Il pianeta Terra
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La democrazia delle spalle al muro

 

Non sarò neanche tanto stupido da credere che il mondo possa crescere se non parto da me” (Costume da torero, Brunori Sas)

Non c’è critica più alta dell’autocritica, non c’è messa in discussione dell’esistente più consona di quella che parte da se stessi, non c’è democrazia più viva di quella che si interroga sui propri limiti, non c’è umanità più umana di quella che comprende invece di demonizzare e pratica uguaglianza piuttosto che discriminare. Cosa ci sia di tutto ciò negli Stati uniti che vogliono tornare grandi piantando bandierine a stelle e strisce in ogni dove, valicando i ristretti limiti della terra per assaltare il sistema spazio; cosa possa trovarsi di tutto ciò nella rete di sovranisti europei intenti a rivendicare orgogliosi il patriottismo nazionale e di conseguenza fare macerie della sovranità allargata europea è facile a dirsi: nulla, ma proprio nulla.

La torsione autoritaria delle democrazie d’Europa e d’America, generata dalla ciclicità variegata delle crisi economiche la cui soluzione sta sempre nell’aumento della produttività a colpi di presunto merito e robotica performanza a discapito di un sistema certo di tutele e diritti, è sotto gli occhi di tutti. E le guerre che da periferiche si sono fatte interne al cortile di casa (per l’Europa non certo per gli Usa) hanno fatto da ceralacca, sigillo a mo’ di sentenza definitiva che non prevede appello né terzo grado. Una involuzione che ha trasformato la garanzia in prestanza, la forza in dominio e la debolezza in vergogna. Una regressione che affonda la propria legittimità nella volontà popolare, nell’esercizio del voto che al di là dell’affluenza in picchiata e dei sistemi elettorali per lo più maggioritari continua a essere il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Oggi cioè la democrazia in quanto sistema a sovranità popolare non deve dare conto a nessuno, non deve giudicare la qualità delle proprie azioni che sono appropriate a prescindere perché democratiche e perché contrapposte a quelle autocrazie che alcuni vogliono democrature, che sono inique nei presupposti.

Una democrazia che smette di interrogarsi su se stessa, che si autoproclama imperfettibile al di là del suo agire, dovrebbe creare dei brividi di freddo lungo la schiena di ciascun democratico, e invece la paura del nemico – che assume forme e contenuti diversi a seconda del bisogno e che secondo quel bisogno viene definito e caricaturato – funge da chiave universale che tutto giustifica e tutto legittima. E così ci siamo ritrovati crisi dopo crisi e guerra dopo guerra con Musk e Trump, con Orban e Meloni e chissà con chi altro nell’immediatezza di un futuro che puzza di presente a portare alta la bandiera dei valori occidentali (quali valori? Quale occidente?) che devono essere sacri e indiscutibili. Ogni crisi e ogni guerra ovviamente ha visto il contributo fattivo di chi, nei sistemi a democrazia avanzata, avrebbe dovuto costituire un’alternativa concreta alla rete dei sovranisti, alternativa mancata ieri e che oggi sembrerebbe volersi (ri)organizzare sul terreno liscio del realismo più realista del re. Un’alternativa che fa del riarmo generalizzato opzione concreta, del contenimento delle migrazioni punto inevitabile, dei diritti nel lavoro (salario e garanzie) e dalle tutele dal lavoro (reddito di base) e del welfare pubblico e universale (salute e cura su tutto) vittime sacrificabili.

Il problema è duplice: esterno alla democrazia e interno alla stessa; il problema è bifido: la forza attuale dei sovranisti che è debolezza cronica dei loro avversari; il problema è la soluzione nel senso che ci si difende dagli altri invece di difendersi da se stessi. L’Europa invocata da Michele Serra è figlia di questo stato di cose, è un’alternativa estemporanea che si vuole costruire di fronte alla conclamazione del franare irreversibile, è tattica dal fiato corto che rinuncia, di fronte all’ingerenza dell’emergenza, alla visione strategica, è resa che si racconta come resistenza, è alternativa brutta copia dell’esistente.

Prima o poi la vulgata sovranista finirà per debolezza interna costitutiva, perché ci sarà un sovranista che vorrà dimostrare di essere più sovranista dell’altro e non potrà che farlo con l’uso della forza a danno dell’altro più debole. Prima che tutto ciò accada però verosimilmente, a giudicare dall’andamento delle cose, la sinistra sarà sempre meno sinistra o se preferite i progressisti sempre meno progressisti. Questo impero che non vede altro da sé ingloba in un vortice indistinto tutto e il suo contrario, fa della potenza militare il baricentro senza alternativa, della democrazia feticcio vuoto che giustifica ogni cosa e dell’autocrazia altrui legittimazione sublime.

L’Europa, come costruzione complessa di differenze a volte anche contrastanti, si fa nelle urne, grazie anche alla democraticità del sistema elettorale; l’Europa, come entità compiuta libera e autonoma, si fa cedendo sovranità nazionali in cambio di coesione sociale, identità politica, progressività fiscale e sistema di difesa unico; l’Europa, come federazione di stati aperta al mondo si costruisce uscendo dalla storica sottomissione verso gli Usa (politica e militare) e rendendo stabili i canali diplomatici con il resto del mondo che include tanto la Cina quanto la Russia e quanti altri paesi canaglia ancora.

Pensare di risolvere la questione restando nei rapporti di dominio attuali che altro non sono se non sottomissione edulcorata alla legge del più armato, lo era ieri nell’adesione supina alla crociata salvifica di Biden quanto oggi nell’accettazione della democrazia delle spalle al muro di Trump, significherebbe rinunciare una volta per tutte al sogno europeo che deve essere altro dal sogno americano di dominio sul cosmo.

Ben venga qualsiasi piazza che insieme alle urne resta luogo centrale di ogni democrazia, ma sia chiaro che la piazza delle non bandiere è in parte un cedimento non voluto alla bandiera dello stato delle cose, che vuole che i detentori degli armamenti atomici siano gli unici a poter garantire pace e che la follia del riarmo europeo nella vana illusione di difesa dall’armamentario (atomico) russo sia la strada su cui sacrificare quel sogno di Europa sociale sempre più simile alla chimera. Insomma tra la pace armata di Trump e il libero scambio globale tanto caro alla potenza cinese, che unisce il simbolo del comunismo al più aggressivo capitalismo, non resta che trovare un’altra via che non sia la terza che tanti danni ha già prodotto nel variegato arcipelago del progressismo europeo. Rifacendoci alla canzone di introduzione non resta che finire con:

La realtà è una merda ma non finisce qua” (Costume da torero, Brunori Sas)

Foto da pxhere.com

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