i rappresentanti di quello che oggi è il Patto Avanti a fare una severa autocritica, ad accantonare le sterili polemiche di parte e con esse i personalismi che regnavano sovrani nel panorama nazionale, e appunto a costruire le basi solide e condivise di un Patto votato al futuro attraverso la “riconquista” del presente.
Continuando nella mia lettura eretica più che eterodossa, oggi di fronte ai risultati elettorali non posso che esclamare sempre sia lodato (Bandecchi ovviamente). Il granello di sabbia, il cavallo di Troia, chi più ne ha più ne metta, sta di fatto che quando non hai nella tua cassetta degli attrezzi gli arnesi necessari devi essere in grado di sfruttare gli errori altrui e per farlo non puoi che vedere prospettiva laddove sembra esserci un vicolo cieco, non per disperazione fideistica ma per la tenace determinazione nel voler trasformare la realtà, nel voler ribaltare quei rapporti di forza che determinano asimmetria e subalternità.
Ora che il “compagno” Bandecchi ha fatto, a sua insaputa, il lavoro sporco non resta che presentargli il conto, non rimane che lavorare per sottrargli quella Terni che lui pretende di trasformare in Dubai grazie a giochi di luce, rigogliose rotonde e che in realtà rimane quella città scollata e ripiegata su se stessa in cui tanto i fiori quanto le luminarie altro non sono che ennesima polvere infilata sotto il più illusorio dei tappeti. Sì, perché se la matematica di potere è un’opinione, a prescindere da abaco o calcolatrice, la geometria a tutto tondo della circonferenza prevede, esprimendosi parafrasando le perle di saggezza lapalissiana di mister Boskov, che giro inizia dove giro finisce. Dopo Perugia, dopo la Regione, non rimane che riprendersi Terni sottraendola alla politica dello sputo e dello sproloquio che ha sacrificato tutta la sua presunta alternatività sull’altare di una clinica con curve e tribune, che ha denudato in un sol colpo l’autoproclamato re e con esso i suoi detrattori divenuti magicamente sudditi per alleanza.
Detto questo due parole sull’esito delle elezioni regionali. Quando a votare va poco più (come in Umbria) o sufficientemente meno (come in Emilia Romagna) del 50 per cento degli aventi diritto la democrazia elettorale perde il suo principale elemento. Senza partecipazione dei più la democraticità vacilla e rimane appesa alla carta costituzionale, e con essa a quell’equilibrio tra poteri contrapposti e non confliggenti. La partecipazione diventa un optional agli occhi dei politici, più interessati alla propria legittimazione che alla tenuta del sistema, e un mezzo inutile per i partecipanti, che preferiscono vivere di propria miseria sfiduciati come sono piuttosto che alimentare inutilmente speranza di cambiamento attraverso una politica che vedono tutta uguale e trasversalmente marcia. Certo l’astensione rimane un potente mezzo di critica dell’esistente, ma quando essa diventa stantia ritualità, come sta avvenendo sempre più frequentemente, perde di efficacia e finisce con il consegnarsi imbelle tra le mani di quella politica indistinta e marcia che vuole combattere e che in realtà cinica e bara continua a regolare la vita di tutti e di ciascuno. Se i politici vincono sempre e gli elettori a fasi alterne la democrazia partecipata è la vera perdente di una battaglia sempre più simile a una guerra in cui non sono importanti le regole, ma il risultato finale
La Costituzione sventolata, l’antifascismo dichiarato con tanto di “Bella Ciao” intonata e soprattutto la difesa a tutto campo della sanità pubblica sono forse i tratti più salienti dei festeggiamenti del comitato in cammino per l’Umbria. Se l’euforia della vittoria riuscirà a tradursi in atti concreti è tutto da vedere e tutto da misurare, questa regione ha bisogno di tornare ad avere un volto umano, a riconquistare il contatto che ha progressivamente perso con il mondo sempre più popolato del bisogno (di aiuto) e della necessità (di supporto). Un mondo lasciato a se stesso, un’umanità che vive quotidianamente la difficoltà e che ha finito con il perdere sia la speranza nel cambiamento che la fiducia nelle istituzioni.
Sarà una sorta di monocolore Pd, visti i risultati, con una unica grande novità che si esplica attraverso una conferma, il rappresentante del Movimento 5 stelle in regione sarà ternano, come negli ultimi dieci anni, ma a differenza dei suoi predecessori non dovrà urlare dai banchi dell’opposizione, ma incidere nella dialettica interna alla maggioranza. Per la prima volta Luca Simonetti, che del movimento Ternano è “santone” della prima ora, avrà l’occasione di tradurre in prassi tutte le battaglie ambientaliste e sociali che in questi anni lo hanno sempre visto protagonista tanto nelle piazze tra i movimenti auto-organizzati quanto nel consiglio comunale dai banchi dell’opposizione.