Le origini
Il 16 dicembre 1972, nell’Ospedale psichiatrico di Trieste, è stata costituita la prima cooperativa sociale italiana: la Cooperativa Lavoratori Uniti. Sino a quel momento a Trieste il lavoro dei pazienti psichiatrici, organizzati in squadre di ergoterapia, era utilizzato per svolgere una pluralità di attività necessarie al funzionamento della struttura: pulizie dei reparti, preparazione dei pasti, orticoltura ed allevamento del bestiame, lavori edili e cura del verde interno alla struttura psichiatrica. L’ergoterapia, un «metodo curativo, indicato per disabili psichici e fisici, invalidi e malati cronici, in cui l’agente terapeutico è costituito da un’attività lavorativa razionalmente ordinata seguita con la guida di terapisti specializzati e sotto il controllo medico», era diffusa nella gran parte degli ospedali psichiatrici e venne messa in discussione dal movimento di critica istituzionale al manicomio, perché non riconosceva ai pazienti psichiatrici alcun diritto, tutela e remunerazione. Per queste ragioni a Trieste, nel 1971, con l’arrivo di Franco Basaglia alla direzione dell’Ospedale psichiatrico, i lavoratori della struttura decisero di superare le squadre di ergoterapia e costituirono un’impresa cooperativa di cui erano soci sia i lavoratori dell’ospedale che i pazienti. La costituzione della prima cooperativa sociale ante litteram incontrò diversi ostacoli burocratici e normativi perché, anziché perseguire l’esclusivo interesse dei soci da realizzarsi svolgendo un’attività economica, la Cooperativa Lavoratori Uniti aveva anche finalità etiche e sociali. Tali ostacoli, tuttavia, non arrestarono la spinta innovatrice di Franco Basaglia e dei suoi collaboratori.
Come accaduto a Trieste, anche in Umbria la nascita delle prime cooperative sociali è avvenuta negli anni settanta del secolo scorso, legata al superamento delle istituzioni manicomiali e alla costruzione di un nuovo sistema di welfare sociale. L’Umbria, al pari del Friuli Venezia Giulia, fu una regione all’avanguardia nella lotta alle istituzioni manicomiali. Esemplare in tal senso fu la seduta del Consiglio provinciale tenutasi il 20 settembre 1965 nella Sala dei Notari durante la quale il presidente della Provincia, Ivano Rasimelli, proiettando delle diapositive a colori denunciò pubblicamente l’arretratezza culturale, il degrado dei padiglioni e dei servizi e le pessime condizioni di vita dei pazienti internati nell’ospedale psichiatrico di Perugia.In Umbria vi furono tre elementi che favorirono la nascita e lo sviluppo della cooperazione sociale: la spinta delle amministrazioni locali a innovare l’offerta dei servizi socioassistenziali sperimentando nuovi servizi per la salute mentale alternativi alle istituzioni manicomiali e realizzando i primi interventi di assistenza domiciliare; l’iniziativa di gruppi di giovani, laici e cattolici, accomunati da valori comuni che costituirono le prime cooperative sociali nella regione; un contesto sociale e politico aperto ad accogliere le nuove istanze sociali e imprenditoriali cogliendone la portata innovativa. Le prime cooperative sociali sono nate nelle aree urbane di Perugia e Terni. L’esperienza si è però rapidamente diffusa in tutta la regione individuando nel legame con il territorio e la comunità uno dei tratti distintivi della cooperazione sociale umbra e nel perimetro delle vecchie Usl – le attuali Zone sociali – la dimensione geografica ottimale per lo sviluppo. Nel 1990 erano attive in Umbria 28 cooperative sociali con un valore della produzione aggregato di 22 milioni di lire . È utile mettere in evidenza che in Umbria, e in genere in Italia, le cooperative sociali non sono nate a seguito di un processo di privatizzazione dei servizi di welfare ma hanno contribuito a rafforzare il welfare pubblico ideando e gestendo nuovi servizi che, in collaborazione con i comuni e le Usl, sono stati inseriti nella rete del welfare pubblico.
