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Le domande sulla fusione Coop

 

Dal prossimo mese di luglio Coop Centro Italia non esisterà più: verrà incorporata con Unicoop Tirreno per dare vita a Unicoop Etruria. La nuova realtà è stata già definita un colosso. A guardare i numeri che si andranno a sommare, non c’è dubbio. Unicoop Etruria potrà contare su 177 punti vendita e circa 5.800 dipendenti tra Umbria, Toscana e Lazio, con una piccola propaggine in Abruzzo. Nella comunicazione inviata lo scorso 30 gennaio alle rappresentanze sindacali si legge che «l’operazione si pone l’obiettivo di rafforzare la presenza della cooperazione tra consumatori in Italia centrale». Eppure la notizia ha provocato qualche turbamento nelle comunità locali di entrambi i territori coinvolti. La Fisascat Toscana ha detto che è «indispensabile dichiarare con chiarezza le ricadute occupazionali previste dalla fusione». Sul versante umbro, la vicenda è già stata oggetto di una interrogazione in Consiglio regionale, e i lavoratori del magazzino e del centro direzionale hanno scioperato per due ore lo scorso 20 febbraio. Nello stesso giorno si è tenuto il consiglio comunale aperto a Castiglione del lago per discutere della vicenda. L’appuntamento ha visto una partecipazione massiccia. Erano stati invitati anche i vertici aziendali, che però sono rimasti assenti.

Castiglione del lago costituisce in Umbria l’ombelico della vicenda. Degli oltre 2.200 dipendenti di Coop Centro Italia e del gruppo Superconti acquisito dieci anni fa, più di trecento lavorano presso il magazzino e la sede legale-amministrativa ospitati nel comune lacustre. Ma da dove si generano i timori? L’attuale sede legale di Coop Centro Italia verrà trasferita in quella della cooperativa incorporante, cioè Unicoop Tirreno. Tutto ciò è unito al fatto che nella comunicazione che è stata data ai sindacati si legge che la fusione «comporterà una profonda riorganizzazione, in particolare delle due sedi, che dovrà tenere conto dell’assoluta necessità di riduzione dei costi finanziari, amministrativi e del personale». Ancora: in seguito alla fusione si dovranno «ridefinire ruolo e caratteristiche della rete di vendita nonché delle strutture logistiche». Ecco perché Castiglione del lago è l’ombelico di una vicenda che si estende a tutta la regione: la dipartita del centro direzionale priverà comunque l’Umbria di un pezzo importante. Le strategie della nuova coop verranno decise altrove. E la globalizzazione ci ha insegnato che quando l’impresa si svincola dal rapporto col territorio le cose si fanno difficili per chi nel territorio continua a viverci.

Accanto ai dati di fatto appena accennati, costituiti dallo spostamento della testa di Coop dalle sponde del Trasimeno a quelle del Tirreno e dalla necessità di riduzione dei costi del personale messa nero su bianco dalle aziende che stanno procedendo verso la fusione, ci sono altri elementi critici da registrare. Il primo è dato dall’andamento di Coop Centro Italia nell’ultimo decennio. È stato acquistato il gruppo Superconti, ma l’operazione non ha portato benefici apprezzabili: il fatturato complessivo delle due aziende era di 832 milioni nel 2013 ed è stato di 820 nel 2023. La cooperativa è stata poi pesantemente danneggiata dall’investimento in azioni del Monte dei Paschi di Siena il cui valore nel 2016 si è volatilizzato fino a determinare una perdita di oltre 46 milioni per l’azienda umbra. In quello stesso anno Coop Centro Italia presentò un piano industriale in cui si prevedevano nei successivi quattro anni un incremento occupazionale di cinquecento unità, cosa che avrebbe dovuto portare a un totale di 4 mila dipendenti, e l’apertura di venti nuovi punti vendita, che sarebbero quindi dovuti arrivare a superare i 120. Oggi Coop Centro Italia è una realtà che conta 2.241 occupati e 76 punti vendita. A pochi anni da quel piano industriale infatti, 29 punti vendita a ridosso dei confini tra le province di Perugia e quelle di Arezzo e Siena, sono stati venduti a Unicoop Firenze.

L’ultimo elemento di criticità di questa vicenda è dato dallo stato attuale delle due cooperative che si vanno a fondere. L’incidenza del costo del lavoro in Unicoop Tirreno è del 12,7 per cento, in Coop Centro Italia è del 9,4 per cento. Unicoop Firenze, gigante della grande distribuzione nel centro Italia, ha un costo del personale del 9,3 per cento. Se quella è una delle voci su cui si dovrà andare a incidere, Unicoop Tirreno potrebbe rappresentare una zavorra per Coop Centro Italia piuttosto che un volano di sviluppo. Ancora: segnalavamo all’inizio come la nuova realtà che scaturirà dalla fusione, stando ai numeri attuali, sia stata definita un colosso. Il livello di indembitamento per entrambe le realtà che le daranno vita però, è notevole. Il rapporto debiti/patrimonio è di 4,3 per Coop Centro Italia e di 3,8 per Unicoop Tirreno. Per fornire dei termini di paragone, in Coop Liguria – una realtà che per dimensioni è paragonabile alle due che stanno andando a fusione – quel rapporto è di 1,13; per Unicoop Firenze si abbassa a 1,08.

Senza generare allarmismi insomma, le doglianze manifestate nei confronti dell’operazione da più parti, sembrano giustificate, ancor più in mancanza di un piano industriale che ancora non c’è. Anche se i piani industriali, si è visto, non sono il libro della verità.

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