A Terni l’11 gennaio scorso, in occasione dell’anniversario della morte di Fabrizio De André, diverse decine di persone si sono date appuntamento presso la scalinata del liceo classico cittadino per quella che è stata definita una «cantata popolare» in memoria del cantautore scomparso nell’ultimo anno del secolo scorso.
L’elemento che innesca l’attenzione è senz’altro quello quantitativo: l’appuntamento era sulla scalinata del liceo classico, come detto, ma le persone arrivate sono state talmente tante che la folla ha tracimato nell’antistante via Fratti fino a occuparla pressoché in tutta la sua larghezza. Già di per sé questa è una notizia: De André è scomparso 26 anni fa, e una cosa del genere non si era mai vista in città fino a sabato scorso. La rilevanza quantitativa dell’evento lo riveste di una pubblicità che gli conferisce a sua volta anche una qualità sulla quale si può appuntare qualche nota.
1) Si è assistito a una (ri)appropriazione di uno spazio pubblico per una questione pubblica che esulava dall’acquisto o dal consumo di qualche merce. 2) Le persone non si trovavano lì per caso o perché richiamate da un’attività da svolgere a coppie o in piccoli gruppi accomunati solo dall’ora nella quale si svolge la medesima attività. No. Erano lì proprio per svolgere insieme a tutti gli altri convenuti in quello stesso momento la stessa cosa, che non avrebbe avuto lo stesso senso se svolta a coppie o a piccoli gruppi, come se fosse stato un aperitivo, per capirci. 3) Le persone non sono arrivate in quel luogo per assistere, ma per partecipare: non era un concerto, ma una cantata collettiva. 4) Quello che è successo non è stata la conseguenza di un qualche tipo di convocazione da parte di un qualche tipo di ente (partiti, associazioni e simili): è stata una autoconvocazione nel senso più genuino del termine, nata in seno a un gruppo informale e cresciuta grazie al passaggio di voce in voce.
Quelli appena elencati sono già di per sé fattori che rendono la cosa meritevole di attenzione, e quindi da isolare per distinguerla dal mare di notizie più o meno inutili che ci ingolfano occhi e teste. Ma ci sono almeno altre due carte da scoprire, una la potremmo definire generale, l’altra è locale. Partiamo dalla prima, quella generale.
Andiamo sostenendo da tempo che le forme di partecipazione stanno grandemente mutando rispetto al Novecento, ma che di ciò non ci si rende pubblicamente conto perché la gran parte di chi ha diritto di parola nel dibattito pubblico si è formata ed è cresciuta nel Novecento stesso, quando ancora cioè i partiti non si erano gassificati e l’associazionismo era composto principalmente da emanazioni locali di grandi centrali nazionali per lo più riferentisi agli stessi partiti pre-gassificazione. Il gioco di specchi tra politica e informazione novecentesche fa sì che prosegua inerzialmente il racconto di un certo tipo di realtà che è però del tutto sovradimensionata rispetto alla vita reale: tant’è vero che sia la politica che l’informazione che la racconta sono in crisi verticale. Oggi sperimentazione, innovazione, tentativi di risposta a cambiamenti epocali e a bisogni sociali sono molto più al di fuori delle istituzioni che al loro interno. Il carattere del tutto informale dell’autoconvocazione di un evento pubblico in uno spazio pubblico che si è registrato a Terni si colloca all’interno di una cornice del genere.
La seconda questione è di rilievo locale e riguarda proprio Terni. Si tratta di una città che offre in purezza l’esempio di un luogo in cui la cosa pubblica, nel progressivo svuotamento delle centrali novecentesche, ha subìto in questi anni di grande trasformazione una poderosa torsione privatistica. In questo senso c’è un sindaco-metafora in città. Uno cioè che deve la sua fortuna elettorale all’aver promesso di essere l’uomo della provvidenza a una città prima piagata e successivamente piegata su se stessa. Che decine, forse centinaia di persone, si siano autoconvocate in uno spazio pubblico per cantare De André – che la provvidenza la cantava al contrario – facendo diventare quello spazio comune, è una notizia nella notizia.
Significa forse, tutto questo, che Terni è pronta per sperimentare una riedizione della Comune di Parigi? Significa che la città è pronta per liberarsi del privatismo asfissiante per sperimentare nuove forme di comune? Solo dei formidabili semplificatori sganciati dalla realtà, o dei caricaturisti interessati, potrebbero sostenerlo. Quello che è successo a Terni sabato 11 gennaio davanti al liceo classico è semmai indice di due fattori. Il primo è che la realtà va molto al di là di come viene descritta in maniera maggioritaria; il secondo è che ci sono semi che possono posarsi, e che se dovessero trovare terreno favorevole potrebbero germogliare. Per tornare agli stati di materia, se le grandi centrali novecentesche si sono gassificate spesso perdendo il senso di sé, la realtà si è fatta a sua volta così liquida che è difficile rinvenirne la forma, e occorre cercare di fare attenzione a quelle che prende di volta in volta. Le forme definite, levigate e stratificate come ce le aveva fatte intendere il Novecento, sono rimaste un secolo indietro. Oggi occorre cercare quelle nuove, e non avendo un codice collaudato per interpretarle occorre sforzarsi, a costo di sbagliare.
Occorre sforzarsi a costo di sbagliare.CONDIVIDO
Molto interessante. Commento molto utile e bello. Complimenti!