Le recenti elezioni in Umbria hanno determinato un cambio alla guida della Regione. A Donatella Tesei gli elettori hanno preferito Stefania Proietti, che ha guidato una coalizione di centrosinistra in cui hanno dato un forte contributo anche le liste civiche.
Uno dei temi centrali della campagna elettorale è stata la sanità. Il sistema sanitario regionale, infatti, indebolito da un sottofinanziamento strutturale che oramai prosegue da quasi venti anni, messo sotto stress dalla crisi pandemica, mostra gravi lacune nella qualità e quantità di risposte che è in grado di offrire ai cittadini. Le liste di attesa per la diagnostica e il sovraffollamento dei pronto soccorso sono solo alcune spie che rendono evidenti le difficoltà della sanità umbra, che stanno favorendo gli operatori della sanità privata e stanno spingendo un numero sempre più ampio di cittadini a rinunciare alle cure mediche. I problemi della sanità, tuttavia, devono essere considerati un macro indicatore, il più evidente, delle crescenti fragilità di un sistema di welfare, costruito negli anni novanta del secolo scorso, non più in grado di rispondere in modo adeguato alle trasformazioni sociali della regione. È per questa ragione che la nuova Giunta regionale non dovrà solamente occuparsi di sanità ma sarà chiamata a ridefinire il modello di welfare regionale attualizzando, dopo trenta anni, quello ideato e messo in pratica negli ultimi decenni del secolo scorso. In quel periodo l’Umbria è stata all’avanguardia nella chiusura dei manicomi e nella costruzione di una rete alternativa di servizi di salute mentale, ha costruito in pochi anni un sistema di cure domiciliari a favore delle persone più fragili, si è dotata di una rete di asili nido capillare, ha costruito servizi e politiche che hanno accompagnato al lavoro le persone fragili e svantaggiate e ha anticipato, con la pianificazione sociale di zona, le novità introdotte dalle legge 328 del 2000. Questo percorso è stato realizzato coinvolgendo nel welfare regionale gli attori della società civile e del Terzo settore che sono stati chiamati a collaborare con i Comuni e le Usl nell’ideazione e realizzazione di nuovi servizi e modelli di intervento. Il modello di welfare umbro ha iniziato a mostrare i propri limiti nei primi anni Duemila, le difficoltà sono divenute evidenti con la crisi finanziaria del 2008 per arrivare sino ai nostri giorni.
Oltre il mercato
Siamo contro la privatizzazione della sanità. Questa affermazione è stata ripetuta più volte nella recente campagna elettorale dai candidaci civici e di centrosinistra. Questa frase esprime con chiarezza l’obiettivo politico e amministrativo di difendere il sistema sanitario pubblico contrastando l’arretramento della sanità pubblica che, negli ultimi anni, ha aperto nuovi mercati alle imprese private for profit. Il processo di privatizzazione della sanità ha radici profonde ed è legato alla penetrazione degli strumenti e delle logiche tipiche del mercato nel welfare. Tale cambiamento culturale e organizzativo è iniziato negli anni novanta con una legislazione – il d.lgs. 502 del 1992 e poi con il d.lgs. 229 del 1999 ne sono l’architrave – che ha enfatizzato la dimensione tecnica e l’efficienza economica, eliminando dal discorso pubblico sulla salute, sull’educazione, sull’inclusione sociale la dimensione collettiva e democratica del welfare. Il processo di aziendalizzazione degli ospedali e delle unità sanitarie locali ha reso queste organizzazioni degli apparati di produzione delle prestazioni a cui è attribuito un “prezzo” economico (attraverso i DGR) che hanno come primo obiettivo il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio. Così facendo l’idea di mercato ha fatto il suo ingresso in un mondo che era stato pensato e progettato per produrre salute e benessere sociale fuori dal mercato, con la partecipazione e il controllo diretto dei cittadini. La pandemia ha dimostrato in modo plastico i limiti di questo modello, esemplari sono in tal senso le pessime performance della Lombardia nella gestione dell’emergenza pandemica.
In Umbria, negli ultimi venti anni, l’adozione acritica delle logiche e degli strumenti tipici del mercato ha favorito la diffusione delle gare di appalto, spesso al massimo ribasso, come strumento per regolare i rapporti tra Comuni, Usl ed enti di Terzo settore. La collaborazione degli anni ottanta e novanta del Novecento è stata sostituita dalla competizione degli anni Duemila. Questo cambio di approccio ha fatto prevalere la dimensione della correttezza formale su quella dell’efficacia sociale, favorendo la diffusione di una logica prestazionale, rendendo i servizi di welfare sempre più standardizzati e burocratici. Per contrastare il processo di privatizzazione della sanità e del welfare e invertire la rotta, serve una forte azione culturale, politica e amministrativa che riscopra il valore strategico della partecipazione, della collaborazione e del coinvolgimento attivo dei cittadini.