Nel 1991 il legislatore nazionale con l’approvazione della legge numero 381 ha riconosciuto le specificità delle prime cooperative sociali. La legge ha definito il profilo identitario di questa tipologia di impresa che, anziché perseguire l’esclusivo fine mutualistico, persegue anche finalità solidaristiche attraverso la gestione dei servizi di welfare e realizzando l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate.
In estrema sintesi, mentre le imprese di capitali perseguono l’interesse degli azionisti che possono essere rappresentati anche dai grandi player del capitalismo finanziario e le cooperative tradizionali operano nell’esclusivo interesse dei soci, le cooperative sociali sono un modello di impresa che non opera solo nell’interesse dei soci ma anche nell’interesse generale della comunità, come sancisce l’articolo 1 della legge 381. È per questa ragione che le cooperative sociali rientrano nel perimetro degli enti di Terzo settore, hanno specifiche misure incentivanti e sono sottoposte a maggiori controlli a differenza delle cooperative tradizionali e delle società di capitali.
La cooperazione sociale oggi
A cinquanta anni dalla nascita delle prime esperienze, oggi la cooperazione sociale ha raggiunto una dimensione imprenditoriale e occupazionale significativa, è un attore che svolge un ruolo centrale nel welfare sociale e sanitario del Paese e rappresenta un modello unico per efficacia nell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Secondo i dati dell’Istat in Italia, nel 2022, le cooperative sociali attive (che avevano presentato il bilancio d’esercizio) erano 14.728 con 491 mila occupati, mentre in Umbria erano 224 con quasi 9 mila lavoratori.
In Umbria, in coerenza con le origini, le cooperative sociali sono presenti in modo capillare in tutte le aree geografiche della regione, sia in quelle urbane che nelle aree interne, in alcuni territori come per esempio l’Orvietano sono le prime imprese per numero di lavoratori. Negli anni Duemila le cooperative sociali umbre hanno fatto la scelta di rimanere ancorate all’Umbria e non inseguire la crescita dimensionale ad ogni costo. Hanno ampliato i settori di attività e hanno realizzato iniziative di innovazione sociale, rigenerazione urbana e agricoltura sociale. Importanti sono, inoltre, le esperienze di cooperative sociali di recente costituzione che operano in ambito culturale e sono impegnate nel contrasto della povertà educativa. In una regione come l’Umbria, in cui molte aree sono colpite da un lento e costante processo di de-industrializzazione mentre altre sono legate alle scelte – a volte predatorie – del capitalismo finanziario, le cooperative sociali rappresentano un’infrastruttura sociale ed economica di grande importanza, legata al territorio, capace di leggere i bisogni della comunità e di organizzare risposte adeguate attivando risorse pubbliche, private e comunitarie.
Il quadro, tuttavia, presenta anche diverse fragilità e contraddizioni. Pur avendo raggiunto un significativo peso economico, infatti, non c’è ancora stato un pieno riconoscimento politico delle specificità della cooperazione sociale. Da un lato non è pienamente riconosciuta la dimensione imprenditoriale delle cooperative, e dall’altro lato gli attori pubblici non riconoscono a pieno la funzione sociale di queste imprese che in Umbria sono integrate nelle politiche pubbliche e concorrono alla realizzazione del benessere economico e sociale dei cittadini.
La sinistra umbra, che negli ultimi decenni del Novecento aveva favorito lo sviluppo della cooperazione sociale inserendo queste imprese innovative nella costruzione di un nuovo modello di welfare regionale, negli anni Duemila ha utilizzato in modo indiscriminato logiche e strumenti di mercato come le gare di appalto, spesso al massimo ribasso, per regolare i rapporti con le cooperative sociali impoverendo i lavoratori del sociale e rendendo più fragili le imprese che negli anni Novanta avevano margini del 10 per cento mentre oggi, quando i bilanci non chiudono in rosso, hanno una marginalità che oscilla tra lo 0,5 e l’1,5 per cento. Questa scelta non era inevitabile ma è stata il risultato del mancato riconoscimento politico della cooperazione sociale da parte delle forze politiche che hanno governato la regione. A prova di ciò ci sono le scelte differenti fatte in altre, come l’Emilia Romagna, che negli anni Duemila hanno dato vita a un contesto regolatorio che ha favorito un maggiore e migliore sviluppo della cooperazione sociale.
