Una galassia celeste
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Il privato ultra-umano

 

Non di sa a quanto ammonterà il trattamento di fine rapporto che Carlos Tavares riceverà da Stellantis, l’azienda produttrice di auto di cui è stato amministratore delegato. La cifra circolata nei principali media in questi giorni è di 100 milioni di euro e al di là del fatto che sarà confermata o meno, offre un parametro verosimile. Cento milioni equivalgono a più di duemila anni di stipendio lordo di un comune mortale. Per accumularli si sarebbe dovuti nascere ai tempi di Cristo ed essere arrivati fin qui.

Si sa invece che un giudice statunitense ha bloccato il superpremio che gli azionisti di Tesla stavano per accordare a Elon Musk, e che sarebbe stato di 56 miliardi di dollari. A quella cifra, guadagnando uno stipendio medio, si sarebbe arrivati oggi solo a patto di avere cominciato a lavorare ai tempi dell’homo erectus, un milione e mezzo di anni fa. Elon Musk è la stessa persona che dispone di un patrimonio così cospicuo da permettergli di organizzare viaggi nello spazio.

Si sa anche che Google monitora gli spostamenti quotidiani di chiunque abbia uno smartphone in tasca, tanto da poterci offrire aggiornamenti in tempo reale della mole di traffico in qualsiasi arteria come e meglio dell’Anas.

Se sapessimo che un qualsiasi stato nazionale disponesse delle posizioni dei suoi cittadini in tempo reale, leggeremmo vibrati editoriali contro il neo Grande fratello e magari assisteremmo a un qualche tipo di rivolta. Ma Google non è uno stato, è un’azienda privata, e quindi per definizione fa le cose a fin di bene. Se sapessimo che un primo ministro o un manager pubblico guadagnassero in uno schiocco di dita quello che un essere umano accumulerebbe solo vivendo per millenni, forse faremmo addirittura la rivoluzione. Ma i primi ministri sono per definizione dei mangiatori a sbafo, invece gli amministratori delegati si prodigano per creare – novelli semidei – ricchezza.

Le politiche aerospaziali hanno a che fare addirittura con la sicurezza degli stati nazionali, e nonostante la gran parte di essi non possa permettersi missioni celesti, accettiamo invece di buon grado che un plurimiliardario organizzi navette in spazi in cui inserire il concetto di privatezza era un ossimoro solo fino a qualche anno fa.

Sfondiamo continuamente nuovi diaframmi nell’affermazione del potere dell’interesse privato, così decantato acriticamente negli ultimi quaranta-cinquant’anni da essersi affermato come principio regolatore. Si tratta dell’accettazione più intima del principio di disuguaglianza, per cui l’interesse di uno sopravanza di fatto quello del resto dei comuni mortali. Lo si fa nella convinzione, ormai incistatasi come una mutazione genetica, che chi persegue il proprio interesse contribuisca anche all’interesse di tutti. Solo che l’interesse privato di chi decide di emigrare viene contrastato aspramente. Mentre quello di un multimiliardario intento a colonizzare anche lo spazio viene salutato come una ventata di progresso. Non è l’interesse privato, è quello del più forte che tuteliamo, coccoliamo, facciamo nostro anche quando diventa ultra-umano, cioè pressoché inconcepibile a una mente normale. Ma abbiamo abbattuto tanti diaframmi da accettare anche l’ultra-umano pur di non disturbare il privato.

Foto da pxhere.com

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