L’eterogenesi dei fini sembra aver ingurgitato anche l’ultima delle briciole lasciate dal crollo del muro di Berlino. Quel muro che nelle intenzioni dei suoi costruttori si voleva antifascista e barriera fisica invalicabile necessaria a proteggere il radioso socialismo che avrebbe dovuto essere dal funereo capitalismo che è stato, è e sarà, oggi, a più di trent’anni dal suo venir meno, è più presente che mai a giudicare dai risultati emersi dalle elezioni tedesche. Una fotografia che presenta due Paesi in uno, con l’area metropolitana di Berlino che sembrerebbe essere enclave di entrambe le parti, un mondo a sé seppur non parallelo. L’euforia con cui l’Occidente ha celebrato quel crollo a simbolo plastico della definitiva vittoria sulle velleità rivoluzionarie del 1917 ricondotte a ragione molto tempo prima dall’interno dell’Unione Sovietica stessa, la promessa certa di un futuro finalmente caratterizzato dal benessere e dalla libertà per la “gente dell’est”, sembrano oggi infrangersi contro il duro della realtà, quell’euforia e quelle promesse appaiono come chimere che non contemplano alcun diritto di tripudio, ma fanno carta straccia del desiderio divenuto una volta per tutte mera illusione. Prima però di dar peso ai risultati usciti dalle urne, non si può non prender positivamente atto dell’alta affluenza, ben sopra all’ottanta per cento degli aventi diritto, che ha caratterizzato questa tornata elettorale, che unita al sistema tedesco sostanzialmente “a maggioranza” proporzionale ha ridato alla Germania, all’Europa e al mondo intero una vera e propria boccata d’aria democratica. Sia in termini assoluti, ma soprattutto se paragonata alla tendenza emersa nelle ultime elezioni, tutte con sistema più o meno maggioritario, di Usa, Italia, Gran Bretagna e Francia dove i votanti hanno oscillato tra il 60 per cento e il 67 per cento. La democrazia, prima di ogni risultato, è forte se partecipata e se alla partecipazione corrisponde una ripartizione equa (proporzionale) dei voti in termini di seggi. Al di là di presunte o reali ingerenze esterne, siano esse indotte dal terribile zar che rincorre la grande Russia, siano esse agitate dagli eclettici miliardari americani che reclamano una grande America, per quanto coincidenti negli intenti, una così alta affluenza non può che esser vista come sintomo di salute a prescindere.
Detto questo proviamo a dare contezza della volontà espressa dagli elettori.
I primi due partiti risultano essere gli stessi, ma a parti invertite: nell’est l’AfD quasi doppia la CDU/CSU (36,2 per cento contro 18,9 per cento), mentre nell’ovest la CDU/CSU è saldamente prima con l’SPD a un passo dall’AfD (30,9 per cento, 18 per cento, 17,6 per cento). Quel muro antifascista che oggi non ha fisicità sembra aver visto un cambio di campo, con l’est che alimenta il soffio del Reich che fu con la sua portata di discrimine, e l’ovest che prova a non cedere a tale ingerenza, seppur affascinato dalle richieste di intolleranza da riversare in particolare sui non tedeschi, siano essi migranti economici non funzionali, siano essi richiedenti asilo. Poco importa la natura dell’accoglienza, quello che oggi unisce in maniera preoccupante est e ovest e che attraversa trasversalmente i partiti maggiori tedeschi è il desiderio non di regolamentare, ma di porre un limite all’accoglienza sia in termini qualitativi che quantitativi.
Il grido di disperazione, principalmente per una condizione economica non soddisfacente e ben lontana dal mirabolante promettere che accompagnò lo sbriciolarsi del muro, il grido di aiuto, in particolare per una protezione sociale venuta meno e per un diritto alla sussistenza demonizzato in nome di una efficienza prestazionale dovuta alla lubrificazione del sistema, abilmente sfruttati dalla destra estrema e declinati dalla destra moderata (e non solo) non in termini di un welfare capillare e inclusivo, ma in equazioni di esclusione discriminatoria e restrittiva. Meglio prendersela con chi attenta al benessere patriottico con la sua sola presenza fisica da straniero indesiderato, piuttosto che pensare alla redistribuzione allargata del benessere generato. Per tradurla nel farsesco italico cioè: giù le mani dal tacco 12 della Santanchè e dall’accumulo più o meno lecito chiamato diritto alla ricchezza e lotta senza quartiere alla disperazione umana che non ha nazione.
Discorso a parte per l’area metropolitana di Berlino, dove primo partito risulta essere la Linke con il suo 20 per cento figlio di una nuova generazione in cerca di uno spazio politico in opposizione tanto al rancore patriottico di AfD, quanto a una parte significativa dei partiti tradizionali così accomodanti verso la richiesta di ordine. Una Linke non più semplice erede degli ex comunisti dell’est, non più vittima dei personalismi ondivaghi e populisti della sua ex portavoce Sahra Wagenknecht, ma una Linke che tenta, pur mantenendo la sua forza nella richiesta di equità dell’est, di inserirsi nella modernità contraddittoria dell’ovest, unico partito ad avere una sorta di equità distributiva (seppur asimmetrica 11,8 est 7,6 ovest) tra le due Germanie, unica a non soffrire troppo l’invisibile ingerenza del muro che fu.
Al di là del muro che c’è ma non si vede il cancelliere sarà Merz e la sua una coalizione a due con la SPD, con il chiaro tentativo di riconquistare e riportare al centro tanto i voti della destra (da AfD a CDU/CSU), quanto quelli della sinistra (da Linke, BSW e Grunen a SPD). Il compito non sarà così semplice e comunque non certo di rosee prospettive nel vederlo da sinistra, dato che: l’ombra dell’AfD potrebbe di fatto condizionare in maniera pesante il governo che verrà; la sproporzione tra le due forze al governo è evidente; una SPD al minimo storico dovrebbe ritrovare le sue ragioni d’essere non in una politica di sinistra attentata alle questioni sociali, ma in una mediazione centrista succube degli accordi di potere. Insomma al di qua del muro che c’è ma non si vede, tranne l’alta partecipazione e un sistema elettorale “garantista”, le luci sono decisamente minori delle ombre e le preoccupazioni di ciò che sarà di certo maggiori degli orizzonti che potranno essere.
Un’ultima annotazione interna che rende ancor più complicata la questione è data dall’affinità tra le proposte elettorali presentate dai partiti, un’affinità alta tra le forze progressiste dall’SPD alla Linke passando per i Grunen e finanche la BSW e tra CDU/CSU e FDP e AfD, media se non bassa tra CDU/CSU e SPD e Grunen. Se l’alleanza tra CDU/CSU e SPD è presentata come un argine da contrapporre all’AfD, molti sintomi ci indicano come il governo tedesco possa in realtà trasformarsi in una vera pietra tombale per una prospettiva progressista compiuta. D’altronde, se quando governa la sinistra in ogni dove finisce con il perpetrare istanze di centro se non di destra, non ci si può aspettare altro da quello che potrà accadere nella Germania che seppur unica continua a essere divisa in due. A margine, ma non certo marginale, la centralità della Germania nel dover ridefinire in nome e per conto dell’Europa i rapporti con il disegno panamericano di Trump e Musk, le velleità pseudoimperiali di Putin e la forza logistico/industriale/economica di Xi Jinping.