La corona del re di Baviera
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Le dinastie del potere economico che si fa politico

 

Ci sono storie che vanno molto al di là delle persone che si trovano a interpretarle, travalicano i nomi – e soprattutto i cognomi – che quelle persone portano. Sono storie che assomigliano a un gomitolo aggrovigliato attorno a una lampadina accesa: una volta che riesci a dipanarlo la luce si libera e permette di vedere le cose intorno in maniera più chiara. La storia che parte da Paola Agabiti è una di quelle. La vicenda della consigliera regionale ed ex assessora della Giunta Tesei che nelle elezioni di metà novembre è stata rieletta a Palazzo Cesaroni con un bottino di voti più che raddoppiato rispetto al 2019 dopo il passaggio da una lista civica al partito di Fratelli d’Italia, ci consente di inarcare una parabola lunga tre decenni, che abbraccia due sponde di un oceano, e che soprattutto illumina alcuni dei meccanismi di funzionamento dei poteri e del rapporto tra di essi.

La storia di Agabiti è così straordinariamente somigliante a un’altra storia da sembrare un déjà vu.

Il calendario va portato indietro di più di trentaquattro anni. Al 29 giugno 1990. È il giorno in cui Ada Spadoni diventa sindaca di Scheggino. Spadoni è sposata con Bruno Urbani, discendente della dinastia di commercianti di tartufi che nella bassa Valnerina ha il suo centro di gravità. Dal marito Ada prende il cognome, che aggiunge al suo trasformandosi in Ada Spadoni Urbani. Ventiquattro anni dopo, nel maggio 2014, Paola Agabiti viene eletta a sua volta sindaca dello stesso piccolo centro sulle sponde del Nera. Anche lei ha sposato un Urbani: Giammarco, figlio di Bruno e Ada. E anche lei dal marito mutua il cognome, che aggiunge al suo diventando Paola Agabiti Urbani. Le somiglianze tra suocera e nuora non finiscono qui: come fece Ada nel 1995, anche Paola si dimetterà da sindaca durante il secondo mandato da sindaca poiché nel frattempo sarà stata eletta in Consiglio regionale. E come Ada, anche lei verrà rieletta una seconda volta nell’assemblea di Palazzo Cesaroni. Cambiano i partiti, la Democrazia cristiana prima e Forza Italia dopo per Ada; liste civiche prima e Fratelli d’Italia poi per Paola. Come a simboleggiare lo slittamento a destra che c’è stato in questo arco di tempo nell’assetto politico generale. Ma questo è un altro discorso.

La Urbani tartufi srl, di cui il marito di Ada Spadoni è stato e di cui il marito di Paola Agabiti è oggi amministratore delegato, è una delle più grandi aziende del settore. Conta centinaia di collaboratori, esporta in decine di paesi e ha sedi anche negli Stati uniti. Il fatturato annuo si aggira tra i settanta e gli ottanta milioni. È una piccola potenza economica, insomma. Se la storia di Ada non fosse stata duplicata in maniera così fedele dalla nuora, o se a Paola non fosse anteceduta la suocera, avremmo potuto pensare a una donna ricca con la passione per la politica. Ma qui le donne sono due. E la perfetta coincidenza delle loro vicende pubbliche fa riflettere su un altro tipo di fenomeno: l’entrismo del potere economico su quello politico. Da questo momento le vicende di Paola Agabiti e Ada Spadoni cessano di essere le storie personali di due donne appartenenti alla stessa potente famiglia per diventare una sorta di paradigma di accadimenti in cui la piccola Umbria si colloca perfettamente sulla scia di una tendenza planetaria. Anzi, la anticipa.

Quando Ada Spadoni Urbani porta il suo potente cognome acquisito sullo scranno più alto del Comune di Scheggino, Silvio Berlusconi è ancora solo un imprenditore. Ci vorranno quattro anni perché, venuti meno i riferimenti politici su cui poteva contare – anzi, venuto giù un intero ordine mondiale – il capo di Mediaset decida di farsi esso stesso capo politico. Gli Urbani nella loro Scheggino e nella piccola Umbria sono stati in un certo senso antesignani della disintermediazione tra economia e politica che Berlusconi ha amplificato a livello nazionale e reso sistema di governo. Gli Urbani sono stati tra i primi a lavorare affinché una persona di una famiglia già potentissima a livello economico arrivasse direttamente all’interno delle istituzioni rappresentative. E una volta terminato il primo ciclo (Ada Spadoni), hanno fatto in modo che ne iniziasse un altro (Paola Agabiti). In entrambi i casi marcando l’operazione con l’aggiunta del cognome, come a simboleggiare una sorta di marchio di fabbrica.

