Il 13 dicembre 2024 Terni Reti, la società deputata a gestire la procedura d’appalto per la concessione della distribuzione del gas nella provincia dell’Umbria meridionale, ha inviato ai sindaci dei 33 comuni che fanno parte di quell’ambito territoriale una lettera in cui, oltre a chiedere la documentazione per apprestare la gara, ha sollecitato «l’eventuale manifestazione di volontà (non vincolante) all’alienazione degli impianti di proprietà comunale» (corsivo nostro).
La questione del gas, riassunta ai minimi termini, funziona così: l’Umbria, come tutte le altre regioni d’Italia, è divisa in ambiti territoriali (in questa regione sono tre) che affidano le reti di distribuzione di loro proprietà a un player nazionale il quale, in cambio di un canone riconosciuto alla stazione appaltante che ne è proprietaria, gestisce la rete traendo profitto dalla vendita della materia ai fornitori, cioè ai soggetti cui materialmente noi utenti paghiamo la bolletta.
La faccenda è una di quelle di cui si parla assai poco ma che al tempo stesso riveste una notevolissima importanza, se non altro dal punto di vista dei soldi che le circolano attorno. Umbria Distribuzione Gas, la società che vede uniti due colossi del settore (Italgas e Acea) e che ha in appalto la gestione della rete nel solo comune di Terni, ricava oltre 5 milioni l’anno dal business. Se si fa riferimento al fatto che le utenze nel comune capoluogo dell’Umbria del sud costituiscono circa il dieci per cento del totale regionale, si capisce come il giro d’affari complessivo è di circa 50 milioni l’anno.
A meno di un mese dal ricevimento della lettera, la maggioranza del Consiglio comunale di Terni ha dato l’ok alla vendita. Se gli altri comuni dell’ambito seguissero il capoluogo e si desse seguito alla decisione, la prossima gara bandita da Terni Reti non sarebbe per l’affidamento in concessione della rete, ma per la vendita della stessa tout court. I pareri espressi in questa fase dalle assemblee municipali non sono vincolanti. Ma nonostante l’accento su questa caratteristica, la solerzia con la quale essa è stata sottolineata tanto nella lettera di Terni Reti quanto nella nota emessa da Palazzo Spada, unita a qualche incongruenza emersa nel corso dei mesi scorsi, danno adito a un quadro da mettere bene a fuoco. Conviene andare con ordine.
L’8 gennaio scorso, in occasione della discussione in Consiglio e del successivo voto favorevole della sua maggioranza alla vendita della rete del gas, il sindaco Stefano Bandecchi ha avuto modo di dire che« Terni Reti oggi sta in piedi per miracolo solo grazie alla mia bravura, se non avessi chiuso certi accordi la società sarebbe già fallita». Essendo Terni Reti la società che gestisce la rete del gas in città, è evidente come le parole del sindaco abbiano suonato come una perorazione della vendita della rete stessa, giudicata una palla al piede, visto che la società che ne detiene la gestione per conto del Comune sarebbe sull’orlo del fallimento. Qui si rileva una prima incongruenza, perché solo il 29 maggio dell’anno scorso, nella relazione sulla gestione dell’esercizio 2023, l’amministratore unico di Terni Reti Alessandro Campi, prima candidato nella lista di Alternativa popolare (il partito di Bandecchi) e poi nominato a capo dell’azienda dallo stesso sindaco non appena vinte le elezioni del 2023, aveva sottolinato l’aumento dell’utile netto della società da uno a quasi cinque milioni e che, inoltre, «depurando il conto economico dalle poste attive e passive dirette relative alla Rete Gas, la società continua a trovarsi in condizioni di equilibrio economico-finanziario». Ma a questo punto occorre fare un passo indietro per illustrare l’origine delle criticità di Terni Reti, che stanno nei rapporti tormentati tra l’azienda comunale che rappresenta la proprietà della rete, e Umbria Distribuzione Gas, la società che la gestisce.