Costruire risposte collaborative
Importanti in tal senso sono le novità introdotte dall’art 55 del Codice del Terzo settore, dal nuovo Codice dei Contratti pubblici e dalle leggi regionali n. 2 del 2023 “Disposizioni in materia di amministrazione condivisa” e n. 2 del 2024 “Qualità del lavoro e dei servizi alla persona”, entrambe approvate all’unanimità dall’Assemblea Legislativa Regionale. Con queste norme il legislatore regionale umbro, dopo la pandemia, ha espresso una chiara preferenza per gli strumenti collaborativi in grado di costruire un canale di amministrazione condivisa alternativo al profitto e al mercato e ha costruito un quadro regolatorio favorevole all’innovazione dei servizi di welfare, alla sperimentazione di azioni innovative, al superamento della logica prestazionale e al coinvolgimento attivo dei cittadini. L’applicazione delle recenti leggi regionali può costituire uno degli elementi centrali di una nuova agenda sociale e rappresentare uno degli strumenti a disposizione della nuova Giunta Regionale per invertire la rotta, rimettendo al centro dell’azione pubblica non il mercato e gli interessi delle imprese private che hanno come fine la massimizzazione del profitto ma i bisogni dei cittadini e delle comunità. In questa prospettiva la società civile e gli enti di Terzo settore, collaborando con gli attori pubblici, potranno contribuire al raggiungimento di obiettivi condivisi attivando e aggregando risorse private e della comunità che, insieme alle risorse pubbliche, potranno essere utilizzate per fornire risposte adeguate ai cittadini.
In ambito sanitario gli enti di Terzo settore – come fatto negli ultimi decenni del Novecento – potranno collaborare con il pubblico per innovare la rete dei servizi per la disabilità, le persone anziane e la salute mentale, nel potenziamento della sanità territoriale, nel rafforzamento degli interventi domiciliali e nella realizzazione di Case della Comunità “aperte” e capaci di produrre salute, equità, giustizia sociale e inclusione. In un welfare che punta sulla collaborazione e che vuole potenziare la sanità territoriale e di comunità potrà essere prezioso anche il contributo delle cooperative sociali umbre che hanno fatto la scelta strategica di rimanere legate ai territori in cui sono nate e dove si sono sviluppate a differenza di altre organizzazioni divenute operatori nazionali che gestiscono indifferentemente un servizio educativo in Umbria o un centro per migranti in Albania.
In ambito sociale la società civile e gli enti di Terzo settore possono rafforzare la collaborazione con il pubblico nel contrasto alla povertà che oggi colpisce i più giovani ed è ancora più odiosa che in passato. La povertà ha natura multidimensionale: economica, sociale, educativa, energetica, abitativa. Non è sufficiente trasferire risorse economiche alle famiglie povere, bisogna ricostruire le reti sociali, lavorare con la comunità educante, supportare il reinserimento lavorativo delle persone povere. In questo campo la organizzazioni cattoliche hanno maturato importanti competenze che potranno essere valorizzate in un rapporto sussidiario con gli attori pubblici. Su questo fronte, infine, le comunità energetiche rinnovabili rappresentano un nuovo strumento che, senza costi per il pubblico, potrà generare risorse economiche per il contrasto alla povertà.
Infine l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e svantaggiate. Ci sono in Umbria più 12 mila persone con disabilità in cerca di occupazione, di cui 2.575 hanno meno di 34 anni. Applicando la recente normativa regionale la nuova Giunta potrà realizzare un Piano per l’inclusione lavorativa che, a costo zero per le amministrazioni pubbliche, nei prossimi cinque anni può creare nuove opportunità di lavoro per 1.000 persone con disabilità o svantaggiate migliorando in modo significativo la qualità delle loro vite.
Partecipazione dei cittadini, collaborazione con il Terzo settore, innovazione dei servizi tradizionali, potenziamento della sanità territoriale, contrasto multidimensionale alla povertà, inclusione lavorativa delle persone con disabilità sono i primi punti di un’Agenda sociale per l’Umbria che auspichiamo sarà costruita in modo partecipato e guiderà l’operato del nuovo governo regionale.
Molto interessante. La speranza è che continui il confronto su questi temi e sì realizzino azioni conseguenti