Il possibile contributo alla modernizzazione dell’Umbria
L’elezione di Stefania Proietti a presidente della Regione apre una nuova stagione in cui il centrosinistra potrà adottare politiche volte a favorire lo sviluppo della cooperazione sociale all’interno di un più ampio progetto di modernizzazione dell’Umbria. Il punto di partenza della nuova Giunta regionale deve essere rappresentato dall’applicazione di due importanti e innovative leggi approvate all’unanimità dell’Assemblea legislativa regionale negli ultimi anni, la 2/2023 “Disciplina dell’amministrazione condivisa” e la 2/2024 “Qualità del lavoro e dei servizi alla persona”. Queste norme, approvate in modo bipartisan dalle forze politiche di centrodestra e centrosinistra, riconoscono il valore e le specificità della cooperazione sociale, intendono superare la logica del mercato e della concorrenza al ribasso nel welfare, e inseriscono l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità negli obiettivi delle politiche pubbliche regionali.
Uno dei temi centrali nell’elezione di Stefania Proietti è stata la sanità. La volontà di innalzare il livello di efficienza, efficacia e appropriatezza del sistema sanitario regionale, di abbattere le liste di attesa e di contrastare il processo di privatizzazione della sanità è stato il principale punto programmatico dei partiti e delle liste civiche che hanno sostenuto Proietti in campagna elettorale. La scelta della neo-eletta presidente di mantenere la delega alla sanità è un indicatore della strategicità di questo tema. Il raggiungimento di questi obiettivi, tuttavia, non sarà immediato e richiederà un coinvolgimento attivo di tutti gli attori pubblici, dei cittadini e della società civile come avvenuto negli anni Settanta, anche in Umbria, per superare le istituzioni manicomiali. L’applicazione delle recenti leggi regionali appena citate può rappresentare uno degli strumenti a disposizione della nuova Giunta per coinvolgere attivamente la cooperazione sociale nel percorso di innovazione del sistema sanitario regionale. In questa prospettiva, infatti, le cooperative sociali umbre collaborando con gli attori pubblici, potranno contribuire al raggiungimento di obiettivi condivisi attivando e aggregando risorse private e della comunità che, insieme alle risorse pubbliche, potranno essere utilizzate per fornire risposte adeguate ai cittadini. In ambito sanitario – come fatto negli ultimi decenni del Novecento – potranno collaborare con il pubblico per innovare la rete dei servizi per la disabilità, le persone anziane e la salute mentale, nel potenziamento della sanità territoriale, nel rafforzamento degli interventi domiciliali e nella realizzazione di Case della Comunità “aperte” e capaci di produrre salute, equità, giustizia sociale ed inclusione. In un welfare che punta sulla collaborazione e che vuole potenziare la sanità territoriale e di comunità potrà essere prezioso il contributo delle cooperative sociali umbre che hanno fatto la scelta strategica di rimanere legate ai territori in cui sono nate e dove si sono sviluppate a differenza di altre organizzazioni divenute operatori nazionali che gestiscono indifferentemente un servizio educativo in Umbria o un centro per migranti in Albania e che partecipano sistematicamente a tutte le gare di appalto dei servizi sociali e sanitari pubblicate in Umbria non per rafforzare il welfare locale ma per “entrare” in un nuovo mercato.
In ambito sociale, inoltre, la cooperazione sociale potrà dare un contributo determinante all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e svantaggiate. Ci sono in Umbria più 12 mila persone con disabilità in cerca di occupazione, di cui 2.575 hanno meno di 34 anni. Applicando l’articolo 5 della legge regionale 2/2024 la nuova Giunta potrà realizzare un Piano per l’inclusione lavorativa che, a costo zero per le amministrazioni pubbliche, nei prossimi cinque anni può creare nuove opportunità di lavoro per 1.000 persone con disabilità o svantaggiate migliorando in modo significativo la qualità della vita di queste persone, rendendo l’Umbria un modello in Italia.
La cooperazione sociale, inserita dentro un vasto progetto di modernizzazione della regione, può offrire un contributo di idee, competenze e capacità imprenditoriali diffuse che, se riconosciute e valorizzate, potranno concorrere a rendere l’Umbria più competitiva, equa e sostenibile.