Innanzitutto va rilevato che lo stesso Campi, riguardo ai contenziosi di cui sono protagoniste la sua società e quella costituita dall’unione tra Italgas e Acea, parla di «incaglio temporaneo». Dal 2020 Umbria Distribuzione Gas ha smesso di pagare i canoni di concessione che ammontavano a oltre 11,4 milioni nel 2023, circa 2,8 milioni l’anno. L’accumulo dell’insolvenza è dovuto al fatto che, essendo scaduta la concessione alla fine del 2019, Umbria Distribuzione Gas ha cominciato a rilevare una serie di criticità, dapprima sostenendo che in mancanza di un contratto “in vigenza” i canoni si dovessero considerare in qualche modo congelati, poi chiedendo una revisione al ribasso degli stessi. Dal mancato incasso di una cifra così ingente, probabilmente, deriva la considerazione del sindaco secondo il quale Terni Reti dovrebbe considerarsi «fallita». Sta di fatto che ci sono un paio di particolari che gettano sulla vicenda una luce diversa da quella con cui la colora Bandecchi. Il primo: c’è una sentenza del Tribunale civile di Verona risalente al settembre 2023 che stabilisce che i canoni sono comunque dovuti dal concessionario al proprietario anche a concessione scaduta. Ciò salvaguarda il diritto di Terni Reti a riscuotere. Per quanto riguarda il secondo particolare, occorre tornare alle parole contenute nella relazione di bilancio 2023 sottoscritte dall’amministratore unico di Terni Reti. In quel documento Campi parlava di «crediti di natura ricorrente (nei confronti di Umbria Distribuzione Gas, ndr) per una maturazione stimata pari a circa euro 3,5 milioni annui». In un altro passo di quel documento, si dava conto del fatto che Umbria Distribuzione Gas aveva proposto, nell’ambito di una proposta di acquisto della rete, un riconoscimento del canone per il 2023 di 2,5 milioni. Insomma, il canone di concessione annuo per la gestione della rete del gas a Terni più o meno riconosciuto da entrambe le parti balla tra i 2,5 e i 3,5 milioni. E qui si arriva al cuore del secondo particolare. Perché a pochi mesi da quel maggio 2024 in cui Campi snocciolava questo tipo di cifre, lo stesso amministratore unico di Terni Reti nominato da Bandecchi, nella relazione sullo stato di avanzamento della procedura di gara per la concessione della rete del gas, nel novembre successivo, sosteneva che il corrispettivo annuale che ci si sarebbe potuto aspettare a partire dal 2028 avrebbe oscillato intorno al milione annuo. Si trattava di un sostanziale sprone a dare il via libera alla vendita, cui si sono in un certo senso sovrapposte le parole di Bandecchi su Terni Reti «società fallita». Insomma: se la società è così drammaticamente in difficoltà (Bandecchi) e i canoni di concessione sono destinati ad assottigliarsi (Campi), tanto vale vendere.
Le incongruenze rilevate fin qui vanno a sommarsi con un’altra criticità: privarsi della proprietà della rete del gas è un atto che in qualche modo menoma in modo permanente l’ente Comune (e con esso l’intero ambito) di cui l’attuale Giunta è amministratrice pro-tempore. Se per di più le cifre ballano in maniera così aleatoria, la cautela sarebbe d’obbligo. Mantenendo la proprietà della rete il Comune e l’intero ambito continuerebbero ad essere in grado di trattare con i concessionari in sede di predisposizione della gara: sviluppo della rete, ricerca di soluzioni innovative, compensazioni varie potrebbero entrare nel capitolato della gara poiché la stazione appaltante manterrebbe un potere contrattuale che con la vendita invece svanirebbe. E c’è anche di più: un’amministrazione con un certo tipo di sensibilità potrebbe trasformare i canoni incassati in una forma di redistribuzione del reddito a favore delle fasce più fragili della popolazione, arrivando persino a garantire una gratuità del servizio in alcuni casi, che equivarrebbe al riconoscimento sostanziale di un diritto che spesso si ferma sulla carta. Si tratta di argomenti che valgono per tutti gli ambiti territoriali, dell’Umbria e non solo. La tentazione di vendere per fare cassa da parte di Comuni sempre più accecati dai tagli è grande. Solo che a forza di vendere ci si viene a privare delle leve per amministrare decentemente, si riducono cioè gli enti locali a gestire l’esistente, si perde del tutto l’anelito a cambiare quello che si pensa che non vada. E si delega quella funzione a colossi privati sempre più potenti. Ma il verso da imprimere al cambiamento, a quel punto, lo decidono loro.