Sì, in questi ultimi cinque anni di consiliatura regionale in cui Paola Agabiti è stata assessora, la Urbani tartufi srl è stata beneficiaria dell’erogazione di 5 milioni. Ma la questione travalica di molto i soldi, tutti peraltro percepiti legittimamente. Ci racconta semmai di un potere economico che giudica insoddisfacente, quando non addirittura inutile, la mediazione politica da voler farsi politica esso stesso. Vista da un altro versante, questa storia descrive anche una debolezza del potere politico e una parallela caduta di anticorpi sociali che portano il potere economico a dismettere anche quel velo di pudore che prima consigliava di saper vincere e che adesso invece punta risolutamente a prendersi tutto il banco.

Il processo di fagocitazione della sfera politica da parte di quella degli interessi economici dei più forti, prima favorito dai processi di globalizzazione che hanno reso anacronistici, cioè inadeguati a porre argini, gli stati nazionali, oggi è arrivato al punto in cui un plurimiliardario (Donald Trump) decide di scalare, riuscendoci, il potere politico della maggiore potenza al mondo e chiama a sé come consigliere un altro plurimiliardario (Elon Musk) che dispone di tante risorse da potersi permettere viaggi nello spazio, cosa che la stragrande maggioranza degli stati nazionali sul pianeta Terra non può permettersi. Si tratta di un evento inimmaginabile anche solo qualche decina d’anni fa, che consente oggi la saldatura nelle stesse persone fisiche del potere pubblico e di diritto al potere privato e di fatto che già detenevano. Una sorta di salto all’indietro verso qualcosa che somiglia a una monarchia più assoluta che costituzionale, per certi versi. Non è una questione di rimpianto dei bei tempi andati, ma di presa di consapevolezza degli assetti di potere contemporanei. Ecco come da Scheggino si arriva a Washington, per usare un’iperbole, ma neanche poi tanto. Ed ecco perché Paola Agabiti è solo il punto di partenza di una storia molto più grande.

L’impulso del potere economico a farsi politica peraltro, non è una caratteristica propria solo degli Urbani, in Umbria. Ada, che da sindaca diventò consigliera regionale, riuscì a farsi anche senatrice. Successe nel 2008. In seguito alle elezioni politiche di quell’anno entrò alla Camera, il secondo ramo del Parlamento, un altro personaggio umbro che – benché non appartenente alla stessa famiglia – possiamo considerare emissario diretto di un potere economico. Quando infatti Rocco Girlanda riuscì a diventare deputato nelle file dello stesso partito di Ada Spadoni Urbani – che poi era quello di Silvio Berlusconi, il disintermediatore per eccellenza tra potere economico e potere politico – era ancora amministratore delegato del gruppo che editava il Corriere dell’Umbria, che era a sua volta controllato dalle Cementerie Barbetti di Gubbio. In precedenza, lo stesso Girlanda, aveva ricoperto il ruolo di responsabile per le relazioni esterne ed istituzionali di quel gruppo. Difficile ritenere che una volta eletto non mantenesse rapporti coi suoi vecchi datori di lavoro per i quali aveva già ricoperto ruoli apicali; così come è difficile resistere alla tentazione di non immaginare che la mossa sia stata escogitata proprio in accordo con i datori di lavoro per assicurare loro una sorta di rappresentante all’interno delle istituzioni.

A Gubbio c’è un’altra dinastia di cementieri oltre ai Barbetti: è quella dei Colaiacovo. Tra le due famiglie c’è una sorta di tenzone, come si direbbe con un rimando al Medioevo che emerge spontaneo, vista la cittadina che fa da teatro alle vicende e viste alcune curiose caratteristiche di questa sfida carsica e infinita. Basti pensare che poco dopo l’acquisto del Corriere dell’Umbria da parte dei Barbetti, i Colaiacovo acquistano a loro volta il Giornale dell’Umbria, e poco dopo la vendita del Corriere da parte primi, anche i secondi abbandonano al proprio destino il loro quotidiano. Bene, se dal 2008 i Barbetti potevano contare su un loro uomo di fiducia all’interno delle istituzioni, che addirittura per un anno – dal 2013 al 2014 – è riuscito a ricoprire addirittura il ruolo di sottosegretario, dal 2015 al 2020 a Palazzo Cesaroni ha seduto Andrea Smacchi, che quando venne eletto nelle file del Pd in Consiglio regionale era Corporate risk manager di Colacem, l’impresa della famiglia Colaiacovo, e oggi lavora per la Grifo Insurance Brokers, controllata da Financo, la holding della famiglia Colaiacovo.

Non siamo a Trump e Musk, ma la linea di evoluzione è quella: il potere economico che, più o meno direttamente, si fa politico. E il potere politico che arretra fino a diventare complementare di quello economico, quando va bene. Questo è il punto, al di là dei nomi, dei cognomi, delle disfide dal sapore più o meno antico e degli interessi più o meno grandi contenuti in queste storie. La questione rilevante davvero semmai, è che tutto questo ha a che fare con la qualità di quella che chiamiamo democrazia.

Foto da wikimedia commons

Articolo pubblicato sul numero del mensile micropolis uscito allegato al manifesto del 5/1/25

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