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Benvegnù e De Silva, pesci preziosi nell’oceano del non senso

 

Gli ultimi giorni del 2024 sono coincisi con la fine delle esistenze terrene di due artisti, Paolo Benvegnù e Amleto De Silva (qui una lista dei suoi libri). Un musicista (il primo) e uno scrittore e autore di satira (il secondo) apparentemente distanti, che però hanno molti più punti in comune di quanto si pensi. Le caratteristiche che qui si pensa li accomunino hanno una rilevanza pubblica, per questo vale la pena parlarne evitando biografie che trovate agevolmente in rete e che anzi vi invitiamo a cercare, e necrologi che direbbero poco del grande contributo della loro attitudine all’arte di affrontare il mondo, che è il nucleo fondante delle loro esistenze e dell’eredità che hanno lasciato.

Il punto è che ciò che accomuna Benvegnù e De Silva è l’ostinazione a rimanere liberi. E la libertà cercata non è la posa estetica dell’artista vagamente maledetto, bensì un mezzo per fare della loro arte qualcosa di sensato. La libertà non è quella di diventare personaggi per fare un sacco di soldi, ma quella di poter essere se stessi perché quello è l’unico modo per cantare e scrivere cose di un qualche significato che vada oltre se stessi e le royalties.

Accanto alla parola chiave di maggiore immediatezza, libertà, ce n’è però una seconda: ostinazione. Senza il loro combinato disposto non si apprezza fino in fondo la parabola artistica che accomuna i due. L’ostinazione a non rinunciare a se stessi che li accomuna è la qualità che ha permesso a Benvegnù e De Silva di affrontare il vento contrario di un mercato editoriale e discografico che porta altrove, cioè all’imbellettamento di prodotti fatti apposta per piacere. La ricerca ostinata della libertà si traduce insomma in sostanziale rifiuto della logica di mercato. È qui l’arte di affrontare il mondo difendendo ostinatamente la propria libertà che caratterizza Benvegnù e De Silva produce un frutto eminentemente pubblico.

Il rifiuto della logica di mercato, punto d’arrivo naturale delle due esistenze artistiche di cui stiamo parlando non è, anche qui, la posa estetica o il rifiuto del successo di chi non è in grado di esprimere compiutamente la propria arte e si rifugia nella caverna del genio incompreso. È semmai la rinuncia consapevole all’allargamento a dismisura della superficie cui può essere indirizzato un messaggio vacuo per indirizzare le proprie energie nell’andare in profondità e stabilire così con un pezzo di pubblico di dimensioni più ridotte connessioni però assai più profonde, che lasciano un segno duraturo, in grado di far evolvere percezioni e atteggiamenti.

Ci vogliono talento, amore per la libertà, e la necessaria ostinazione a difenderla per rifiutare le lusinghe degli offerenti che puntano a far soldi con quel talento prezioso trasformandolo in qualcosa di altro, cioè sradicandolo per imbellettarlo in modo che piaccia al pubblico. E ci vuole ostinazione anche per rimanere pesci piccoli e preziosi nella propria diversità in un oceano dominato dai pesci grandi e tutti uguali. La retorica dell’internet che mette tutto a disposizione di tutti è letteralmente demolita da un mercato sempre più concentrato e dominato da grandi che diventano sempre più grandi: nell’oceano che hai a disposizione davanti ai tuoi occhi ciò che vedi sono le balene, non gli scorfani, perché sono sempre di meno le guide che ti dicono che esistono anche gli scorfani, così ti abitui alle balene, perché le vedi subito.

Non sono contro il successo, né Benvegnù né De Silva. Anche perché ne hanno: godono di un pubblico magari ridotto rispetto ai cosiddetti grandi, ma molto più appassionato e cosciente. Il successo, anche in questo caso, è visto come un mezzo per arrivare a più persone ma a patto di conservare la propria voce intatta. Altrimenti si può rimanere più o meno agevolmente dove si è, ma senza rinunciare a se stessi. In uno dei suoi libri De Silva spiega la differenza tra il perdente e il vinto: il primo è quello che introietta dentro di sé le regole di un gioco più grande di lui pur non apprezzandole, anzi addirittura schifandole, magari. Il vinto è colui che si batte contro regole che non riconosce, rispettando le sue di regole, e poi magari è costretto a soccombere: vinto appunto. Benvegnù nel suo ultimo album canta così: «Mi sono sempre domandato come fare per sbarcare il lunario/Oppormi mi è necessario/Alla catena produttiva, industriale e distruttiva/ Così mi sono concentrato seriamente ed ho ascoltato la radio/E in un tripudio di iodio/Pazienti in fila per il mare hanno canzoni da cantare/Scrivere canzoni brutte/Che possano piacere a tutti e tutte».

Ma non faremmo un buon servizio all’arte di Benvegnù e De Silva, e neanche a noi stessi, se li schiacciassimo in una dimensione anche solo vagamente politicista nel senso più deteriore del termine: loro sono semmai politici nel senso più alto. Benvegnù canta la radicalità della condizione umana mille volte: «Tutto resta uguale e i nostri occhi annoiati e semispenti/Non si accorgono che il sole ci riscalda tutti», oppure: «E fermarsi un istante per considerare/che il respiro è un dettaglio che ci rende uguali». De Silva scrive della disperazione in maniera profondamente leggera: «A Salerno, rimanere sotto, a qualcosa o a qualcuno, non era affatto un’espressione figurata. Significava che qualcosa, o qualcuno, ti aveva colpito nel bene o nel male, ma sarebbe più onesto dire nel male, da travolgerti, come avrebbe fatto un autobus. Solo che, quando rimanevi sotto, l’autobus mica se ne andava. L’autista tirava il freno a mano, faceva scendere, se ce n’erano, i passeggeri, chiudeva bene le portiere e se ne andava. Così. Lasciandoti lì, con un autobus parcheggiato sopra».

L’ostinazione a rimanere liberi a Benvegnù e De Silva serve a cantare e scrivere cose che vadano più in profondità del là-là-là di un’estate o di un libro scritto apposta per essere pubblicato a Natale. La libertà che difendono ostinatamente è una possibilità in più per tentare di decifrare l’umano: è allargamento dello spettro della biodiversità, caratteristica fondamentale per l’evoluzione. Il loro essere politici consiste nell’offrirci l’esempio di un approccio volto a difendere l’essenziale per rimanere umani, e a perseguire la propria via al di là delle sirene che ci comprerebbero l’anima. La loro arte, così strenuamente difesa, è l’invito costante a cercare strade nuove e a non fidarsi dell’oceano che ci vuole tutti uguali. Così diventano politici nel senso più evolutivo del termine in questi tempi devastati da inerzia e conformismo: invitando a cercare di più e meglio laddove quello che c’è non basta più.

Foto da needpix.com

5 commenti su “Benvegnù e De Silva, pesci preziosi nell’oceano del non senso

  1. Come sempre, i tuoi articoli hanno il pregio di segnare un sentiero nuovo da percorrere per guardare le cose e le persone da un punto di vista che ne illumina aspetti tralasciati dai più. Grazie

  2. A volte ricordare qualcuno che se ne è andato equivale a farlo conoscere come nuovo. Di nuovo. Grazie

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